domenica 12 ottobre 2008

Una diga sulle mille isole

Una diga sulle mille isole
di Marina Forti - 10/10/2008
Il Manifesto

Le cascate di Khone, sul Mekong, hanno affascinato gli europei per secoli: fin da quando i primi avventurieri francesi tentarono di risalire in nave il grande fiume indocinese dal delta fino alla Cina, nella speranza di farne una grande via commerciale. L'ostacolo si rivelarono proprio quelle cascate a monte di Phnom Penh, presso l'attuale confine tra Cambogia e Laos, dove il fiume si frammenta in numerosi bracci stretti e pieni di rapide che aggirano una miriade di isole piccole e grandi: non per nulla il luogo si chiama «mille isole», si-phan-don in lingua lao. Tra le due isole maggiori c'è anche quel salto tra i 20 e i 30 metri, le cascate di Khone. Oggi sulle «mille isole» arrivano ancora stranieri: ma solo per godersi le spiagge e la vista dei rari delfini dell'Irrawaddy che ancora popolano il Mekong.
Ebbene, è proprio alle Khone Falls che punta l'ultimo progetto idroelettrico della regione. La diga di Don Sahong è la prima mai progettata sul Mekong vero e proprio, almeno a valle della Cina (decine di dighe sono invece sui suoi numerosi affluenti, soprattutto in Laos). Rientra in un progetto più ampio, perché dalla metà del 2006 i governi di Cambogia, Laos e Thailandia hanno autorizzato aziende dei rispettivi paesi e della Malaysia a esplorare la fattibilità di una «cascata» di ben otto dighe sul corso principale del Mekong. La Don Sahong dunque è (sarebbe) solo la prima ad arrivare alla fase del progetto. E tutto questo con l'appoggio della Mekong River Commission, l'organismo regionale formato dai governi rivieraschi (per la verità solo Vietnam, Cambogia, Laos e Thailandia: mancano la Birmania e soprattutto la Cina, dove il fiume nasce e scorre per quasi metà dei suoi 4.350 chilometri).
Tagliare il Mekong sarebbe probabilmente la fine, per la complessa vita acquatica di questo fiume - a cominciare dalla pesca, una vera e propria industria artigianale da cui dipende la vita di milioni di persone. Il Mekong ha un ciclo stagionale unico: nella stagione delle piogge si gonfia, e l'acqua caduta dal cielo si somma a quella del disgelo dei ghiacciai del Tibet, dove il fiume nasce. Allora straripa e allaga le pianure su cui lascia un ottimo limo. Non solo: il flusso d'acqua è tale, e così rapido, che in Cambogia durante la piena l'acqua del Mekong comincia a risalire un suo affluente, il Tonlé Sap, che inverte così il suo corso fino a riempire l'omonimo lago. Il lago Tonle Sap, il più grande bacino d'acqua dolce nel sud-est asiatico, comincia così a gonfiarsi; finita la piena, l'acqua torna a scorrere verso il Mekong e il suo delta. I pesci hanno un ciclo di vita migratorio che segue queste correnti, e la fine delle piogge è anche la stagione dell'abbondanza della pesca, quando la corrente porta a valle i pesci ben pasciuti. Su questo ciclo si è fondata un'intera civiltà, oltre che un'economia locale fondata sulla pesca e la coltivazione stagionale.
Tutto questo è in pericolo. Gli scogli e le isole che costellano il fiume sono essenziali alla riproduzione del pesce, così come il ciclo stagionale delle piene e delle correnti. La diga tra le Siphondone bloccherebbe il principale canale di passaggio del pesce, oltre a ridurre il flusso d'acqua che crea le cascate di Khone. Il governo del Laos del resto riconosce il valore unico di questo habitat, tanto che ha proposto di includerlo tra le «zone di importanza» sotto la convenzione di Ramsar per la protezione delle zone umide, fanno notare gli attivisti di International rivers, rete di gruppi per la difesa degli ecosistemi fluviali (e di chi vi abita). Sono loro che hanno lanciato una campagna contro la diga.