domenica 12 ottobre 2008

Fmi: recessione globale Le borse cedono ancora

Fmi: recessione globale Le borse cedono ancora

Francesco Piccioni

Il Manifesto del 10/10/2008

Anche Staruss-Kahn ora vede nero e invita «i grandi» a un'azione «decisa, coordinata, rapida»; che si scontra però con interessi nazionali assai diversi. Tremonti minaccia le dimissioni se non verrà cancellata la clausola «salva manager». Berlusconi ci ripensa e promette un emendamento riparatore

Non ce la fa. Il sistema finanziario globale è un malato terminale intorno a cui si affannano decine di medici, con ogni sorta di terapie. Ma che non riesce a risollevarsi dall'infarto. L'immagine è stata proposta - a suo modo - dall'Economist, settimanale seriosissimo del capitalismo anglosassone. «Se il panico che ha strozzato le arterie del credito in tutto il mondo non sarà fermato presto, aumenterà il rischio che la produzione nelle economie ricche crolli. Nessun paese o industria sarà risparmiato dall'equivalente di un infarto finanziario globale».
Anche il Fondo monetario internazionale prova a scuotersi dalla propria evidente inutilità sociale. Dominique Strauss-Kahn, il presidente che fino a un paio di mesi fa non vedeva nubi all'orizzonte, si è ora accorto che «siamo sull'orlo di una recessione globale». Volendo fare l'ottimista per dovere istituzionale, ritiene che «possiamo risolvere i problemi se agiremo in modo rapido, deciso e coordinato». Proprio quel che no si riesce a fare, almeno a livello europeo, dove per il momento vige la terapia fai-da-te.
La Germania non esclude di nazionalizzare alcune banche, così come ha parzialmente fatto la Gran Bretagna due giorni fa. Anche il tesoro americano sta valutando la possibilità di una mossa analoga (peraltro parzialmente effettuata in occasione del salvataggio delle società di mutui Fannie Mae e Freddie Mac, nonché dell'assicurazione Aig). La Spagna ha istituito ieri un fondo da 30 miliardi, estendibile a 50, per comprare titoli garantiti dalle agenzie di rating con la «tripla A». E' una linea diversa sia da quella Usa che da quella tedesca, ma mirante allo stesso obiettivo: fornire liquidità alle banche per farle uscire dal credit crunch.
Toni allarmati accompagnati da misure drastiche, con finanziamenti imponenti. Tutto il contrario di quel che accade in Italia, dove un presidente del consiglio arriva a improvvisarsi promoter finanziario di complemento consigliando ai cittadini di «non vendere le azioni, perché molte aziende italiane fanno profitti e i valori di borsa non corrispondono al valore reale di quelle aziende». Forse perché è titolare di diverse aziende quotate in borsa (Mediaset, Mondadori, Mediolanum, ecc), e ulteriori crolli dei mercati potrebbero intaccare le sue proverbiali ricchezze. In ogni caso, neppure lui riesce a dire che tutto passerà presto: «tra 18-24 mesi i corsi azionari risaliranno», ha concluso. Neppure una parola per chi non ha titoli in portafoglio, naturalmente.
Da sketch comico la riproposizione fuori tempo massimo dell'ormai morta ricetta «meno tasse per sostenere l'economia». Tra sostegno alle banche italiane, a un'economia reale che comincia a sentire i morsi della recessione, con richieste di cassa integrazione che aumentano di giorno in giorno, le risorse finanziarie che lo stato deve trovare sono in crescita esponenziale. E non vale neppure più il vincolo europeo al rispetto dei «parametri di Maastricht».
Le borse mondiali avevano tentato di recuperare qualcosa, dopo giorni catastrofici. Hanno realizzato quel che in gergo viene chiamato «il rimbalzo del gatto morto». Le piazze europee aprivano guadagnando; addirittura il 3% Milano, tra le più penalizzate dai crolli e perciò con prezzi davvero scontati (tutte le banche italiane, attualmente, hanno un valore di borsa inferiore ai «mezzi propri»). Ma già in tarda mattinata gli entusiasmi scemavano. Wall Street si metteva sulla stessa scia, nonostante dati macroeconomici pessimi: aumento delle scorte dello 0,8%, vendite in calo dell'1% (in prezzi correnti, ovvero senza contare l'inflazione). Le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione erano formalmente in calo (causa ripresa del lavoro sulle piattaforme del golfo del Messico, dopo la fine degli uragani), ma veniva confermato che gli utilizzatori (per sei mesi) del sussidio hanno raggiunto un nuovo record: sono 3,659 milioni.
In pochi minuti sia il Dow Jones che il Nasdaq passavano dal +2% al segno meno (-2% per il Dj). Poi, come nelle ultime recenti tornate, iniziava un sali-e-scendi senza direzione certa. A meno di un'ora dalla chiusura il Dow Jones perdeva il 3,07%, mentre il Nasdaq registrava un -2,49%.