mercoledì 1 ottobre 2008

Abolite le banche d'affari: si fa piccolo il capitalismo Usa

Abolite le banche d'affari: si fa piccolo il capitalismo Usa

di Claudio Jampaglia

Liberazione del 23/09/2008

Morgan Stanley e Goldman Sachs, le ultime due grandi banche d'affari dopo la caduta di Lehman, l'acquisizione di Bear & Stearns da parte di Jp Morgan e quella di Merrill Lynch da Bank of America, sono diventate banche commerciali normali. Da oggi dovranno sottostare alle regole sul capitale versato, quello depositato dai clienti e quello dato in prestito. L'invenzione della banca che prendeva a prestito per prestare, motore della finanza di rischio, veliero dei "capitani coraggiosi" che aveva conquistato il mondo per spregiudicatezza, influenza e guadagni è morta. La banca d'investimento americana è l'ultima vittima della caduta finanziaria dello Zio Sam. Che ieri ha chiesto aiuto. E il G7 ha reagito come un sol uomo, almeno a parole. Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone, Canada e Italia (ma non la Russia, invisa alla comunità internazionale a guida nordatlantica dopo la crisi georgiana) sono «pronti ad adottare qualsiasi azione necessaria, sia individualmente che collegialmente, per assicurare la stabilità del sistema finanziario internazionale».
Una ciambella tutta politica lanciata di prima mattina, ieri, in una "conference call" (conferenza via telefono) tra i governatori delle banche centrali e i ministri economici dei sette paesi che si sono vicendevolmente complimentati per il rapido intervento e coordinamento in funzione anticrisi o meglio, come loro stessi scrivono, «nel fronteggiare le distorsioni dei mercati globali». Distorsioni. Ovvero dodici banche commerciali fallite, la quinta banca d'investimenti d'America (Bear Stearns) svenduta sotto la regia della Fed, la quarta (Lehman Brothers) fallita con 600 miliardi di dollari dopo 158 anni di storia, il tracollo di Fannie Mae e Freddie Mac - detentori della bellezza di 5200 miliardi di dollari in mutui - nazionalizzate da Bush in tutta fretta con 1600 miliardi di dollari di garanzie governative e ancora il salvataggio del colosso assicurativo Aig per 80 miliardi di dollari freschi (altra nazionalizzazione), un fondo straordinario di 700 miliardi di dollari per fermare la crisi e la trasformazione delle ultime due banche d'affari Usa in istituti di credito tradizionali, sono per citare i principali eventi delle ultime settimane, sono distorsioni? Cambiano le sigle (G7, G8...) ma la presa per il culo è la stessa, balle, polpette avvelenate, governance che nemmeno Pinocchio.
L'intervento del G7, avrebbe preso corpo da una rivelazione a un talk-show mattutino su Fox Tv del ministro del Tesoro Paulson che non ha escluso che il governo potesse intervenire anche in favore di «certe banche straniere che hanno attività rilevanti negli Stati Uniti». Il messaggio "siamo sulla stessa barca" forse serve al consumatore Usa, non all'operatore che lo sa da anni. Europa e Asia sono in misura diversa dentro la crisi, anche se l'epicentro è americano. Di sicuro, né la Bce, né le banche centrali dei paesi occidentali legati a doppio filo ai mercati Usa faranno mai fallire il sistema. Non possono. Le dimensioni sono irraggiungibili. Tanto per capirci solo le due finanziarie immobiliare Fannie & Freddie sono esposte per tre volte il Pil italiano. Il messaggio è quindi tutto politico. Va tutto bene, ci siamo, governiamo... Vale soprattutto per i detentori di fondi monetari in Usa, la gran massa dei risparmiatori per 3500 miliardi di dollari impegnati. Fino a mercoledì scorso i fondi monetari erano l'investimento più sicuro e protetto negli Usa, almeno finché la Reserve Management Corporation ha avvisato il tesoro che uno dei suoi fondi aveva «rotto la parità col dollaro» col fallimento di Lehman & Brothers. Se Paulson non interveniva più veloce della luce, c'era il vero rischio panic selling . La corsa alla vendita dei risparmiatori. Per evitarla c'era una sola frase da dire: "lo Stato garantisce". Ed ecco servito anche il fondo da 700 miliardi di dollari pubblici per interventi anticrisi sul sistema.
Solo che come spiegò tanti anni fa il protagonista de l'Odio di Kassovitz, mentre cade dal grattacielo tra i flash dei fotoreporter e le urla della gente: «L'importante non è la caduta ma l'atterraggio». E qui stiamo ancora cadendo e tutti gli esperti sanno che il materassone annunciato da Paulson (regista Bernanke, comparsa Bush) non basterà. E infatti non si sa a cosa serva. Lo scrive bene il Financial Times , lo Stato potrà comprare titoli e qualunque "asset" finanziario per raffreddarne la temperatura e evitare fallimenti ed effetti domino. Una cosa mai pensata prima. Lo Stato che diventa operatore anticiclico direttamente sul mercato borsistico e finanziario. Come in Cina. E con quali ricadute? Nessuno lo sa. Come nessuno sa quantificare e valutare le obbligazioni "tossiche". Di solito ci pensava il mercato. E quindi oggi sarebbero carta straccia. Allora ecco l'idea di un fondo e di un Piano Marshall per salvare gli Usa e tutti noi dalla crisi dei banchieri, degli speculatori e degli affaristi, con soldi pubblici versati per la gran parte dai lavoratori (in Usa le tasse sulle rendite finanziarie sono al 15%) e magari di quelli del G7.
Ed è così che, dicevamo, adesso non esiste più nemmeno la banca d'investimento. La Federal Reserve ha tagliato corto. Se volete avere accesso ai fondi di salvataggio per gli istituti di credito, dovete diventarlo. Non basta più finanziarsi con l'emissione di obbligazioni. Dovete raccogliere il risparmio. Così Morgan Stanley farà diventare una sua banca nello Utah, una delle sue attività più che secondarie, l'architrave di una nuova banca nazionale. Finito il business solo sulla carta, su valutazioni e proiezioni. Adesso ci vorranno anche garanzie e controlli. In cambio verranno aiutate dai prestiti della Fed. E non a caso, ieri, Mitsubishi Ufj Financial, il primo gruppo bancario giapponese, ha annunciato l'acquisto di parte del capitale di Morgan (tra il 10 e il 20%). Arriva il tanto invocato soccorso estero? No. I giapponesi entrano nelle stanze finora vietate dei finanzieri di Wall Street a buon prezzo. E infatti le borse di mezzo mondo non abboccavano e tornavano in profondo rosso (solo Morgan saliva davvero tra i finanziari). E per togliere ogni dubbio sul raffreddamento della crisi, la Fed annunciava un'altra iniezione di 75 miliardi di dollari per le banche a 1,94% di interesse.
Ora si aspetta di vedere come e se rilancerà Goldman Sachs, la più odiata e aristocratica delle banche d'affari (oltre al ministro attuale del Tesoro vengono da lì dozzine di personalità istituzionali, dal presidente della Banca Mondiale Zoellick al nostro Mario Draghi) che nell'ultima settimana oscillava paurosamente tra i 90 e i 160 dollari ad azione. Un ottovolante accerchiato dagli avvoltoi. Talmente speculativo e rischioso che due fondi pensione americani il Calstrs e il Calpers (quello dei dipendenti pubblici californiani, 38 miliardi di dollari, uno dei più grandi) avevano annunciato venerdì di non accettare più la compravendita a breve di azioni di Goldman e Morgan per «non contribuire all'instabilità di queste aziende». Aveva anche protestato il supermanager di Goldman, Lloyd Blankfein (68 milioni di dollari di benefits e premi nel 2007) per il trattamento subito: vendite allo scoperto ovvero vendita di titoli senza averli prima comprati. E dire che solo l'anno scorso, la banca non aveva pagato solo i soliti manager, ma aveva distribuito 20 miliardi di dollari tra bonus e premi ai suoi dipendenti. A tutti i dipendenti, autisti compresi. Lo stile Goldman. E poi con 20 miliardi di dollari ce n'era per tutti... Oggi non ce n'è più per nessuno.