venerdì 18 settembre 2009

Come fare giornalismo in Israele

Liberazione 17.9.09
Notizie filtrate da generali, segreti di Stato e censure mirate. Quando la stampa è in libertà condizionata L'informazione sotto tutela militare
Come fare giornalismo in Israele
di Riccardo Valsecchi


Gerusalemme. Il mestiere del giornalista nello Stato d'Israele non è certo facile. Ogni operatore deve essere accreditato presso il Government Press Office (GPO), l'Ufficio Stampa Governativo con sede in Gerusalemme, alle dirette dipendenze del gabinetto del Primo Ministro. Qualsiasi corrispondente straniero, poi, deve seguire un lungo iter burocratico - fino a novanta giorni -, con varie discriminanti che potrebbero ostacolare l'assegnazione della Press Card: per esempio lo status di freelance, la propria storia professionale, la "non familiarità" dell'impiegato di servizio con il media per cui si lavora o il motivo per la richiesta dell'accredito. A tutti, infine, è richiesta la firma su un documento che vincola la pubblicazione di qualsiasi materiale video, audio, fotografico e testuale riguardante argomenti militari o di sicurezza nazionale, previa supervisione della censura militare. La Lt. Col. Avital Leibovich, portavoce dell'Ufficio Stampa Internazionale dell'Esercito Israeliano, non ha dubbi in proposito:«Siamo un paese in guerra e la censura è assolutamente necessaria come strumento di difesa».
La costituzione israeliana prevede una legge per la censura basata sulla "norma d'emergenza" promulgata nel 1945 durante il mandato britannico, che autorizzava l'interdizione di pubblicazioni locali o internazionali e il taglio di collegamenti tra le agenzie stampa, al fine di eludere il passaggio d'informazioni coperte da segreto militare. L'organismo attuale preposto al controllo è l'Ufficio della Censura Militare, un distaccamento dell'Aman, l'intelligence militare israeliana. La censura militare è assolutamente indipendente dall'Ufficio del Primo Ministro, onde evitare il sovrapporsi d'interessi nazionali e politici.
La linea guida che regola l'attività censoria è definita in un accordo tra IDF - Israel Defense Forces - e un comitato di editori: la censura non può intervenire su tematiche politiche, opinioni o valutazioni personali, a meno che vadano a ledere informazioni classificate come top-secret; la pubblicazione di materiale che possa recare beneficio alla forza nemica o danneggiare lo stato d'Israele, i suoi cittadini, la loro sicurezza, come quella degli ebrei costretti a emigrare da nazioni ostili a Israele, è vietata; IDF e comitato editoriale si riservano, in caso di conflitto, di fornire un elenco di specifici argomenti la cui pubblicazione non verrà consentita al fine di garantire la sicurezza nazionale. Il mancato rispetto delle norme sopra citate potrebbe significare la persecuzione legale, l'arresto, l'espulsione o la preclusione del visto di entrata in territorio israeliano.
«Nella mia lunga esperienza come corrispondente straniera a Gerusalemme,» racconta la giornalista tedesca Inge Günther, direttrice della sede locale del Frankfurter Rundschau, «posso dire che la censura militare israeliana si attiene a standard di professionalità e discrezione assolutamente elevati. Non ci sono particolari episodi di cui potrei lamentarmi. Diversa è la situazione per quello che riguarda le informazioni e le fonti fornite dagli uffici stampa militari o governativi sul tema dello scontro israeliano-palestinese: ma questo è un problema di entrambe le parti in causa. La propaganda, manipolazione, disinformazione e mistificazione è una caratteristica propria di questo conflitto».
Mikhael Manekin, ex soldato nella pluridecorata Brigata Golani, è uno degli ideatori di "Breaking the Silence", organizzazione che si occupa della raccolta e diffusione delle testimonianze di veterani dell'esercito israeliano durante la Seconda Intifada:«Nessuno di noi rinnega ciò che ha fatto per la propria patria, però crediamo che mostrare il lato oscuro delle operazioni militari svolte dall'esercito israeliano durante il conflitto sia doveroso in una società democratica». La galleria fotografica, i filmati e i racconti presenti sul sito dell'associazione mostrano esplicitamente soprusi e angherie perpetrate contro civili palestinesi:«Tutto il materiale che pubblichiamo è sottoposto alla supervisione dell'IDF, eppure non abbiamo mai avuto problemi o ostacoli. Non è la censura militare a boicottare il nostro lavoro, piuttosto la comunità stessa in cui viviamo, a cominciare dai partiti politici fino ad arrivare alla gente comune: i soldati, spesso ancora in servizio, che ci contattano per poter raccontare la loro versione della guerra in Gaza, chiedono di rimanere anonimi non tanto per paura della censura, ma piuttosto per il timore di essere additati come traditori della patria dai compagni, dai propri familiari, dall'opinione pubblica».
«La censura,» spiega Mr Amir Ofek, portavoce del Ministero degli Affari Esteri, «non è atta ad assicurare che si scrivano "carinerie" su Israele. Ciò si può verificare leggendo i giornali europei, i quali spesso riportano posizioni critiche nei nostri confronti». Di diverso parere la Prof. Galia Golan, docente in scienze politiche presso il Centro Interdisciplinare di Herzliya, Tel Aviv:«Certo la metodologia con cui opera la censura militare è migliorata rispetto a vent'anni fa, ma ci sono molti argomenti che non si possono trattare. È noto, per esempio, che i giornalisti israeliani spesso attendono che certe notizie vengano riportate prima all'estero, perché così sono liberi dal vincolo della censura».
La Prof. Golan racconta la sua esperienza riguardo le recenti guerre in Libano e Gaza:«Durante la seconda guerra libanese e il conflitto in Gaza, i media, sia governativi che privati, non sono sembrati imparziali: dai servizi televisivi sembrava che Israele fosse sotto assedio, bombardata tutto il tempo, mentre in realtà pochissimi sono stati i missili lanciati verso il nostro territorio. In un certo senso la situazione era abbastanza divertente: gli inviati delle televisioni nazionali che si trovavano ad Ashkelon, Beersheba, alcune delle località apparentemente più colpite, contattati a ogni ora, mostravano un certo imbarazzo, dal momento che non avevano assolutamente nulla da mostrare. Il risultato è stato che, alla fine delle ostilità, gli israeliani non avevano alcuna idea del motivo per cui l'opinione pubblica internazionale si fosse schierata contro. I nostri media non avevano mostrato nulla di ciò che si vedeva all'estero. In una conferenza all'Università dove lavoro, la rappresentante di una di queste Tv private disse che era stata la censura a operare i tagli. Come cittadina, non posso accettarlo: credo che ci fosse margine per mostrare molte altre scene senza intaccare la sicurezza».
Ron Ben-Yishai è la leggenda del giornalismo israeliano. Opinionista e commentatore per la televisione pubblica, corrispondente di guerra per "Channel 1" e "Time Magazine", è noto al pubblico internazionale per la parte nel pluripremiato film d'animazione di Ari Folman Valzer con Bashir : «Nella mia carriera ho coperto in prima linea conflitti in tutte le parti del mondo: Cipro, Afghanistan, Yugoslavia, Colombia, Cecenia, Nagorno-Karabakh, Iraq, e, ovviamente, il conflitto israeliano-palestinese. Se devo essere sincero da nessun altra parte ho trovato la professionalità e competenza della censura militare israeliana nel garantire la sicurezza nazionale senza ledere la libertà di stampa».
Controverso però è stato il rapporto tra governo/forze militari israeliane e stampa, soprattutto estera, durante il conflitto a Gaza, quando è stato vietato l'accesso alla zona dall'8 Novembre 2008 fino al cessate-il-fuoco del 18 Gennaio 2009: «Qui si fa confusione di competenze,» ribatte la Lt. Col. Leibovich, «l'accesso o meno nei territori occupati è di competenza del governo. Ritengo che i giornalisti dovessero essere autorizzati a entrare a Gaza». Nonostante la Corte Suprema avesse autorizzato l'accesso già dal 29 Dicembre 2008, l'IDF ne precluse l'entrata, con poche eccezioni, fino alla fine del conflitto. Ron Ben-Yishai, che fu uno dei pochissimi a operare nei territori, non ha dubbi: «Vietare l'accesso dei giornalisti a Gaza è stata una vergogna».
Ma che cosa pensano gli israeliani dei propri media e della censura militare? «Non è un tema di cui si parla spesso,» chiude la Prof. Golan, «sembra che le persone non si accorgano, o non si vogliano accorgere, dell'univocità dell'informazione. Prima dell'Intifada, vent'anni fa, c'era molta discussione sul tema, sia per televisione che per radio, ma oggi non più: io credo che non sarà possibile almeno fino a quando persisterà questo clima di guerra».


giovedì 17 settembre 2009

Piombo fuso, l´Onu accusa Israele "Fu un crimine contro l´umanità"

La Repubblica 16.9.09
Piombo fuso, l´Onu accusa Israele "Fu un crimine contro l´umanità"

NEW YORK - L´operazione "Piombo fuso", l´offensiva sferrata dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio dalle forze armate israeliane contro la Striscia di Gaza, potrebbe essere ricordata come un «crimine contro l´umanità». E´ la conclusione cui arriva un rapporto delle Nazioni Unite presentato ieri. «A seguito delle nostre indagini, siamo giunti alla conclusione che le forze israeliane hanno commesso azioni riconducibili a crimini di guerra e possibilmente, per alcuni aspetti, crimini contro l´umanità», ha detto ai giornalisti Richard Goldstone, il magistrato sudafricano di origine ebraica cui è stata affidata l´inchiesta dell´Onu sull´operazione israeliana. A finire sotto la lente della commissione internazionale sono stati in particolare «l´attacco intenzionale sull´ospedale Al Qods con proiettili esplosivi e al fosforo» e «l´attacco contro l´ospedale Al Wafa», entrambe definibili come «violazioni del diritto umanitario internazionale».
Accuse pesantissime, attenuate solo in parte dal fatto che l´offensiva partì in seguito al ripetuto lancio di razzi palestinesi sui villaggi del sud d´Israele che lo stesso documento definisce «senza un obiettivo militare» e quindi «un deliberato attacco contro la popolazione civile». Precisazione che non è bastata però a Gerusalemme, che attraverso una nota del ministero degli Esteri ha immediatamente bocciato il rapporto Onu come «un capitolo vergognoso nella storia del diritto internazionale e del diritto dei popoli all´autodifesa». Secondo il governo israeliano, inoltre, «il verdetto era stato già scritto in anticipo a Ginevra» mentre la commissione guidata da Goldstone nella sua recente missione nella regione si sarebbe limitata «a raccogliere testimonianze false o unilaterali contro Israele».
Fonti palestinesi e dell´organizzazione pacifista israeliana B´tselem stimano il bilancio finale dell´operazione "Piombo fuso" in quasi 1400 palestinesi uccisi, per lo più civili, oltre a pesanti distruzioni. Secondo i dati dello stato maggiore israeliano, il consuntivo è invece di poco meno di 1200 morti, in maggioranza militanti di Hamas.

«A Gaza compiuti crimini di guerra» L’Onu accusa, Israele si indigna

l’Unità 16.9.09
Un rapporto di 572 pagine sui diritti umani violati durante l’operazione «Piombo fuso»
Il procuratore Goldstone chiede che sia inviato alla Corte penale internazionale dell’Aja
«A Gaza compiuti crimini di guerra» L’Onu accusa, Israele si indigna
di Umberto De Giovannangeli

Un rapporto Onu di quasi 600 pagine, per un’accusa pesantissima: a Gaza l’esercito israeliano ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità. Israele ribatte: accusa vergognosa. È scontro aperto.

«A seguito delle nostre indagini, siamo giunti alla conclusione che le forze israeliane hanno commesso azioni riconducibili a crimini di guerra e possibilmente, per alcuni aspetti, crimini contro l'umanità». Un’accusa pesantissima, quella contenuta nel rapporto delle Nazioni Unite sull’operazione militare «Piombo Fuso» condotta dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. A stendere il rapporto (574 pagine) è stato un pool di quattro esperti internazionali guidato dal giudice sudafricano Richard Goldstone, ex procuratore capo dei Tribunali internazionali per il Ruanda e l’ex Jugoslavia. Il rapporto delle Nazioni Unite accusa Israele di «non aver preso le precauzioni necessarie per ridurre al minimo le perdite di vite civili», come si legge in un riassunto del documento diffuso alla stampa. Goldstone è stato incaricato dal Palazzo di Vetro di indagare le violazioni del diritto internazionale nel corso dell'intervento di Israele nella Striscia di Gaza dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009. Il rapporto sostiene che il governo israeliano ha «imposto un blocco di rifornimenti pari ad una punizione collettiva» per la popolazione delle Striscia di Gaza, «portando avanti una politica sistematica tesa a isolare e privare di risorse» i civili.
D'altro canto il rapporto rimarca anche che il lancio di missili contro Israele da parte palestinese costituisce «un crimine di guerra e può essere ritenuto crimine contro l'umanità» in quanto non distingue fra obiettivi militari e civili. Hamas è sotto accusa. Nel presentare il rapporto,il giudice Goldstone ha anche esortato i miliziani i palestinesi a liberare il soldato israeliano Gilad Shalit, sequestrato nel 2006 e da allora tenuto prigioniero a Gaza.
ACCUSA E DIFESA
Goldstone, un ebreo, ha definito «ridicole» le accuse di antisemitismo che gli sono state rivolte da ambienti israeliani del rapporto. «Accusarmi di antisemitismo è ridicolo» ha detto Goldstone, presentando il rapporto dell'Onu molto critico su comportamento degli israeliani, ma anche dei palestinesi, nel corso dell' operazione militare «Piombo Fuso». In una conferenza stampa al Palazzo di Vetro Goldstone ha detto: «Sono ebreo, ho legami con Israele, e sono stato profondamente deluso» dall'atteggiamento israeliano nei miei confronti in questa vicenda. «Penso che quello che ho fatto sia nell'interesse di Israele». Goldstone ha chiesto che il suo rapporto sia trasmesso alla Corte Penale Internazionale (Cpi) dell'Aja, e al Consiglio dei diritti umani dell'Onu, che lo ha ordinato. Il pubblico ministero della Corte de L'Aja, l'argentino Luis Moreno-Ocampo, dovrà esaminare il dossier preparato da Goldstone «il più rapidamente possibile», ha auspicato il giudice sudafricano.
GERUSALEMME FURIOSA
Durissima la reazione d’Israele. Quel rapporto si legge in una nota di reazione diffusa dal ministero degli Esteri da Gerusalemme «scrive un capitolo vergognoso nella storia del diritto internazionale e del diritto dei popoli all'autodifesa». Nella nota si afferma che «il verdetto era stato già scritto in anticipo a Ginevra» e si accusa la commissione guidata da Goldstone di «essersi limitata a raccogliere testimonianze false o unilaterali contro Israele» nella sua recente missione nella regione. Di qui la convinzione del ministero degli Esteri israeliano che «il rapporto scriva un capitolo vergognoso nella storia del diritto internazionale e del diritto all'autodifesa dei popoli». Principio, quest'ultimo, invocato da Israele a fondamento dell'operazione Piombo Fuso.