mercoledì 29 dicembre 2010

Il fondatore di Wikileaks annuncia che è uscito solo l’1% dei cablo segreti Usa: siamo in ritardo

l’Unità 24.12.10
Il fondatore di Wikileaks annuncia che è uscito solo l’1% dei cablo segreti Usa: siamo in ritardo
Israele sotto tiro. Il Mossad in allarme per le prossime informazioni riservate sullo Stato ebraico
La missione di Assange: «Pubblicare tutto o morire»
«Pubblicare o morire». Julian Assange dalla villa nel Suffolk promette nuove rivelazioni. «Solo l’1% del materiale che abbiamo è stato diffuso». Chiede al Brasile asilo per sé e per una nuova base operativa del sito
di Rachele Gonnelli

Julian Assange concede interviste a raffica. Serio e compassato su fondale di stoviglie inglesi intervistato da sir David Frost per Al Jazeera, sciolto e ironico di spalle ad un caminetto acceso per Paris Match, nordico e sognante tra le nevi
nell’immagine del quotidiano di San Paolo del Brasile. Un vero tour de force per lo zelig australiano in questa fine d’anno che in molti pensano abbia contrassegnato, lui più di chiunque altro.
Nel 2011 rischia di essere estradato in Svezia, dove lo attende un processo per stupro, e probabilmente negli Stati Uniti per cospirazione. La Cia, l’unica delle 16 agenzie d’intelligence statunitensi a non aver adottato il sistema intranet del Pentagono da cui sono stati scaricati i files che hanno messo in serio imbarazzo la Casa Bianca, ora indaga su di lui. Ha costituito una task force speciale incaricata di accertare le conseguenze delle rivelazioni di Wikileaks pubblicate finora. Ma gli agenti speciali anti-wiki non hanno visto ancora niente. Ad oggi, Wikileaks ha pubblicato nel complesso meno di 2.000 cable su oltre 251.000 di cui è in possesso, più o meno l'1% del totale. Per pubblicare tutto il materiale, ha calcolato Assange, ci dovrebbero volere circa sei mesi. «Siamo in ritardo. Siamo solo a un cinquantesimo della nostra missione». E comunque la missione è «pubblicare o morire, non abbiamo altra scelta». La morte qui è relativa al sito, ma Assange teme anche per sè stesso. Daniel Ellsberg, il veterano della guerra in Vietnam che rivelò i segreti di Nixon ai giornali Usa , considera «possibile» un attentato alla sua vita orchestato dal governo americano. Perciò Julian fa appello al Brasile, quasi fosse una nuova Sakineh, facendosi forte dell’appoggio che il presidente Luiz Inacio Lula da Silva gli ha espresso quando è stato arrestato in Inghilterra per i presunti stupri delle due donne che svedesi che lo accusano. «Sarebbe ottimo se mi fosse concesso asilo in Brasile. afferma il biondo fondatore di Wikileaks al quotidiano brasiliano Estado de S.Paulo -E potremmo anche istallare in Brasile una nostra base operativa. È un paese grande a sufficienza per essere indipendente dalla pressione degli Stati Uniti, e ha forza economica e militare per farlo. Inoltre non è un paese come la Cina e la Russia che non sono tanto tolleranti con la libertà di stampa». Assange rivela di essere in possesso di almeno 2mila cablo dell’ambasciata Usa su Lula e gli interessi del Brasile nel mondo.
LE NUOVE RIVELAZIONI
L’organizzazione di Wikileaks annuncia il suo principale artefice ha ancora da far conoscere al mondo la gran parte dei documenti riservati concernenti ad esempio Israele. Al momento si fa trapelare solo i possibili titoli della lista: la guerra in Libano del 2006, l'assassinio del comandante di Hamas Mahmoud al-Mabhouh ucciso in un hotel di Dubai lo scorso 20 gennaio, l'omicidio del generale siriano Muhammad Suleiman. Dei circa «3.700 documenti su Israele, 2.700 arrivano dalle sedi diplomatiche nello Stato ebraico», ha detto Assange. Il Mossad sarebbe già in allarme. E la Cina su cui prima dell’arresto a Londra aveva promesso dirompenti rivelazioni? Alla domanda, che gli viene posta nel programma Frost over world, risponde che sì, ci stanno lavorando ma c’è qualche difficoltà connessa alla diversa diffusione di Internet e che per ora hanno un dossier sulla Corea del Nord. Però il lavoro di divulgazione dei segreti diplomatici si potrà d’ora in avanti avvalere del contributo di altre testate giornalistiche importanti come Novaya Gazeta, il quotidiano di Anna Politkovskaja. La rete di protezione dei partner di Wikileaks che comprende New York Times, Le Monde, Guardian, El Pais e Der Spiegel si estende dunque alla stampa anti Putin.

sabato 25 dicembre 2010

Why is Iraq in Chaos? NO END IN SIGHT Now On DVD



The first film of its kind to chronicle the reasons behind Iraq's descent into guerilla war, warlord rule, criminality and anarchy, NO END IN SIGHT is a jaw-dropping, insider's tale of wholesale incompetence, recklessness and venality.

giovedì 23 dicembre 2010

Cinquanta rabbini contro la vendita di case ad arabi e stranieri, cortei anti-immigrati A Tel Aviv

l’Unità 23.12.10
Il sondaggio. Il 55% favorevole al divieto di vendita o affitto a non ebrei
Gerusalemme. Giovani aggrediscono palestinesi: non toccate le nostre donne
Il fronte del no. la condanna di Burg, Sternhell, Michael, Yael Dayan e Shulamit Aloni
Un vento xenofobo soffia su Israele
Allarme degli intellettuali
Cinquanta rabbini contro la vendita di case ad arabi e stranieri, cortei anti-immigrati A Tel Aviv. Yehoshua: un crimine contro la convivenza
di Umberto De Giovannangeli

Abraham Bet Yehoshua pesa le parole, perché, da grande scrittore qual è, sa che le parole spesso fanno più male delle pietre, producono ferite nell' anima difficili da cicatrizzare. Ma di fronte all'uscita dei 50 rabbini ultraortodossi non frena la sua indignazione: «Si tratta dice a l'Unità di un fatto disgustoso. Affermare certe cose è un crimine contro la convivenza».
Un fatto disgustoso. Questo: nelle scorse settimane, una cinquantina di rabbini capo municipali di città e villaggi di tutto Israele hanno firmato una pubblica presa di posizione contro la vendita o l'affitto di immobili a arabi e lavoratori stranieri. I firmatari, che sono tutti stipendiati dallo Stato, citano versetti religiosi per sostenere che le leggi religiose ebraiche includono precisi divieti contro l'affitto di immobili a gentili e avvertono che chi dovesse violare questo divieto, anche dopo ripetuti ammonimenti, rischia di essere ostracizzato dalla sua comunità. Tra le ragioni del divieto i rabbini citano i matrimoni con non ebrei che «sono un peccato e offendono il nome di Dio». Lo stile di vita dei gentili, si afferma ancora, «è differente da quello degli ebrei e tra i gentili ci sono anche quelli che ci hanno perseguitato e ci hanno resto la vita impossibile». Questi rabbini hanno anche aggiunto una ragione economica: «E' noto sostengono che l'affitto di una casa a un gentile ha causato la perdita di valore delle case dei vicini». «L'errore più grave che si potrebbe fare è considerare queste uscite vergognose come espressione di una sparuta minoranza di fondamentalisti. Purtroppo non è così», ci dice al telefono Zeev Sternhell, tra i più autorevoli storici israeliani.
La riprova viene da un sondaggio pubblicato da Yediot Ahronot, il più diffuso quotidiano d'Israele: il 55% degli intervistati si sono detti favorevoli all'appello dei 50 rabbini. Il 58% degli intervistati si è detto contrario a chiedere le dimissioni dei rabbini che hanno aderito all' appello. Alla domanda: che cosa farebbe se una famiglia araba comprasse una casa, o la prendessero in affitto nelle vicinanze, il 57% ha risposto che la cosa sarebbe fastidiosa; il 24,5% ha detto che agirebbero, o prenderebbero in considerazione l'idea di agire per impedire il trasloco della famiglia araba nelle mentre il 7% ha affermato che avrebbe traslocato dalla zona. La percentuale degli oltranzisti aumenta a Gerusalemme: fra gli “haredim”, i religiosi più tradizionalisti, la quota dei favorevoli sale fino all'84%.
Un dato che non meraviglia Avraham Burg, già presidente della Knesset, il più giovane nella storia dello Stato d'Israele: “Gerusalemme rimarca è una città che divide, che emargina, che espelle. Guardo con angoscia e sgomento a ciò che Gerusalemme è diventata: la capitale del fanatismo, di un oltranzismo zelota che ha cambiato i connotati della città. La capitale degli israeliani – ebrei e arabi – si stata trasformando sempre più nella capitale di pericolosi fanatici”. Quella dell'intolleranza, dai tratti razzisti, è una metastasi che da Gerusalemme si sta propagando anche nella «laica» Tel Aviv. «Quella che i sta imponendo annota Menachem Klein, docente di Scienze Politiche all'Università Bar-Ilan di Tel Aviv è una “democrazia etnica” che si manifesta anche in una simbiosi fra Stato e coloni”. «Si inizia con gli arabi, si prosegue con gli immigrati di qualsiasi provenienza. Il razzismo che si fa scudo della religione è un tarlo che sta corrodendo il tessuto democratico e la stessa convivenza civile in Israele», sottolinea il romanziere Sami Michael.
La cronaca supporta questo grido d’allarme. «Non vogliamo aver paura a casa nostra, che gli infiltrati tornino a casa» centinaia di abitanti dei rioni proletari di Tel Aviv hanno dato oggi vita ad una manifestazione contro la crescente presenza nelle loro strade di immigrati africani entrati in Israele nella speranza di trovarvi lavoro. Lunedì nella città di Bat Yam, a sud di Tel Aviv, altri dimostranti erano scesi in piazza per invocare l'espulsione dalle loro strade di arabi originari di Jaffa accusati di «sedurre e corrompere» le donne ebree. In Israele, avverte la stampa, spirano venti xenofobi, fomentati anche da gruppi radicali di destra e da rabbini nazionalisti. La situazione è esplosiva», sostiene un tabloid nell' evidenziare che ormai alle parole seguono anche fatti. Ad Ashdod (a sud di Tel Aviv) ignoti hanno cercato di dare alle fiamme un appartamento abitato da cinque sudanesi. A Tel Aviv ragazze di colore sono state malmenate ed insultate da un gruppo di energumeni. E a Gerusalemme la polizia ha arrestato dieci giovani ebrei (fra cui diversi minorenni e alcune ragazze) sospettati di aver sistematicamente aggredito nel centro della città arabi «sorpresi a corteggiare ragazze ebree».
La situazione rischia di precipitare. Al punto da spingere ieri il premier Benyamin Netanyahu a lanciare un appello ai suoi connazionali a rispettare le leggi, a non attaccare lavoratori stranieri e a non infiammare gli animi contro le minoranze nel paese. L' appello è stato fatto in seguito a ripetute manifestazioni di xenofobia e di ostilità nei confronti di arabi e lavoratori clandestini africani nelle scorse settimane. Nel messaggio del premier, diffuso anche su YouTube e Facebook, Netanyahu afferma: «Io chiedo agli israeliani e su ciò insisto di non farsi giustizia da soli e di non ricorrere a violenze o a incitamenti .... Noi siamo uno Stato che rispetta le persone in quanto tali. Dal canto nostro agiremo per risolvere il problema nel rispetto delle leggi. È ciò che facciamo ed è ciò che chiedo agli israeliani di fare». Netanyahu ha assicurato che il suo governo è attivamente impegnato a risolvere il problema della presenza di migliaia di clandestini africani sia con la costruzione di una barriera fisica lungo il confine con l' Egitto, sia rinviandoli nei loro Paesi e in altri non meglio precisati modi. «Netanyahu è un ipocrita commenta sempre con l’Unità Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista -: questo odio verso i “diversi” è alimentato dalla destra oltranzista che controlla il governo tenendo in ostaggio il futuro d’Israele...». Una tesi rilanciata da Shulamit Aloni, fondatrice di «Peace Now», già ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres: «È straziante dice ma lo Stato di Israele non è più una democrazia. Noi viviamo in una etnocrazia: l’ordinamento di una comunità etnica religiosa che stabilisce rigidamente l’origine etnica dei suoi cittadini secondo una discendenza matrilineare . E il degno rappresentante di questa deriva razzista oscurantista aggiunge è Avigdor Lieberman (ministro degli Esteri e leader di Yisrael Beitenu, destra nazionalista, terza forza politica d’Israele, ndr)».
L’Israele che rivendica la superiorità di Eretz Israel (la Terra biblica) su Medinat Israel (lo Stato), l’Israele che plaude alle parole del ministro della Giustizia, Yaakov Neeman: « Passo dopo passo, noi daremo ai cittadini d'Israele le leggi della Torah e faremo della Halakha la legge fondamentale dello Stato», non contempla nel suo vocabolario politico-ideologico la parola «compromesso». Una parola estranea a ogni fondamentalismo. Scrive Amos Oz: «Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte».