sabato 31 ottobre 2009

A Vicenza 5 milioni per «compensare» la base Usa

5 milioni per «compensare» la base Usa
il Manifesto 27 ottobre 2009, p. 15

A Vicenza 5 milioni per «compensare» la base Usa

Il comitato interministeriale per la programmazione economica ha deliberato di assegnare alla provincia di Vicenza un finanziamento di cinque milioni di euro per la progettazione della tangenziale nord di Vicenza e di mettere a disposizione undici milioni e mezzo di euro per la costruzione della pista di volo al Dal Molin, così come era stata riprogettata dall'Aeronautica militare. Si tratta delle cosiddette opere di compensazione per la città legate all'ampliamento della base Usa. Ne ha dato notizia ieri sera il commissario governativo per il Dal Molin Paolo Costa, che in precedenza aveva incontrato il sindaco Achille Variati, l'assessore provinciale Costantino Toniolo e i sindaci di Caldogno e Monticello. Non appena gli enti definiranno il tracciato si potrà assegnare la progettazione dell'arteria viaria. «Spero che entro la finanziaria del prossimo anno - ha detto Costa - sia pronto il progetto preliminare, perchè a quel punto sarà possibile andare alla ricerca del finanziamento per fare i lavori».

Il parco restituito ai nativi

Il parco restituito ai nativi
Paola Desai
il manifesto 28 ottobre 2009, p. 2

Una cerimonia inusuale si è svolta venerdì scorso a Kowanyama, cittadina nella penisola di Cape York, stato del Queensland, Australia settentrionale. Per la prima volta in assoluto, il ministro «per il clima e la sostenibilità ambientale» dello stato, Kate Jones, ha consegnato - anzi, restituito - una grande area di parco naturale ai suoi abitanti indigeni. Si tratta del Mitchell-Alice Rivers National Park, area protetta dal 1977 che copre un'area di 37mila ettari (371 chilometri quadrati) tra i fiumi Mitchell e Alice, affacciata sul golfo di Carpinteria.
«E' la prima volta che un parco nazionale viene restituito ai suoi proprietari tradizionali», ha detto la ministra durante la cerimonia di trasferimento ai rappresentanti dei popoli nativi Kunjen e Oykangand, originari della penisola: «E' un'occasione storica»: perché rappresenta una svolta rispetto agli annosi conflitti legali alla terra rivendicata dalle popolazioni native. E' il culmine di 19 anni «di duro lavoro e dedizione alla gestione della terra», ha aggiunto Colin Lawrence, uno degli anziani della popolazione Uw Oykangand.
In effetti questa «restituzione» è un precedente importante anche perché stabilisce un bel modello di gestione di questa terra, che resta un'area naturale protetta. Ora dunque il parco è stato ribattezzato Errk Oykangand National Park (Cape York aboriginal land), e sarà gestito congiuntamente dal governo del Qeensland e dai «proprietari originari».
Il parco è popolato da oltre 300 specie endemiche, incluso un coccodrillo «degli estuari» - nel suo ciclo annuale la zona si allaga completamente nella stagione delle piogge, mentre nella stagione secca l'acqua si ritira in lagune e insenature.
«I nostri parchi nazionali, prezioni per il loro valore ecologico, sono anche luoghi dove i proprietari tradizionali devono poter accedere», ha fatto notare la ministra Jones: «Nel parco si trovano molti luoghi sacri \, così una zona importante per l'eredità culturale è stata trasferita ai suoi abitanti ancestrali per assicurare che le tradizioni siano preservate e passate alle generazioni future». I rangers del parco saranno per oltre un terzo aborigeni discendenti delle popolazioni della regione o delle isole di Torres-Strait; nel training saranno coniugate «nuove professionalità con i saperi tradizionali», ha detto ancora la ministra.
Forse a orecchie esterne suona quasi un eccesso di retorica - dai «proprietari originari» ai «saperi tradizionali» ai «diritti ancestrali», in quella cerimonia è stato tenuto un vocabolario estremamente rigoroso. Ma non c'è molto di eccessivo in questo riconoscimento, in una nazione dove fino a non molti decenni fa la popolazione nativa ricadeva sotto le leggi «per la protezione della flora e della fauna». Del resto, solo un anno fa l'attuale governo (laburista) ha finalmente pronunciato le scuse della nazione verso i suoi abitanti nativi, per un passato di sterminio, schiavitù, discriminazioni.
La restituzione del parco ha coinciso con il riconoscimento legale al popolo Kowanyama come titolare nativo di 2.731 chilometri quadrati di terre e acque nella parte sud-occidentale di capo York - solo una parte del territorio rivendicato, ma pur sempre una parte importante. E anche questo è un precedente interesssante, perché le rivendicazioni territoriali dei nativi in Australia sono ancora molte.

domenica 25 ottobre 2009

Un giardino botanico fra i trulli salverà i frutti a rischio d´estinzione

Un giardino botanico fra i trulli salverà i frutti a rischio d´estinzione
MARTEDÌ, 20 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Bari

L´iniziativa

Visite e colazioni all´Orto di Bisceglie tornato a vivere grazie a Wwf e scout

Nel cuore della Valle d´Itria settecento alberi a dimora in dieci ettari di terreno Un progetto dell´associazione Pomona sostenuto dalle Università di Bari e del Salento
Piante selvatiche accanto a quelle domestiche: ecco il segreto per preservare la biodiversità

SONIA GIOIA
IL Giardino botanico comunale "Carlo Veneziani Santonio" di Bisceglie vive in simbiosi con le specie che lo abitano e insieme ai 250 esemplari di piante a dimora si rinnova. Con l´arrivo dell´autunno una nuova veste rende la struttura interamente visitabile grazie ai servizi in parte già installati con la collaborazione del gruppo scout guidato da Mimmo Rana. E partono le visite guidate organizzate dal Wwf: "I tesori dello scrigno" si propone di realizzare una ricerca storica sull´assetto botanico originario e la realizzazione del restauro del giardino attraverso una riqualificazione ambientale. "Colazioni dell´orto" invece è una visita guidata con colazione a base di prodotti locali (info 347.140.22.09 e 349.561.86.86). Raggiunto anche l´accordo con l´Orto botanico dell´Università di Bari che consentirà un ulteriore progetto di riqualificazione per il giardino biscegliese.
(elisabetta di zanni)
Il giardino dell´Eden ha coordinate terrestri: strada provinciale Cisternino-Locorotondo, contrada Figazzano, cuore della Valle d´Itria. E una dea pagana per protettrice e musa, Pomona, signora dei giardini e dei frutteti. Dalla divinità latina prende il nome il conservatorio botanico della agrobiodiversità gestito dall´associazione Pomona onlus, trapiantato, è il caso di dire, letteralmente, da Milano in Puglia circa cinque anni fa. Conservare e preservare le specie a rischio di estinzione, la missione.
Dieci ettari di terreno, oltre settecento alberi da frutto, fra i quali una collezione particolare di almeno duecento fichi - afgani, bosniaci, francesi, portoghesi, albanesi, israeliani e naturalmente pugliesi - in pacifica convivenza non solo fra loro, ma anche con la vegetazione mediterranea che spontaneamente sorge fra le zolle di una terra argillosa, rosso sangue. Il segreto è quello, lezione elementare rubata alla natura stessa: selvatico e domestico dimorano fianco a fianco, perché "la garanzia di sopravvivenza è la complessità". Parola di Paolo Belloni, 61 anni, fotoreporter per mestiere e contadino-filosofo per vocazione. Le braccia che lavorano la terra sono le sue, presidente dell´associazione e "padre" di questo museo vivente, al fianco di Hila Ndereke, contadino albanese di 50 anni dall´eloquio inversamente proporzionale alla saggezza con cui alleva gli alberi da frutto.
La collezione messa a dimora nel giardino di Pomona è un miracolo di archeologia botanica e di progettualità avveniristica. Paolo Belloni ha messo in contatto, attraverso l´associazione, raccoglitori informali e accademici, come Vito Savino, preside della facoltà di Agraria di Bari, e Francesco Minnone, studioso dell´Orto botanico dell´Università del Salento. Viaggiando sulle direttrici dello scambio e della ricerca, sono giunti qui, da ogni angolo del mondo, la più bella, la ciliegia progressiflora immortalata nelle tavole ottocentesche del ligure Giorgio Gallesio, e l´anziano signore del giardino, un pummelo venuto al mondo almeno 4 mila anni fa. Ma anche l´api etoilè, mela a forma di stella che si conserva molto a lungo, dono natalizio per i bimbi di Francia prima dell´assedio delle Playstation. E ancora, l´oliva greca leucocarpa, destinata all´Esposizione parigina del 1870, barattata da un commerciante greco in cambio di un passaggio per il ritorno in patria, dopo aver svuotato le borse gozzovigliando al fianco di Henri Toulouse-Lautrec.
Sono le storie che Paolo Belloni racconta agli scolaretti in visita al conservatorio botanico, aula a cielo aperto dove la biodiversità viene spiegata così: «Guardate le foglie di questo albero, non c´è foglia uguale all´altra, e nemmeno frutto, e nemmeno nocciolo». La spiegazione c´entra col segreto della vita stessa.
Creature come queste vivono nell´orto di Pomona, ad un passo da otto trulli destinati alla ristrutturazione come antica arte trullara comanda, che ospiteranno cento giorni all´anno turisti con libero accesso ai frutti di tutto il giardino. Per zittire i pragmatici del caso, un esempio contro tutte le possibili argomentazioni sull´antieconomicità dell´operazione: «Un fico, un solo frutto, in una città come Londra costa circa un euro - spiega Belloni - Ogni ospite avrebbe qui la possibilità di coglierne direttamente dall´albero e mangiarne a volontà». Trionfo del gusto, in barba al mercato.
Il futuro prossimo del conservatorio botanico è legato alla lungimiranza degli enti locali, amministrazione comunale di Cisternino e Regione Puglia innanzitutto, al cospetto dei quali pende un progetto per le cosiddette "Buone pratiche" per il piano paesaggistico territoriale. L´ambizione è quella di "costruire un prototipo ripetibile su piccola scala che coniughi la conservazione della biodiversità vegetale domestica e selvatica, la ricerca per la sua valorizzazione in cucina, l´educazione scolastica per una sana alimentazione, l´utilizzo delle energie alternative e il riciclo delle acque e dei rifiuti umidi con un nuovo modello di turismo rurale ecosostenibile". Progetto ambizioso, se la burocrazia ne permetterà il decollo.

sabato 24 ottobre 2009

Gerusalemme protesta, i palestinesi esultano: è la nostra rivincita

l’Unità 17.10.09
Il Consiglio dei diritti umani approva il rapporto di Goldstone
Gerusalemme protesta, i palestinesi esultano: è la nostra rivincita
Guerra di Gaza Primo sì dell’Onu alla condanna di Israele e Hamas
di Umberto De Giovannangeli

Con 25 voti a favore, 6 contro tra cui l’Italia e 11 astenuti, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato il rapporto Goldstone sulla guerra a Gaza. Israele si ribella, i palestinesi plaudono.

Il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato ieri il rapporto Goldstone che accusa Israele e Hamas di aver commesso crimini di guerra nell'operazione «Piombo fuso» nella Striscia di Gaza. Dei 47 membri del Consiglio, 25 hanno votato a favore della risoluzione che critica Israele per non aver cooperato con la missione dell'Onu guidata dal giudice sudafricano Richard Goldstone che ha indagato sulla guerra, in 6 hanno votato contro Italia, Stati Uniti, Olanda, Ungheria, Slovacchia e Ungheria mentre 11 si sono astenuti.
ACCUSE RECIPROCHE
Con l'adozione della risoluzione, il Consiglio dei Diritti Umani passa «urgentemente» la questione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, che potrebbe raccomandare il coinvolgimento della Corte internazionale di giustizia dell'Aja. Durissima la reazione dello Stato ebraico. Il rapporto Goldstone è «iniquo» e incoraggia «le organizzazioni terroriste in tutto il mondo», denuncia una nota ufficiale del ministero degli Esteri israeliano. «L'adozione di questa risoluzione pregiudica tanto gli sforzi per proteggere i diritti umani secon-do il diritto internazionale, come gli sforzi per promuovere la pace in Medio Oriente», si legge ancora nella nota. «Israele conclude il comunicato del ministero degli Esteri di Gerusalemme continuerà ad esercitare il suo diritto all'autodifesa e a prendere le azioni necessarie per proteggere la vita dei suoi cittadini». Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite «affosserà» la decisione della Commissione Diritti Umani dell'Onu sul Rapporto Goldstone: ne è certo Avi Pazner, ex ambasciatore di Israele a Roma e portavoce del governo di Gerusalemme che spiega: «Non siamo sorpresi afferma in questa commissione c'è una maggioranza di Paesi contro Israele, molti Paesi hanno votato contro, come l'Italia, o si sono astenuti. E così hanno fatto tutti i Paesi democratici. Da questo punto di vista è una vittoria israeliana. Ora il testo andrà al Consiglio di Sicurezza e sono sicuro che gli amici di Israele useranno il diritto di veto per affossare questa decisione. Il voto di oggi (ieri, ndr) è solo l'ennesima manifestazione d'odio nei confronti di Israele da parte di questa commissione che più volte si è distinta per un atteggiamento anti-israeliano».
L’ANP SODDISFATTA
Di segno opposto la reazione palestinese. «La decisione del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu di adottare il rapporto Goldstone è una rivincita del popolo palestinese», commenta Nabil Abu Rudeineh, portavoce dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). La decisione del Consiglio, prosegue il portavoce dell'Anp «dimostra il sostegno internazionale alla causa palestinese» ed è un gesto di «incoraggiamento da parte comunità internazionale per rafforzare la fiducia popolo palestinese nella giustizia e nei diritti». Infine, per Rudeineh, si tratta di un «precedente che può aiutare il popolo palestinese a difendersi da qualsiasi attacco futuro da parte di Israele». Ora, gli fa eco Yasser Abed Rabbo, segretario del comitato esecutivo dell’Olp, «è bene che il rapporto sia discusso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Da Gaza parla Hamas: «Ci auguriamo che il voto di Ginevra costituisca il primo passo per arrivare a processare i criminali di guerra israeliani», dichiara Fawzi Barhum, portavoce del movimento integralista palestinese

Radio radicale lancia l’allarme: rischiamo di chiudere

l’Unità 23.10.09
Radio radicale lancia l’allarme: rischiamo di chiudere

L’emendamento. 202 senatori di tutti i partiti: rinnovare la convenzione

«Attenzione, incombe il pericolo dell’eliminazione di Radio Radicale», avverte una mezza pagina a pagamento pubblicata ieri dal Foglio. La questione è reale. Il 21 novembre scade la convenzione tra il ministero dello Sviluppo e la radio per la trasmissione delle sedute del Parlamento. È dal 1976 che l’emittente assicura il servizio, dal 1994 è in vigore la convenzione che attualmente garantisce 10 milioni di euro lordi l’anno. I radicali si sono mobilitati, e hanno raccolto oltre 200 firme di senatori di vari partiti (tutto il gruppo del Pd, tranne la teodem Baio Dossi, ma ci sono anche vari big del Pdl come Nania, Baldassarri e Vizzini) in calce a un emendamento alla Finanziaria che garantisce il rinnovo della convenzione. «Il ministro Scajola ha dato delle rassicurazioni ma in Senato non si sa mai come va a finire...», spiegano i radicali. «Anche il sottosegretario Letta si è formalmente impegnato nella stessa direzione, e ci è stato autorevolmente assicurato che lo stesso presidente del Consiglio è d’accordo». Eppure Pannella, Bonino e il direttore Bordin non si fidano. «La situazione si è un po’ ingarbugliata, per questo lanciamo un appello al governo». Nel Pdl, del resto, non mancano voci contrarie, come Alessio Butti: «Dal 1998, data di inizio dei programmi di Gr Parlamento, Radio Radicale risulta un “doppione” e come tale viene meno la necessità del finanziamento da parte dello Stato». E proprio in risposta a Butti, nel dicembre 2008, il viceministro alle Comunicazioni Romani aveva spiegato che «allo scadere della convenzione verranno considerate la piena operatività della rete Rai dedicata ai lavori parlamentari e le esigenze di riduzione della spesa». A Butti replica Pannella: «Calunnie e menzogne, lo sfido a un confronto pubblico». A.C.

giovedì 15 ottobre 2009

VAL DI SUSA. SQUILLI DI RIVOLTA. Pasticciaccio ad alta velocità

VAL DI SUSA. SQUILLI DI RIVOLTA. Pasticciaccio ad alta velocità
di Riccardo Bocca
09 OTTOBRE 2009, L'ESPRESSO

Dal percorso ai rischi ambientali, il governo Berlusconi non ha mantenuto gli impegni sulla Tav in Piemonte. E sembra pensare soltanto alle gallerie. Per questo sindaci e comitati scendono di nuovo sul piede di guerra

Basta guardarsi attorno, per capire che aria tira. Basta alzare gli occhi a destra, appena infilata la Val di Susa, Piemonte vecchio stampo, quadrato, testardo e genuino, in cui primo secondo e caffè costano ancora 10 euro, e leggere la scritta che campeggia sul monte Musinè: "No Tav, no mafia". Uno slogan ripetuto più volte, lungo i 90 chilometri che da Avigliana portano al confine francese. Ecco il comune di Sant'Ambrogio, poche case in fila sulla strada, con le bandiere No Tav che sventolano dai lampioni. Ecco Venaus, due passi più a nord, con la sua rabbia compressa in frasi come 'Resistere per esistere', 'L'Alta velocità non si fa, punto e basta', 'Val di Susa libera'. Fino agli insulti, alle parole in spray nero sulla statale che recitano: 'Virano viscido ruffiano'. Dove Virano di nome fa Mario, ed è l'architetto al vertice dell'Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino-Lione, tavolo di concertazione tra governo, regione ed enti locali voluto nel 2005 dal terzo governo Berlusconi. Una struttura sotto schiaffo, con i No Tav che ne invocano la chiusura e spezzoni di centro-sinistra tentati di dargli ragione.

C'è un brutto pensiero, che circola in queste ore per la Val di Susa. È il ricordo di quanto accaduto quattro anni fa, quando migliaia di cittadini si opposero fisicamente alla polizia e furono coperti di botte e manganellate. "Allora contestavano i sondaggi del terreno", commenta Andrea Debernardi, ingegnere trasportista che rappresenta nell'Osservatorio la Comunità montana della bassa valle. "Adesso il problema è diverso: siamo alla vigilia di quest'opera colossale, ma il governo insiste a muoversi su un doppio registro. Da un lato firma impegni ufficiali per tutelare la valle, garantendo il dialogo a livello locale, dall'altro pare interessato soprattutto a scavare gallerie".

Il peggio, per i valsusini. Nessuno di loro ha dimenticato l'incomprensibile serenità con cui, lo scorso 30 luglio, il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli ha avviato la fase operativa dei lavori (vedi box a pag. 79). "In autunno", ha avvertito i sindaci, "partiranno i carotaggi esplorativi". E sta mantenendo la parola. A metà novembre, un esercito di tecnici inizierà a trapanare la Val di Susa in 37 punti. "Dopodiché, quelli che oseranno criticare la Torino-Lione, verranno spacciati per nemici della modernità, contrari al famoso Corridoio 5 che dovrebbe collegare Lisbona a Kiev", prevede Angelo Tartaglia, docente di Fisica al Politecnico di Torino e membro dell'Osservatorio. "La verità è un'altra: molti amministratori, studiosi e cittadini della Val di Susa sono scettici, profondamente scettici sulla Tav, perché sanno di cosa si tratta. I politici nazionali, no: dicono 'evviva, avanti tutta, lanciamoci verso la grande Europa'. Ma in totale ignoranza, pensando solo ai finanziamenti che si potranno ottenere".

Parole dure, amare. In linea con una vicenda sempre in bilico tra sospetti e polemiche. Fin dai primi anni Novanta, quando le Ferrovie italiane hanno ipotizzato di collegare Torino e Lione con una linea superveloce. "Progetto suggestivo ma presto abortito", dice Antonio Ferrentino, sindaco di Sant'Antonino di Susa oltre che presidente in uscita della Comunità montana della bassa valle. "La ragione è semplice: le previsioni, in quel momento, mostravano che il traffico passeggeri non sarebbe cresciuto a sufficienza per un'impresa tanto imponente". Così si è cambiata idea, passando dal pianeta dei viaggiatori a quello dell'Alta capacità, dedicata soprattutto al traffico merci. "Nel 2001", racconta l'ingegner Debernardi, "Italia e Francia hanno sottoscritto un trattato per progettare la nuova linea, con tanto di tunnel transalpino lungo 50 chilometri". Doveva essere il primo passo per un futuro di tecnologia e integrazione, e invece quattro anni dopo 60 mila valsusini sono scesi in strada a manifestare contro la Tav. "Per varie e non banali questioni", ricorda Stefano Lenzi, responsabile del settore legislativo Wwf: "partendo dal rischio amianto, passando per i dubbi sull'utilità dell'opera - tuttora irrisolti -, fino alla tutela ambientale di un fondovalle largo nel suo punto massimo un chilometro e mezzo, e già attraversato da una linea ferroviaria, due statali (24 e 25), una provinciale e l'autostrada del Frejus".

Un dato è certo, a prescindere dagli schieramenti pro o contro Tav. Se in questa fine 2009 la Torino-Lione è ancora materia incandescente, in Val di Susa, capace di spaccare in due alla vigilia delle elezioni locali (7 novembre) il Partito democratico, con gli amministratori valligiani ostili all'opera e i vertici romani che li scomunicano sui giornali, è perché qualcuno non ha mantenuto le promesse. "E quel qualcuno si chiama governo", ammettono gli stessi tecnici dell'Osservatorio. Niente a che vedere con la miopia retrò di qualche estremista, o con l'egoistica sindrome Nimb ("Not in my backyard, Non nel mio giardino"). Piuttosto, riconosce il trasportista Debernardi, "si è disatteso, quasi completamente, il documento chiave dell'Osservatorio, intitolato 'Punti di accordo per la progettazione della nuova linea e le nuove politiche di trasporto'". Sei pagine dove, nel giugno del 2008, il presidente Virano ha indicato le conclusioni del suo gruppo di lavoro. Sottolineando, nero su bianco, "l'indispensabilità di un coordinamento rigoroso di tutti gli interventi trasportistici concordati, degli impegni assunti con le comunità locali, e delle logiche progettuali relative agli aspetti tecnici e paesaggistici, territoriali e ambientali".

"In pratica", sintetizza il professor Tartaglia, "un'assicurazione a 360 gradi che gli enti locali e il governo avrebbero lavorato assieme: sia in Val di Susa, sia nella tratta che attraverso l'hinterland raggiunge Torino". Premesse a cui l'Osservatorio ha fatto seguire un elenco delle priorità da rispettare. Ad esempio, la ratifica del Protocollo trasporti della Convenzione alpina (alla quale aderiscono anche Francia, Svizzera, Austria, Slovenia, Germania, Principato di Monaco e Liechtenstein). "Lo scopo era fornire una cornice giuridica al trasferimento del traffico dalla strada alla rotaia", spiegano gli esperti, "rinunciando nel frattempo alla costruzione di nuove autostrade transalpine". Ma le parole sono rimaste parole: "Lo scorso aprile", dice Debernardi, "il protocollo è stato approvato dal Parlamento europeo, mentre la ratifica italiana sta tardando ad arrivare".

Stesso problema, per altri punti essenziali del documento di Pra Catinat. Ad esempio, riguardo all'impegno preso per "il progressivo aumento, a partire dal 2009, della quantità e qualità del servizio ferroviario passeggeri della linea storica", con "l'intervento straordinario sulle stazioni" e il miglioramento di"efficienza e comfort". Promesse apprezzate dai politici locali, ma che suonano grottesche arrivando nella stazione di Susa. Qui, dei tre binari esistenti due sono interrotti, recisi materialmente, e nessuno si è messo all'opera per riattivarli. Di più: nella costante penuria di treni, le rotaie sono occupate da cassette di polistirolo, preservativi, lattine. Per non dire della sala d'aspetto o della facciata, in condizioni imbarazzanti.

"Scrivetelo, per favore! Spiegatelo che non siamo folli rivoluzionari, ma soltanto cittadini in allarme...", chiede il No Tav Claudio Giorno sotto al patio del presidio di Borgone, nella bassa valle. "La cosa che pochi sanno, fuori dalla Val di Susa, è che a gennaio 2009 il governo ha siglato un accordo con la Regione Piemonte per favorire il trasferimento modale (da strada a rotaia) e finanziare il sistema ferroviario torinese". Ma nonostante questo, aggiunge, "nessuno ha visto i 200 milioni che avrebbe dovuto stanziare il ministero delle Infrastrutture: soltanto 500 mila euro, sono previsti dallo Stato. Briciole, in confronto al necessario, una presa in giro che ci offende e demoralizza...".

"È vero", ammette il presidente e commissario straordinario dell'Osservatorio Virano, "il governo non ha ancora rispettato tutti gli impegni presi. Ma ciò non significa che non lo farà. E comunque, l'Osservatorio continua a lavorare per una gestione condivisa dell'opera". Un impegno apprezzabile, anche se rischia di perdersi tra mille contraddizioni. Per dire: "Nel documento di Pra Catinat", nota il Wwf, "si invita alla graduale limitazione dei mezzi pesanti sulle strade alpine, essenziale in Val di Susa perché il trasporto si sposti dai camion ai vagoni". Eppure il governo "ha fatto finta di niente", denunciano gli ambientalisti: "Anzi: continua a spingere nella direzione opposta, incentivando gli autotrasportatori con la legge 133 del 2008, che garantisce contributi pubblici contro gli aumenti del gasolio".

Dopodiché non è difficile, per i paladini dell'anti-Tav, raccogliere applausi e voti in valle e nel torinese. Basta che elenchino le promesse fatte dal governo, o i buoni propositi dell'Osservatorio, e li confrontino con la realtà. "Sia chiaro, non vogliamo bocciare a priori la Torino-Lione", precisa Nicola Pollari, sindaco Pd di Venaria, 35 mila abitanti alla periferia nord ovest di Torino, "ma nemmeno permettere che siano umiliati i territori". A Venaria, dice il sindaco, lo spauracchio è che l'Alta capacità strangoli ulteriormente la cittadina, già assediata da infrastrutture ingombranti come una tangenziale, l'autostrada, più tre linee ad alta tensione. E poco cambia, spostandosi nella vicina Rivalta. "Il punto di domanda", sostiene il sindaco Amalia Neirotti, presidente piemontese dell'Anci (Associazione nazionale comuni italiani), "è se la Tav possa davvero incentivare l'economia locale, oppure è soltanto un treno che corre veloce". Poco distante dal suo ufficio, indica una delle tante incognite Fiat: "un'area in semi disarmo, pari a un milione 750 mila metri quadrati, che potrebbe in teoria beneficiare della Tav, se qualcuno si degnasse di ragionare a un tavolo". Qualche chilometro a fianco, invece, si accede liberamente all'interporto di Orbassano, indicato dall'Osservatorio come punto focale per il carico e lo scarico delle merci. "Uno spettacolo desolante", dice il No Tav Alberto Poggio. Poi cammina tra i pochi treni presenti e i tanti binari morti, arrugginiti, in parte smantellati.

Riuscirà tutto questo a diventare in tempi accettabili la fantastica Tav? Riusciremo, ammesso che cresca il traffico verso nord di persone e materiali, e che la grande opera si riveli sensata, a garantire standard internazionali? Dura, molto dura suggeriscono i numeri. Soltanto la tratta comune, quella con il tunnel di oltre 50 chilometri e relativa galleria geognostica (che il governo preme per realizzare, nel comune di Chiomonte, ancor prima che venga fissato definitivamente il tracciato) costerà a Italia e Francia 9 miliardi 820 milioni di euro (vedi scheda a pag. 77). Ma questo scoglio non spaventa i politici. Al contrario: "Tutta la storia della Tav, in Italia, è fatta di soldi che non c'erano e che non sono mai arrivati", sorride l'esperto di Alta velocità Ivan Cicconi. Dunque preferiscono guardare altrove, i palazzi romani: magari ai 671,8 milioni di euro con i quali l'Europa sponsorizza la tratta comune al confine (affidata alla società Ltf, Lyon Turin Ferroviaire), o ai 52 milioni 740 mila concessi dalla Ue al segmento italiano. "Cifre importanti, che meriterebbero condivisione e trasparenza", sottolinea Antonio Ferrentino, della Comunità montana della bassa valle: "non il clima da inciucio e prepotenza che stiamo vivendo".

Il riferimento, esplicito, è alla legge Obiettivo: quella che consente al governo di realizzare grandi opere senza coinvolgere direttamente gli enti locali nei progetti preliminari (e, a ruota, nelle valutazioni di impatto ambientale). "Quattro anni fa", ricorda Ferrentino, "la presidente del Piemonte Mercedes Bresso ha applaudito l'uscita da questa procedura, in nome 'del dialogo e della concertazione'. Oggi, la stessa Bresso, dà il via libera come Virano per riportare la Torino-Lione in quella legge scivolosa". Un esempio, conclude Ferrentino, "della coerenza in campo". E una provocazione per la gente della Val di Susa: "ancora più esplosiva, quando arriveranno sul posto le trivelle ministeriali"