domenica 23 maggio 2010

Chomsky: Israele è paranoico. E va in visita da Hezbollah

L’Unità 23.5.10
Chomsky: Israele è paranoico. E va in visita da Hezbollah

Per l'accademico e esponente della sinistra radicale Usa Noam Chomsky Israele è «isterico e paranoico», ma è difficile che scatenerà una guerra contro Hezbollah: «se gli israeliani useranno la testa non
lo faranno». L'intellettuale ebreo americano, respinto da Israele giorni fa, è andato nel Libano meridionale, dove il movimento Hezbollah, che gli Stati Uniti considerano come terrorista, sta celebrando il decimo anniversario della liberazione dall' occupazione militare israeliana. Chomsky ha partecipato alla cerimonia di inaugurazione di un museo dedicato a Hezbollah e alle sue azioni militari. Il responsabile di Hezbollah per il sud del Libano, sheikh Nabil Qaouq Qaouq, è in allerta per le manovre difensive israeliane di oggi e ha detto che «in caso di una nuova aggressione contro il Libano, gli israeliani non troveranno posti per nascondersi».

domenica 16 maggio 2010

«La guerra sporca di Gaza. L’ordine era sparare a tutto ciò che si muoveva»

l'Unità 15.5.10
«La guerra sporca di Gaza. L’ordine era sparare a tutto ciò che si muoveva»
I racconti di soldati israeliani confermano che l’Operazione Piombo Fuso lanciata da Israele fu condotta violando le regole di ingaggio «Sulla spiaggia camminavamo su pezzi di vetro, è l’effetto del fosforo bianco»
di Umberto De Giovannangeli

Aron, 24 anni
«Non potevo tacere su ciò che ho visto, mi sarei sentito un traditore»
Il racconto
«La potenza di fuoco è stata enorme, la terra tremava continuamente»

So che c’è chi ci considera dei traditori, dei venduti al nemico. Ero orgoglioso di vestire la divisa di Tsahal e di difendere il mio Paese. Ma quello a cui ho assistito è qualcosa che va contro ciò in cui credevo. E se fossi rimasto in silenzio, allora sì che mi sarei sentito un traditore...». Aron ha 24 anni ed ha combattuto in un reparto di élite dell’Idf (l’esercito dello Stato ebraico) durante l’operazione «Piombo Fuso» condotta dalle armate israeliane a Gaza. Aron è a conoscenza delle denunce di associazioni umanitarie internazionali sull’uso di armi non convenzionali a Gaza. «Qualcosa circolava tra noi al riguardo dice a l’Unità ma chi provava a saperne di più veniva subito zittito». Le considerazioni di Aron riportano a quanto denunciato in un libretto dall’organizzazione Breaking the silence, organizzazione di veterani israeliani che dal 2004 raccoglie testimonianze dei colleghi sugli abusi commessi dall’esercito nei Territori Occupati. Tutte le 54 testimonianze raccolte sono anonime. Esse mettono in luce la facilità con cui si sono distrutte case e moschee, anche se non erano obiettivi militari; l’uso di bombe al fosforo in zone popolate da civili; l’uccisione di vittime innocenti; la distruzione di proprietà private; regole vaghe su cosa fare di fronte ai palestinesi, che ha permesso un uso spropositato delle armi da fuoco per uccidere. Mikhael Mankin di Breaking the silence afferma che «le testimonianze provano che il modo immorale in cui la guerra è stata condotta è dipeso dal sistema in atto, più che dagli individui».
Fosforo banco 1 Testimonianza: Che cos’era la storia dell’uso di bombe di mortaio al fosforo bianco? Il comandante della compagnia dà al comandante del plotone che ha il mortaio un obiettivo e gli ordina di fare fuoco. Che cosa c’era, lo sa? Un obiettivo. Li definiscono obiettivi. Non so veramente dire cosa fosse. Qualche volta si sentiva alla radio: «Via libera, fosforo nell’aria». Tutto qua. Non mi ricordo se venisse confermato dal comandante della compagnia, ma so anche di un ufficiale che sparò senza chiedere l’autorizzazione. Perché sparare fosforo? Perché è divertente. Fantastico. Professionalmente avete del fosforo da usare contro queste minacce? Non so a quale scopo sia usato. Ne stavo proprio parlando ieri. Non capisco come queste munizioni siano tra i nostri rifornimenti se poi non dobbiamo usarle. È ridicolo»
Fosforo bianco 2 Poi siamo ritornati a nord, a circa 500 metri dal recinto, e siamo rimasti là di guardia tutta la notte. Non abbiamo visto niente di speciale. Il giorno dopo siamo tornati alla base per prendere
nuovi ordini della missione e siamo stati di nuovo assegnati ad un’unità del battaglione *** con cui siamo entrati. Abbiamo camminato con loro sulla spiaggia e abbiamo visto tutte le bombe al fosforo bianco di cui le ho detto, abbiamo visto vetri sulla sabbia. Può descriverlo? Che cosa ha visto? Cammini lungo la sabbia e senti questo scricchiolio di qualcosa che viene frantumato. Abbiamo guardato per terra e abbiamo visto delle cose che sembravano frammenti di mi-
gliaia di bottiglie di vetro rotte. Che colore avevano? Marrone sporco. Ne ha visto dei resti da altre parti nelle vicinanze? C’era un’area di circa 200-300 metri quadrati di sabbia vetrosa come quella. Abbiamo capito che veniva dal fosforo bianco ed è stato sconvolgente. Perché? Perché durante l’addestramento si impara che il fosforo bianco non si usa, e si impara che non è umano. Si vedono dei film e si vede quello che fa alla gente che ne è colpita, e ti dici “Ecco, è quello che stiamo facendo”. Non è quello che mi aspettavo di vedere. Fino a quel momento, avevo pensato di appartenere all’esercito più umano del mondo....».
Fosforo bianco 3 Lì è stato senz’altro usato del fosforo bianco, l’ho visto e non ci si può sbagliare, si vedono proprio degli ombrelli infiammati. «È successo qualcosa di nuovo nell’Operazione Piombo Fuso a Gaza, qualcosa che non era mai accaduto», ribadisce Yehuda Shaul, 26 anni, uno dei fondatori di Breaking the Silence. «Non ho mai sentito storie come queste. L’aggressività dei comandanti, l’uso massiccio dell’artiglieria in un’area urbana, la scomparsa della distinzione tra civili e combattenti. Sono entrati a Gaza senza regole d’ingaggio. Si sparava a tutto ciò che si muoveva e che non si muoveva. Ci sono testimonianze sulla demolizione di massa di abitazioni senza che ce ne fossero necessità operative».
Un soldato che operò al cannone di un carro armato al nord est della frangia spiega che se dovevano girare e non c’era visibilità «si sparavano dodici bombe alle case intorno e si continuava». In due settimane di offensiva dice di aver sparato 50 bombe, 32 casse di munizioni da mitra-
gliatrice media (più di 7.000 colpi), 20 colpi di mortaio da 60mm e 300 cariche da mitragliatrice pesante Browning 0.5. «E questo è solo un carro: ce n’erano più di duecento», aggiunge.
Una scala completamente diversa. Lei ha servito nell’esercito a Gaza per anni, è stata una distruzione in qualche modo simile a quelle che ha conosciuto prima? No, nel modo più assoluto. Si è trattato di una scala completamente diversa. Questa è stata una potenza di fuoco come non ne ho mai conosciuto. Non posso dire che quando ero a Gaza non si fosse usata l’aviazione. Ma no, la terra non tremava di continuo. Voglio dire, c’erano tutto il tempo esplosioni. Se fossero lontane o vicine, questa è già semantica. Ma la nostra sensazione di fondo era che la terra tremasse costantemente. Si sentivano tutto il giorno esplosioni, la notte era piena di bagliori, un’intensità che non avevo mai provato prima. Molti bulldozer D-9 operavano 24 ore su 24, erano costantemente occupati. Questa è stata una scala di intensità molto diversa da quelle conosciute prima. Molto più grande...
Guardi, quando ci sparavano, non vedevamo veramente il nemico con i nostri occhi. D’altra parte, ci sparavano e noi rispondevamo al fuoco verso punti sospetti. Che cos’è un punto sospetto? Significa che decidevi che era sospetto e potevi riversargli addosso tutta la tua rabbia». Una rabbia «non convenzionale». Come le armi utilizzate.
I vertici politici e militari israeliani hanno contestato queste affermazioni e proposto controdeduzioni. Ma la forza di una democrazia e quella israeliana è tale sta nel non chiudere gli occhi di fronte alle pagine più nere, alle denunce più gravi. «La risposta ai razzi Qassam è stata sproporzionata e le testimonianze dei soldati non fanno che dimostrare quanto brutale fosse la situazione sul campo», rileva Valentina Azarov. esperta legale di HaMoked, il Centro per la Difesa dell’Individuo associazione dei diritti umani con sede a Gerusalemme Est.

venerdì 14 maggio 2010

«La guerra di Gaza causò mutazioni genetiche»

l’Unità 14.5.10
«La guerra di Gaza causò mutazioni genetiche»
Rapporto shock sui danni provocati dall’uso di armi segrete nel conflitto lanciato da Israele. Sui corpi feriti trovati metalli tossici e sostanze cancerogene
Le analisi condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
di Umberto De Giovannangeli

Le analisi. Condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
Mezzi sperimentali. Non hanno lasciato schegge o frammenti sui corpi colpiti

La guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati». Così scriveva David Grossman riflettendo sulle conseguenze dell'operazione Piombo Fuso scatenata da Israele nella Striscia di Gaza. Quella ferita continua a sanguinare e come un tragico Vaso di Pandora da quella prigione a cielo aperto e isolata dal mondo che è Gaza, continuano a uscire notizie raccapriccianti.
Come la storia che l'Unità ha deciso di raccontare dopo aver compiuto i necessari riscontri. Una storia sconvolgente. Metalli tossici ma anche sostanze carcinogene, in grado cioè di provocare mutazioni genetiche. È quanto individuato nei tessuti di alcune persone ferite a Gaza durante le operazioni militari israeliane del 2006 e del 2009. L'indagine ha riguardato ferite provocate da armi che non hanno lasciato schegge o frammenti nel corpo delle persone colpite, una particolarità segnalata più volte dai medici di Gaza e che indicherebbe l'impiego sperimentale di armi sconosciute, i cui effetti sono ancora da accertare completamente.
La ricerca, che ha messo a confronto il contenuto di 32 elementi rilevati dalle biopsie attraverso analisi di spettrometria di massa effettuate in tre diverse università, La Sapienza di Roma, l'Università di Chalmer (Svezia) e l'Università di Beirut (Libano) è stata coordinata da New Weapons Research Group (Nwrg), una commissione indipendente di scienziati ed esperti basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali per investigare i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree in cui vengono utilizzate. La rilevante presenza di metalli tossici e carcinogeni, riferisce la commissione in un comunicato, indica rischi diretti per i sopravvissuti ma anche di contaminazione ambientale. I tessuti sono stati prelevati da medici dell'ospedale Shifa di Gaza City, che hanno collaborato a questa ricerca e classificato il tipo di ferita delle vittime. L'analisi è stata realizzata su 16 campioni di tessuto appartenenti a 13 vittime.
I campioni che fanno riferimento alle prime quattro persone risalgono al giugno2006, periodo dell' operazione «Piogge estive». Quelli che appartengono alle altre 9 sono state invece raccolti nella prima settimana del gennaio 2009, nel corso dell'operazione Piombo Fuso.
Tutti i tessuti sono stati esaminati in ciascuna delle tre università. Inglobare schegge o respirare micropolveri di tungsteno, metallo pesante e notoriamente cancerogeno, non potrà che provocare nella popolazione sopravvissuta o che vive nei dintorni un aumento della frequenza di insorgenze tumorali.
Sono stati individuati quattro tipi di ferite: carbonizzazione, bruciature superficiali, bruciature da fosforo bianco e amputazioni. Gli elementi di cui è stata rilevata la presenza più significativa, in quantità molto superiore a quella rilevata nei tessuti normali, sono: alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto, mercurio, vanadio, cesio e stagno nei campioni prelevati dalle persone che hanno subito una amputazione o sono rimaste carbo-
nizzate; alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto e mercurio nelle ferite da fosforo bianco; cobalto, mercurio, cesio e stagno nei campioni di tessuto appartenenti a chi ha subito bruciature superficiali; piombo e uranio in tutti i tipi di ferite; bario, arsenico, manganese, rubidio, cadmio, cromo e zinco in tutti i tipi di ferite salvo che in quelle da fosforo bianco; nichel solo nelle amputazioni. Alcuni di questi elementi sono carcinogeni (mercurio, arsenico, cadmio, cromo nichel e uranio), altri potenzialmente carcinogeni (cobalto, vanadio), altri ancora fetotossici (alluminio, mercurio, rame, bario, piombo, manganese). I primi sono in grado di produrre mutazioni genetiche; i secondi provocano questo effetto negli animali ma non è dimostrato che facciano altrettanto nell’uomo; i terzi hanno effetti tossici per le persone e provocano danni anche per il nascituro nel caso di donne incinte: sono in grado, in particolare l'alluminio, di oltrepassare la placenta e danneggiare l’embrione o il feto. Tutti i metalli trovati, inoltre, sono capaci anche di causare patologie croniche dell’apparato respiratorio, renale e riproduttivo e della pelle. La differente combinazione della presenza e della quantità di questi metalli rappresenta una «firma metallica».
«Nessuno – spiega Paola Manduca, che insegna genetica all'Università di Genova, portavoce del New Weapons Research Group – aveva mai condotto questo tipo di analisi bioptica su campioni di tessuto appartenenti a feriti. Noi abbiamo focalizzato lo studio su ferite prodotte da armi che non lasciano schegge e frammenti perché ferite di questo tipo sono state riportate ripetutamente dai medici a Gaza e perché esistono armi sviluppate negli ultimi anni con il criterio di non lasciare frammenti nel corpo. Abbiamo deciso di usare questo tipo di analisi per verificare la presenza, nelle armi che producono ferite amputanti e carbonizzanti, di metalli che si depositano sulla pelle e dentro il derma nella sede della ferita”. «La presenza – prosegue – di metalli in queste armi che non lasciano frammenti era stata ipotizzata, ma mai provata prima. Con nostra sorpresa, anche le bruciature da fosforo bianco contengono molti metalli in quantità elevate. La loro presenza in tutte queste armi implica anche una diffusione nell'ambiente, in un'area di dimensioni a noi ignote, variabile secondo il tipo di arma. Questi elementi vengono perciò inalati dalla persona ferita e da chi si trovava nelle adiacenze anche dopo l'attacco militare. La loro presenza comporta così un rischio sia per le persone coinvolte direttamente, che per quelle che invece non sono state colpite». L'indagine fa seguito a due ricerche analoghe del Nwrg. La prima, pubblicata il 17 dicembre 2009, aveva individuato la presenza di metalli tossici nelle aree di crateri prodotti dai bombardamenti israeliani a Gaza, indicando una contaminazione del suolo che, associata alle precarie condizioni di vita, in particolare nei campi profughi, espone la popolazione al rischio di venire in contatto con sostanze velenose.
La seconda ricerca, pubblicata il 17 marzo scorso, aveva evidenziato tracce di metalli tossici in campioni di capelli di bambini palestinesi che vivono nelle aree colpite dai bombardamenti israeliani all'interno della Striscia di Gaza. Una conferma viene anche da attendibili fonti mediche palestinesi indipendenti a Gaza City contattate dall'Unità. Tra queste, Thabet El-Masri, primario del reparto di terapia intensiva presso l’ospedale Shifa di Gaza, il dottor Ashur, direttore dello Shifa Hospital e il dottor Bassam Abu Warda direttore della struttura medica attiva a Jabalya, il più grande campo profughi della Striscia (300mila persone).
«L'occupazione di Gaza – riflette Gideon Levy, una delle firme del giornalismo israelianoha semplicemente assunto una nuova forma: un recinto al posto delle colonie. I carcerieri fanno la guardia dall'esterno invece che all'interno». Ed è una «guardia» spietata.

martedì 4 maggio 2010

"Il Po avvelenato per trent'anni"

"Il Po avvelenato per trent'anni"

Terra del 4 maggio 2010

Davide Mazzocco

Ieri, sul maxischermo dell’aula uno del Palazzo di Giustizia di Torino, le immagini delle variazioni morfologiche e antropologiche della riva destra del fiume Po nella zona limitrofa alla fabbrica dell’Eternit di Casale Monferrato hanno ricordato quanto profonda sia stata la ferita inflitta dall’azienda elvetica alla cittadina alessandrina. Dopo le prime udienze spese per mettere in moto l’elefantiaca macchina processuale e le prime testimonianze - cominciate il 12 aprile con la lunga deposizione del sindacalista Nicola Pondrano, artefice di 35 anni di lotte a tutela della salute dei casalesi - ieri, in aula, è stata la volta di Laura Turconi, consulente tecnica del procuratore Raffaele Guariniello. Nella sua relazione, la geologa ha sottolineato come l’azienda abbia scaricato «continuativamente materiali a elevato contenuto di amianto per 20 tonnellate a settimana» sfruttando il canale Mellana che dallo stabilimento va al fiume. E quel canale è diventato veicolo di morte. Sulla sponda sinistra del fiume è emerso che «i mezzi su ruota portavano rifiuti fin qui, dal ‘76 rifiuti pericolosi».
Nel 1988 Piercarlo Busto morì di mesotelioma pleurico all’età di 35 anni, uno dei decessi più precoci che Casale ricordi. «Partecipava a gare di podismo e si allenava tutti i giorni correndo lungo il canale» ricorda la sorella Giuliana. Anche le piccole palafitte in eternit costruite dai pescatori a ridosso del fiume hanno procurato dolore e sofferenza a chi non cercava che qualche ora di svago. Sulla sponda sinistra, invece, è emerso come i rifiuti venissero portati con mezzi su ruota che sparpagliavano così il "polverine" per le
vie di Casale anche durante il tragitto.
Da un lato e dall’altro si formarono così le cosiddette "spiagge bianche", veri e propri depositi dell’asbesto che attualmente fa ammalare 50 casalesi ogni anno. Anche Giorgio Demezzi, attuale sindaco di Casale Monferrato, è stato ascoltato come testimone: «Inizialmente le patologie colpivano soprattutto i lavoratori dell’Eternit, poi si sono avuti casi di persone ammalate che non avevano avuto a che fare direttamente con l’azienda, ma solo indirettamente, attraverso familiari che ci lavoravano. Ora sono presenti anche tra chi non ha avuto alcun legame con l’Eternit e nemmeno viveva vicino allo stabilimento.
Questo ci preoccupa molto. Il periodo di latenza delle patologie è di 25 anni: non abbiamo raggiunto l’apice, che secondo gli esperti sarà toccato nel 2020. Attualmente stiamo cercando di sensibilizzare l’Asl e l’assessorato regionale affinché nell’ospedale di Casale vengano messi a disposizione i protocolli più innovativi e perché si utilizzi questa esperienza nefasta per rendere disponibili i dati alla ricerca». Resta
aperto il discorso riguardante la bonifica. Il Governo ha dato l’ok per procedere e negli anni successivi sono cominciati i lavori: «Per quanto riguarda il polverino l’attività è in itinere e ci sono ancora delle aree scoperte. Restaurando il Castello ci siamo accorti che vi era dell’amianto. I finanziamenti dovranno aumentare: finora sono 120 i siti individuati come interessati, ma aumenteranno. E oltre a Casale ci sono i 48 comuni limitrofi».
Accanto al fronte processuale, alle attività di bonifica del territorio e alle sfide che attendono gli epidemiologi, i casalesi si stanno battendo per superare i traumi psicologici legati all’esposizione all’amianto. La professoressa Antonella Granieri, direttrice della Scuola di specializzazione in psicologia clinica dell’Università degli studi di Torino, e la sua assistente Francesca Borgogno stanno cercando di facilitare l’elaborazione del trauma collettivo attraverso gli incontri settimanali di alcuni gruppi multifamiliari.
Ieri mattina è nata una discussione su chi fra l’attuale presidente della regione Roberto Cota e la ex presidente Mercedes Bresso dovesse riferire in merito alle problematiche ambientali causate dagli stabilimenti Eternit di Casale Monferrato e Cavagnolo. Si è deciso di convocarli entrambi per la prossima udienza di lunedì 10 maggio.
Ieri, intanto, è arrivata fragorosa la denuncia di Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale del gruppo Pd: nelle città italiane sarebbero almeno 32milioni le tonnellate di amianto da smaltire. Citando dati del Consiglio Nazionale delle Ricerche, la parlamentare ha annunciato l’invio di un’interrogazione urgente. Nonostante «500 chili di amianto per abitante e due miliardi e mezzo di metri quadrati di coperture in eternit, pari a una città di 60mila abitanti fatta solo di amianto ha denunciato - quello che più sconcerta è l’indifferenza del governo».