lunedì 30 marzo 2009

Piombo Fuso a Gaza. «I rabbini incitarono i soldati alla guerra santa»

l'Unità 30.3.09
Piombo Fuso a Gaza. «I rabbini incitarono i soldati alla guerra santa»
di Umberto De Giovannangeli

Drammatiche testimonianze dei militari coinvolti nelle operazioni militari nella Striscia. «Sembrava una missione religiosa» dice il soldato Ram. Un altro accusa i rabbini: «Dicevano: per i nemici punizione divina».

Guerra agli infedeli. Gli «infedeli» di Gaza. Racconta il soldato Ram: «Il loro messaggio è stato molto chiaro: noi siamo i giudei, noi siamo arrivati in questa terra per miracolo, Dio ci ha riportato qui e ora noi dobbiamo combattere per espellere gli infedeli che stanno interferendo con la nostra conquista di questa terra occupata». Ram ha fatto parte di un reparto di élite di Tsahal nei giorni dell’operazione «Piombo Fuso» nella Striscia. Quando parla di «loro», Ram si riferisce ai rabbini ortodossi e ultranazionalisti dell’esercito. L’Unità ha avuto modo di prendere visione delle testimonianze di soldati e ufficiali che hanno partecipato ad un meeting organizzato dalla Scuola di Preparazione Militare dell’accademia Oranim, nel nord d’Israele. Alla conferenza erano presenti decine di allievi della scuola militare: tutti hanno prestato servizio nelle unità di combattimento di Tsahal e hanno partecipato attivamente agli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza condotti dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009 (oltre 1300 morti, più di 5000 feriti, secondo stime palestinesi e internazionali).
È sempre il soldato Ram a parlare: «Abbiamo provato – dice – sensazioni simili a quelle di una missione religiosa». Le operazioni sono cominciate con un sergente credente che «ha riunito l’intero plotone e ha guidato la preghiera per coloro che stavano per partire in missione». «Anche quando eravamo in missione hanno spedito opuscoli pieni di salmi. Credo che nella casa dove alloggiavamo avremmo potuto riempire una stanza con tutti i salmi che avevamo ricevuto».
I RACCONTI
«Nessuno di noi contestava la legittimità di colpire quelli di Hamas, ma l’uccisione di decine di civili non poteva essere liquidata come un “effetto collaterale”… E a chi poneva questi problemi, un rabbino estremista ha risposto: I nemici di Eretz Israel si meritano la punizione divina, voi siete lo strumento…», racconta il soldato Yossi. Aviv, ufficiale della riserva, ricorda che nel vivo dell’offensiva a Gaza, rabbini oltranzisti inviarono lettere aperte al premier Ehud Olmert nelle quali si utilizzavano passi della Torah per giustificare il pugno di ferro contro i palestinesi. La legge della Torah autorizza l’uccisione di uomini, donne, anziani, neonati e animali (del nemico), afferma il rabbino Yisrael Rozin.
Per parte sua, il rabbino ultraortodosso Shlomo Elyaho ha sottolineato che «Se noi uccidiamo 100 dei loro ma loro rifiutano di smetterla (di lanciare razzi), allora dovremmo ucciderne 1000; e se noi uccidiamo 1000 dei loro e loro non la smettono, allora dovremmo ucciderne 10.000 e dobbiamo continuare ad ucciderli anche se arrivano ad un milione, con tutto il tempo necessario per ucciderli. I Salmi dicono: «Io devo continuare a cacciare i miei nemici ed a fermarli, ed io non smetterò fino a che non li avrò completamente finiti».
IL GUARDIAN RILANCIA
Sulla «sporca guerra» di Gaza torna anche il quotidiano britannico The Guardian, con un dossier documentato sul campo, dal quale emerge che i militari dell’Idf (le forze armate dello Stato ebraico) avrebbero utilizzato bambini palestinesi come scudi umani per difendersi dagli attacchi dei miliziani di Hamas, come avrebbero bombardato scuole e ospedali e come avrebbero infine colpito la popolazione civile con i droni radiocomandati. I vertici di Tsahal accusano il tabloid inglese di «lettura unilaterale, forzata dei fatti». «Le prove raccolte, le testimonianze, sono a disposizione di chiunque voglia davvero accertare la verità», è la risposta che viene da Londra.

venerdì 27 marzo 2009

I ragazzi italiani al 4°posto in Europa per l’uso di sedativi senza ricetta

l’Unità 27.3.09
I risultati dell’indagine del Cnr di Pisa, un progetto che coinvolge 35 paesi europei Psicofarmaci. I ragazzi italiani al 4°posto in Europa per l’uso di sedativi senza ricetta
Lo sballo fai da te coi farmaci di casa
L’ultima moda tra i sedicenni

La dottoressa Molinaro (Ifc) ha condotto l’indagine su diecimila studenti italiani tra i 15 e i 16 anni. Stabile il consumo di sigarette e sostanze illecite. Cresce del 4% il consumo di alcol nella stessa serata.

Hashish, marijuana, alcol, certo, tutto questo. Ma la gran moda sono soprattutto i cocktail fai-da-te, mescolare l’Aulin con la birra, gli antiaggregganti che usa la nonna per il cuore shakerati con gli alcolici, o la vecchia aspirina con la coca-cola. Per non parlare, ma qui siamo alle soglie dell’impossibile, «del Lasonil spalmato sui fogli di carta». Fai una pallottola, la mastichi e lo sballo, assicurano gli intervistati, è assicurato. Non siamo nelle favelas brasiliane dove i bambini aspirano colla, nelle montagne andine dove le foglie di coca sono pane quotidiano a tutte le età o in medioriente dove le bocche masticano senza sosta il chat. Siamo in Italia, nelle scuole pubbliche e dell’obbligo, tra ragazzi che hanno 15-16 anni.
È un quadro allarmante quello disegnato dall’ultimo studio del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa che ha coinvolto 10 mila studenti. L’indagine scolastica è un programma europeo sul consumo di alcol e droghe nelle scuole (Espad) e dal 1995 osserva la popolazione scolastica di 35 paesi europei.
L’indagine «riguarda ragazzini di 15-16», sottolinea Sabrina Molinaro, ricercatrice precaria («nonostante i miei 35 anni») dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa e responsabile del progetto per quello che riguarda l’Italia. Il dato più allarmante riguarda l’assunzione di tranquillanti e sedativi senza prescrizione medica. L'Italia è al quarto posto con il 10% degli studenti che fa uso di questi cocktail. La percentuale è cresciuta del quattro per cento rispetto al 2003. In quel dieci per cento, la percentuale femminile è doppia rispetto a quella maschile (17% contro il 9%).
Cocktail fai-da-te
«Si tratta - spiega la dottoressa Molinaro - di cocktail fai-da-te che i ragazzi sperimentano mescolando le medicine che trovano in casa e utilizzate dai genitori o dai nonni». Internet, il passaparola, molta curiosità e voglia di sperimentazione fanno il resto. La gravità del “gioco” si misura con gli effetti collaterali: problemi con gli insegnanti, scarso rendimento scolastico, tensioni a casa, bugie, distrazione, eccitazione. L’indagine non può e non deve avventurarsi in analisi di tipo sociologico, Le risposte alla domanda «perché» aiutano però a capire molto. Il 40 per cento dice di prendere psicofarmaci «per dormire», il 60 per cento «per aiutare l’umore», il 20 per cento lo fa per questioni legate alla dieta o per curare l’iperattività. «Il totale non fa cento - spiega Molinaro - perché spesso chi si impasticca per dormire lo fa anche per dimagrire». Resta la domanda su come possano i ragazzi avere a disposizione i farmaci. «Le nostre case - spiega la dottoressa - pullulano di confezioni di forti anfetaminici come il Ritanil, ansiolitici come Tavor e Lexotan». I ragazzi lo sanno, vanno, mescolano e consumano. Per non parlare del fenomeno delle mamme che danno calmanti ai figli piccoli per farli dormire.
Guidano la classifica degli psicofarmaci Polonia (15% degli intervistati), Lituania e Francia-Principato di Monaco. Agli ultimi posti ci sono Armenia, Austria, Russia e Regno Unito (tra lo 0 e il 2%).
Vodka il sabato sera
La situazione è meno allarmante quando si parla di sigarette. Il vizio del fumo registra un quattro per cento in meno rispetto ai dati del 1995. «In Italia - afferma Molinaro - ha fumato almeno una sigaretta il 61% degli studenti intervistati e siamo sesti nella top ten europea».
Stabile il consumo di sostanze illecite (cannabis il 19%; Lsd, cocaina, ecstasy il 7%) e degli alcolici («a metà nella classifica europea») mentre aumenta in modo significativo (38% contro il 34) il consumo di tanto alcol nella stessa serata (binge drinking, cinque o più bevute di fila). È la sbronza del fine settimana, bottiglie di vodka comprate al supermercato e poi bevute in gruppo. Lo fanno soprattutto le ragazze.

giovedì 26 marzo 2009

Sulle tombe puniche in scena il «piano casa»

Sulle tombe puniche in scena il «piano casa»
Marco Bucciantini
l'Unità 26/03/2009

Ci sono le gru, noiose come zanzare: molestano un sonno profondo, quello dei cartaginesi, sepolti da 25 secoli in questi pozzi scavati nella roccia calcarea. Eccola, la terra dei berluscones. Palazzi sulle necropoli. Anzi, sulla pi estesa e antica necropoli fenicio-punica esistente nel bacino del Mediterraneo. E il cimitero di Tuvixeddu, un colle dentro Cagliari. Significa: piccoli fori, piccole cave. Ogni cava, un morto. Il Tarha dato ragione alla Coimpresa, ieri per l'ultima volta, rigettando le perplessità degli ambientalisti, «ma sarà almeno la decima occasione in cui il Tribunale e il Consiglio di Stato ci legittimano a costruire», dieono dalla ditta, che adesso spianerà ed edificherà. A frapporsi - oltre ai movimenti verdi - era rimasta la volontà politica della Regione, ma il vento è cambiato con l'avvicendamento fra Soru e Cappellacci. La giunta dell'ex governatore sfruculiava regolamenti per imbastire ricorsi e scongiurare il cemento là dove c'è un po' di storia da mostrare. Entro poco ci saranno anche 400 appartamenti nuovi di zecca: anche questo è un piano casa. I lavori sono ripresi, il cantiere carbura piano, «ma finalmente si procede - spiega l'ingegnere Gualtiero Cualbu, titolare della società omonima, che controlla Coimpresa - e abbiamo già ceduto al Comune l'82% delle aree che ci spettavano e comunque faremo il parco». Cualbo ha le sue ragioni di imprenditore, il parco al centro del colle è la merce di scambio, per gli oppositori sarà un giardino in mezzo a 300 mila metri cubi di cemento, e la cessione al comune non dev'essere stata dolorosa. Il gruppo è quello, il sindaco Floris, l'ex assessore al bilancio Ugo Cappellacci, adesso governatore, gli imprenditori del cemento: a Cualbo è toccato un posto nel cda della Fondazione del Lirico. E fu il commercialista Cappellacci che curò il vantaggioso passaggio delle quote di Ca.sa. Costruzioni (in liquidazione) all'imprenditore. La filiera è perfetta. Di qua dalla barricata restano gli ambientalisti, i soriani, e quel gruppo di studenti che ha protestato davanti al cantiere di via Is Maglias e forse la soprintendenza, che difende i vincoli nell'area dove sono emerse le tombe puniche - lì verrà il parco archeologico - ma non ficca il naso nei dintorni, proprio per affrettare la costruzione del parco stesso. «Il danno è evidente: si altera un colle che ha un valore paesaggistico enorme, per decenni sottovalutato», ricorda l'ex assessore della Regione Maria Antonietta Mongiu. Tuvixeddu nel secolo scorso divenne addirittura una cava dell'Italcementi, che ha estratto fino agli anni Ottanta. Così molte tombe andarono distrutte, non tutte, na quello che è in gioco è pi ampio la vicenda di Tuvixeddu è emblematica dell'incertezza che regna attorno alla conservazione e valorizzazione del patrimonio ambientale. Leggi confuse, altre invece chiare eppure disattese (come quella voluta dal ministro Giuliano Urbani, che vieta ediflcazioni intorno ai siti vincolati). Al di là della legge: l'idea di sviluppo della regione. Il vento soffia alle spalle dei cementificatori. , è lo slogan dei berluscones. Quindi, via i vincoli, sotto con le gru. E in fretta: la giunta Cappellacci ha gà presentato una bozza della Finanziaria «urgente», quindi blindata da ogni discussione, appetitosa per gli affaristi. Toglie la celebre tassa sogli aerei privati in atterraggio negli scali sardi e le unità da diporto sora i 14 metri. Quella che la stampa appell come tassa sul lusso, «distorcendone il significato - secondo Soru - perché era un contributo chiesto a chi sfrutta maggiormente le risorse ambientali». Sempre in Finanziaria torna anche un fantasma: il ricorso ai mutui per finanziare gli investimenti. Si comincia con 500 milioni: era il metodo della giunta Pili, che chiuse i battenti con 3 miliardi di debiti, ma trov spazi e modi per ingrassare molti costruttori. E intanto sopra il silenzio dei morti, le gru stanno a guardare.

«A Gaza si sparava a tutto ciò che si muoveva»

Corriere della Sera 26.3.09
Rivelazioni. Nuove testimonianze raccolte dai media e dalle organizzazioni israeliane sull'operazione «Piombo fuso»
«A Gaza si sparava a tutto ciò che si muoveva»
Responsabilità, regole d'ingaggio, disprezzo degli altri nei racconti dei soldati
di Sebastian Scheiner

926 i civili morti (secondo fonti palestinesi) sul totale delle oltre 1.400 vittime; 309 secondo fonti israeliane, di cui 189 avevano meno di 15 anni
5.000 le case demolite nella Striscia durante l'operazione Piombo Fuso.
Alcuni testimoni hanno riferito di demolizioni di massa

Ci dicevano: chi è rimasto è un terrorista. Ma se non hanno dove andare?
Per chi si avvicinava un colpo in aria, il secondo ai piedi, il terzo a lui
Se c'è qualcuno di sospetto al piano superiore di una casa, lo colpiamo
Il comandante disse: mettete da parte l'etica… piangeremo dopo

GERUSALEMME — «E' successo qualcosa di nuovo nell'Operazione Piombo Fuso a Gaza, qualcosa che non era mai accaduto», dice al Corriere
Yehuda Shaul, 26 anni, uno dei fondatori di Breaking the Silence, organizzazione di veterani israeliani che dal 2004 raccoglie testimonianze dei colleghi sugli abusi commessi dall'esercito nei Territori Occupati. «Non ho mai sentito storie come queste. L'aggressività dei comandanti, l'uso massiccio dell'artiglieria in un'area urbana, la scomparsa della distinzione tra civili e combattenti. Sono entrati a Gaza senza regole d'ingaggio. Si sparava a tutto ciò che si muoveva e che non si muoveva. Ci sono testimonianze sulla demolizione di massa di abitazioni senza che ce ne fossero necessità operative». Shaul parla dopo che i quotidiani Haaretz e
Maariv hanno pubblicato giovedì le prime confessioni di soldati israeliani sull'uccisione di civili innocenti e sugli atti di vandalismo compiuti a Gaza. Emerse in un seminario del liceo militare Rabin a febbraio, le testimonianze contraddicono la versione del-l'esercito, e cioè che le truppe avrebbero cercato di proteggere i civili. Ora
Breaking the Silence sta raccogliendo nuove confessioni: già 20 interviste rivelano storie simili a quelle apparse su Haaretz.
RESPONSABILITÀ – Domenica, il capo di Stato Maggiore Gabi Ashkenazi ha difeso l'esercito israeliano, il «più etico del mondo», ma si è detto pronto a punire gli abusi di singole «mele marce». Tuttavia le testimonianze emerse finora mostrano che gli atti commessi a Gaza (per i quali Onu, Lega Araba, Organizzazioni non governative chiedono un'inchiesta per crimini di guerra) non sono iniziativa di singoli – spiega Shaul - ma il risultato di regole e di un clima creati dall'alto.
REGOLE D'INGAGGIO – Dopo una settimana di raid aerei, il 3 gennaio le truppe israeliane entrarono a Gaza. «All'inizio gli ordini erano di andare con mezzi blindati chiamati Achzarit (che significa Crudele, ndr), sfondare la porta e cominciare a sparare all'interno… io lo chiamo omicidio – ha detto un comandante della brigata Givati identificato come Aviv - . Dovevamo andare piano per piano, sparare a chiunque. Mi sono chiesto: qual è la logica? Ci dicevano che era permesso perché chiunque rimanesse nel settore e a Gaza City era un terrorista, perché non se n'era andato.
Non capivo. Da una parte non avevano dove andare, dall'altra ci veniva detto che era colpa loro se non se ne andavano». Aviv racconta di aver tentato di cambiare le regole. «E uno dei miei uomini mi disse: Qui sono tutti terroristi. Dobbiamo ammazzarli tutti».
RAGGIO DI 300 METRI – «Verso la fine della Guerra, se vedevamo qualcuno che si avvicinava a meno di 300 metri dalla nostra postazione, iniziava la regola del "fermo sospetto". Bisognava sparare un primo colpo in aria, il secondo colpo ai piedi e il terzo al sospetto – racconta Benyamin -. Ma gli abitanti qui sono agricoltori. Dopo l'operazione, uomini e donne di 60-70 anni venivano fuori con le ceste a raccogliere la verdura. Ho visto due persone a 250 metri... Si capiva che riempivano di pomodori un cesto… Ma bisogna applicare la regole». Beyamin si avvicina, vede un vecchietto. «Ho sparato in aria. Ma a Gaza si spara decine di volte al giorno, i contadini non ci fanno caso». Alla fine ha deciso di non eliminarlo.
FOSFORO BIANCO – «Abbiamo usato molto il fosforo», dice uno dei soldati. Nei giorni scorsi l'esercito israeliano ha ammesso l'uso di 20 proiettili al fosforo bianco in una zona abitata, Beit Lahiya, nel nord di Gaza. È in corso un'inchiesta interna.
DISPREZZO – Il quotidiano israeliano Haaretz ha anche scoperto che alcuni soldati hanno fatto realizzare T-shirt personalizzate con immagini di bambini palestinesi morti per festeggiare la fine della guerra. Ce n'è una con un bersaglio disegnato sulla pancia di una donna incinta e la scritta: «Due con un solo colpo». Il quotidiano ha scritto del ritrovamento a Gaza di un documento in ebraico che autorizzava i soldati a far fuoco sui soccorritori della Croce rossa e della Mezzaluna Rossa. Il giorno dopo «Physicians for Human Rights» ha accusato l'esercito di aver impedito l'evacuazione di feriti, sparato su ambulanze e ucciso 16 medici palestinesi.
LA LEZIONE DEL LIBANO – Molte le testimonianze sugli ordini poco «etici» dei comandanti. «Ci ha detto che una lezione importante appresa dalla Seconda Guerra in Libano è il modo in cui si entra in azione: con molto fuoco – dice il soldato Gilad - . Il risultato: poche perdite nell'esercito, molti palestinesi morti». In un documentario sulla guerra a Gaza mandato in onda da Channel 10, un comandante dice ai soldati: «Se c'è qualcuno di sospetto al piano superiore di una casa, lo colpiamo. Se abbiamo sospetti su un'abitazione, la abbattiamo…. Se qualcuno si avvicina disarmato, sparate in aria. Se continua, è morto. Se dobbiamo sbagliare, che sia con le loro vite, non con le nostre». E il riservista Amir Marmor ha confermato al New York Times che il messaggio era «sparare senza pensare alle conseguenze»: il colonnello «ci ha detto: in questa operazione non vogliamo correre rischi; mettete da parte l'etica… piangeremo dopo».

martedì 24 marzo 2009

L'Onu: Israele a Gaza ha usato scudi umani

La Repubblica 24.2.09
L'Onu: Israele a Gaza ha usato scudi umani
Rapporto sulla guerra: un ragazzino palestinese costretto a fare da apripista ai militari
Un rapporto di 43 pagine analizza i crimini ai danni di bambini. Anche Hamas sotto accusa
di Alberto Stabile

GERUSALEMME - Non s´era ancora spenta l´eco delle gravi ammissioni fatte da alcuni soldati sul trattamento riservato ai civili durante la guerra contro Hamas a Gaza, che una nuova, sconvolgente accusa arriva dalle Nazioni Unite.
Un ragazzino palestinese di 11 anni sarebbe stato utilizzato come scudo umano da un´unità dell´esercito israeliano. Nelle 43 pagine del rapporto voluto dalla segreteria generale per la protezione dell´infanzia si dà conto di altri crimini commessi ai danni di bambini. Il che rende ancora più discutibile l´affermazione del Capo di Stato Maggiore, Gabi Ashkenazi, secondo cui le Forze armate israeliane sono «l´esercito più morale del mondo».
Era il 15 gennaio quando i carri armati israeliani sono entrati sparando nel quartiere Tel al-Hawa, a Gaza. Radhika Coomaraswamy, a capo di un gruppo di nove esperti inviati dall´Onu per indagare sulle violazioni commesse a Gaza, ricostruisce nel suo rapporto l´accaduto. In breve, le truppe di Tsahal hanno intimato al ragazzino palestinese di camminare di fronte a loro e di entrare per primo nelle case dove si sospettava la presenza di miliziani. E non basta. Secondo il rapporto, soldati israeliani hanno sparato sui bambini; una casa, con dentro una donna e un bambino, è stata abbattuta dai bulldozer; un edificio dove, il giorno prima, erano stati costretti ad entrare dei civili, è stato bombardato. Sono questi - ha detto Radhika Coomaraswamy - «soltanto pochi esempi su centinaia di incidenti che sono stati documentati e verificati».
Non poche denunce di gravi violazioni dei diritti umani riguardano anche Hamas. I miliziani islamici sono stati accusati di aver ucciso o gambizzato avversari politici, nonché di aver essi stessi fatto uso di scudi umani. Ma le Nazioni Unite, hanno detto gli esperti, devono ancora verificare queste accuse.
Quanto alle Forze amate israeliane, ieri, prima che scoppiasse il caso del ragazzino di Tel al-Hawa, era stata l´organizzazione umanitaria israeliana Medici per i Diritti Umani (Phr) a denunciare l´esercito di aver «palesemente violato il codice etico», non soltanto «non evacuando famiglie di civili assediate e ferite», ma anche «impedendo ai soccorritori palestinesi di raggiungere i feriti».
Gli stessi medici del Phr, una Ong che collabora con analoghe organizzazioni palestinesi, sono stati testimoni diretti di alcune di queste violazioni. E le raccontano. Il 3 gennaio, per esempio, la casa della famiglia Al Aaidi, nel rione Jahar Adik, venne attaccata dai soldati. Sei dei suoi venti componenti furono feriti. Il giorno dopo, in seguito alla richiesta di aiuto degli Al Aaidi, Phr si rivolse all´esercito. «Ma per sei giorni - si legge nel dossier - l´Idf ha impedito alle ambulanze di passare». Soltanto 10 giorni dopo sono stati permessi i soccorsi.
Un altro caso è quello del 16 gennaio, quando Mahmud Shar e i suoi due figli, abitanti nel quartiere Algharahi, usciti in cerca di cibo durante le due ore di cessate il fuoco umanitario, furono colpiti dal fuoco di una mitragliatrice. Uno dei due figli morì subito dopo l´attacco. L´altro fu ferito ad una gamba. Il padre subì lievi ferite da schegge. Le richieste avanzate dal Phr di soccorrere i feriti «non vennero raccolte». Risultato: anche il secondo figlio morì, dissanguato. In generale, sostengono i Medici per i Diritti Umani, l´esercito non ha mostrato rispetto per i soccorritori e per le istituzioni mediche. In guerra 16 medici e infermieri sono stati uccisi, e 25 feriti mentre facevano il loro dovere. 34 centri sanitari sono stati bombardati.

«Chiedere la verità su Gaza non è antisemitismo»

l'Unità 24.3.09
L’inviato Onu per i diritti umani nei Territori: i bombardamenti su aree molto popolate sono illegali, c’erano alternative diplomatiche
«Chiedere la verità su Gaza non è antisemitismo»
Intervista a Richard Falk di U.D.G

Un’inchiesta di esperti per determinare se fosse possibile per i soldati israeliani distinguere tra la popolazione civile e obiettivi militari durante l’offensiva a Gaza e per stabilire quindi se sia stato commesso un crimine di guerra. A proporlo è Richard Falk, dal marzo 2008 Relatore Speciale Onu per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati. «In me e nel team che ha redatto il rapporto (discusso ieri a Ginevra nel Consiglio dei diritti umani, ndr.) non c’è alcuna volontà persecutoria verso Israele. A muoverci c’è la determinazione a stabilire la verità. È quanto dobbiamo alle vittime di Gaza. Verità e giustizia», dice Falk a l’Unità. Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton e membro del Foro di New York, non intende pronunciare alcuna «sentenza». Ma non è neanche reticente su quanto fin qui assunto nel rapporto: «Ci sono motivi per concludere che l’offensiva militare a Gaza costituisca un crimine di guerra». Secondo il relatore speciale dell’Onu per i Territori, il «ricorso alla forza» da parte di Israele per far cessare il lancio di razzi palestinesi sul suo territorio - causa scatenante del conflitto per lo Stato ebraico - non è «giustificato dal punto di vista legale considerate le alternative diplomatiche disponibili».
Professor Falk, nel rapporto presentato oggi (ieri, ndr.) al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Lei ha perorato l’istituzione di una commissione d’inchiesta che faccia piena luce sull’offensiva militare israeliana a Gaza. Su che basi fonda questa richiesta?
«Sulle norme del Diritto umanitario internazionale e su quelle della Convenzione di Ginevra. Le ricerche da noi effettuate offrono materiale sufficiente per affermare che se in un teatro d’operazione militare non è possibile distinguere tra obiettivi civili e militari, l’operazione è un’attività totalmente illegale e sembra costituire un crimine di guerra della maggiore gravità secondo il Diritto internazionale. Ebbene, sulla base di elementi di prova attualmente disponibili, ci sono fondati motivi per ritenere che gli attacchi (israeliani) risultano illegali di per sè e sembrano costituire un crimine di guerra della più grande portata in base al Diritto internazionale» .
Professor Falk, in passato le autorità israeliane l’hanno accusato più volte di un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti dello Stato ebraico».
«Sono accuse che respingo con la massima fermezza e con sdegno. Chiedere verità e giustizia per i civili uccisi a Gaza, denunciare l’assoluta illegalità, oltre che la disumanità, delle punizioni collettive inflitte ad una popolazione stremata dall’embargo, tutto ciò non ha nulla a che fare con l’antisemitismo. A Gaza sono state colpite aree densamente popolate. Ciò è incontestabile. Alla popolazione non è stata data possibilità di fuggire dal teatro di guerra. Occorre accertare le responsabilità e punire i responsabili. Chiedere l’accertamento della verità è essere “pregiudizialmente ostile” a Israele?. Da democratico e da ebreo mi ribello a questo assunto».
Le autorità israeliane sostengono che l’Operazione Piombo Fuso si configura come un esercizio di autodifesa?
«I bombardamenti sistematici su aree densamente popolate non possono essere giustificati dal punto di vista legale. Si tratta di un crimine di guerra. E come tale va perseguito».

lunedì 23 marzo 2009

Tav, Appennino a secco cento chilometri di torrenti inghiottiti dagli scavi

Tav, Appennino a secco cento chilometri di torrenti inghiottiti dagli scavi
Paolo Rumiz
LA REPUBBLICA - 22 marzo 2009

Nelle valli senz´acqua spariscono anche piante e animali

Viaggio nel Mugello dove il sistema idrico è stato distrutto e le falde sono precipitate di centinaia di metri
Dove un tempo proliferavano trote, gamberi e vegetazione protetta ora ci sono solo profondi canyon
Il Carza era il più bel fiume della zona Oggi è diventato solo un misero scolo fognario

L´abbiamo percorsa, verso Nord, e per capire ci è bastata la parte toscana. Il Mugello, snodo cruciale dello scavalco appenninico.
I danni li hanno appena quantificati i giudici: 150 milioni di euro solo per lo smaltimento abusivo dei terreni di scavo. Poi vengono i cantieri abbandonati, le cave e le frane. Il peggio è il sistema idrico distrutto: per ripagarlo non basterebbe una mezza finanziaria. Fra 750 milioni e un miliardo 200 milioni, per ventidue minuti di viaggio in meno. Spariti o quasi 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi, 5 acquedotti: in tutto 100 chilometri di corsi d´acqua.
Ma le cifre non sono niente. Per farsi un´idea bisogna sentire il tanfo polveroso della montagna morta. Rifare i sentieri della Linea Gotica, tra i rovi, come in guerra. Solo che stavolta i danni non li hanno fatti i generali ma gli ingegneri, che possono essere peggio. Le ferite delle bombe si rimarginano. Queste restano per sempre. Siete avvertiti: non siamo di fronte a un evento naturale, ma a qualcosa di biblico. Tace la valle del torrente Carzola. Niente più uccelli. La falda è precipitata di trecento metri e la montagna è sotto choc idrico. Ha piovuto tutto l´inverno, ma le conifere sono morte, le querce moribonde. C´erano salmoni, trote, gamberi: ora più nulla. Un catastrofe come il Vajont, ma alla rovescia
Polvere, silenzio. Nel canyon si spalanca una finestra di servizio. È sguarnita, potrebbero entrarci uomini e bestie. Cento metri sotto, il tunnel che ha inghiottito tutto. I tecnici ricordano quando avvenne. Esplose un getto da 400 litri al secondo a tredici atmosfere. Da allora, anche se in superficie la valle scende a Nord, le falde scaricano a Sud, verso Firenze. E del Mugello a secco chi se ne frega.
Paolo Chiarini, 30 anni, ingegnere ambientale, è cresciuto sui fiumi e, quando il Carza sparì di colpo un giorno di febbraio di 11 anni fa, fu il primo ad accorgersene. Corse in Comune ad avvertire, ma gli risposero giulivi: «Per forza, non è nevicato». Capì subito che l´unica acqua che interessava gli italiani era quella del rubinetto, e fece l´unica scelta possibile: combattere da solo.
Da allora Paolo ha battuto ogni rigagnolo e raccolto dati. Oggi ci fa da guida su questa strada partigiana. A Campomigliaio c´era la piscina naturale dei fiorentini. Poi è arrivata la talpa maledetta che ha "impattato" la falda e oggi sul greto resta solo un ridicolo cartello "Divieto pesca" e, a monte, uno scolo fognario a secco.
Il Carlone era il paradiso dei pescatori. Oggi è ingombro di bungalow dai vetri rotti, rottami, tubi, cisterne, caterpillar arrugginiti. Su un muro, la scritta "Ciao, è stato bello". Sotto, un torrente in agonia. Ma a monte è peggio. Una strada bianca in mezzo a una foresta sbiadita, fiancheggiata dai tubi che fino a ieri hanno pompato acqua per tenere in vita il torrente. Una finzione.
Sopra, una montagna di rocce intrise di asfalto collante, oli e bitumi. Quando piove, la morchia scola sulla vasca di captazione del comune di Vaglia, che raccoglie la poca acqua. Purissima, era, da imbottigliare senza filtro. Tutto quel materiale poteva essere reimpiegato nel tunnel, come in Svizzera nella galleria del Gottardo. Qui invece s´è portato tutto in superficie. E nel buco hanno portato ghiaia fresca, aprendo decine di cave inutili sul monte. Ecco perché la Tav è costata il quintuplo del previsto.
A San Piero a Sieve la ferrovia veloce esce a palla di fucile e s´infila sotto l´autodromo del Mugello. Siamo nel cuore della conca, l´Appennino perde asprezza, l´orrore diventa bucolico. Tra le fattorie il torrente Bagnone è scomparso. Poco in là, anche il Bosso. Nove anni fa le sorgenti saltarono tutte assieme, ricorda l´avvocato Marco Rossi che segue le cause civili. «Quando sparì il torrente la gente pensò che sarebbe tornato. Invece non tornò. Finita. Arrivarono le autobotti. Poi il disseccamento salì fino a Farfereto e Striano».
A Sergio Pietracito hanno fatto di tutto. Gli hanno tolto l´acqua per gli animali, fatto franare il bosco, aperto crepe in casa, semidistrutto i frutteti con le polveri, terremotato il sonno con esplosioni, ventole al massimo, bip di cicalini, fischio di allarmi, rombo di tir in retromarcia. Poi, a cantiere chiuso, gli hanno ripristinato i terreni con zolle miste a cemento, plastica e ferri arrugginiti. Pietracito ha speso 30 mila euro in avvocati, senza aiuto degli enti locali. L´italiano è solo davanti al potente. Lui non molla, ma molti altri sono stanchi. Sanno che, più dei danni, sono i processi a mangiarti la vita. Finisce che sei tu a dover pagare. La politica cala le brache: è già tanto se i sindaci sono riusciti a farsi dare il tracciato della galleria.
Risaliamo verso il Giogo della Scarperia. Ormai è un "trek" nella devastazione. Conifere moribonde, castagni in sofferenza. Fra un mese gli animali scapperanno anche da qui. A Lugo hanno visto «i caprioli scendere a valle per bere dai sottovasi dei giardini». Non era mai successo prima del 2006, quando la Tav ha smesso di pompare acqua "finta" in quota.
Dopo il crinale, il versante del Santerno ci sbatte davanti l´ultimo sacrilegio. Sul lato della Sieve avevamo censito pozzi defunti col nome di santi e beati. Qui, nell´abbazia di Moscheta, succede di peggio. Hanno rubato l´acqua santa. La pieve, per riempire il suo secolare abbeveratoio rimasto a secco, deve farsi sparare acqua da Fiorenzuola. Sempre per quei maledetti ventidue minuti.
Oltre si spalanca un abisso dantesco, il canyon chiamato Inferno. Era il top del Mugello, segnato su tutte le guide. Trote, gamberi, muschi. Sopra, il sentiero dove un tempo Dino Campana andava a Firenze incontrando bande di musicanti e pescatori di fiume. Oggi si cammina a secco tra massi enormi e smerigliati, segno della sacra potenza uccisa dall´uomo. Chi pagherà tutto questo? Quale nazione chiederà il conto?
Il fiume infernale si butta nel Santerno, dove s´apre il cratere della colossale stazione intermedia della Tav. Intorno, la devastazione. Novanta cave. Novanta cicatrici. Ed è solo il preludio dell´ultima è più spaventosa ferita. La più lontana, la meno visibile. La condanna, esecuzione e morte del torrente Diaterna, con la doppia sorgente biforcuta sotto il Sasso di San Zanobi.
Ora si procede solo a piedi, tra ghiaie terribili, guadi algerini, qui nell´Italia di mezzo a fine inverno. Tre anni fa Chiarini vide e fotografò vasche piene di pesci putrefatti. Da allora è morte biologica. Querce cadute, polvere, vento, lucertole. Sotto, la galleria spara la sua traiettoria in un fondale umido carico di bitumi. Qui sopra, il biancore abbacinante di un greto. La frazione di Castelvecchio - sopra l´ultima finestra della Tav in terra toscana - ha perso il suo acquedotto nel ´98. Ora vorrebbero costruire un invaso per compensare lo scippo. Ma per metterci quale acqua? Con quale canalizzazione? Cementificando gli impluvi? Ricoprendoli di resine? Coprendo lo scempio con uno scempio ulteriore? La parola catastrofe non basta.
Il viaggio è finito. «Cosa ci riserva il futuro Dio solo sa» brontola Piera Ballabio, della Comunità montana del Mugello. «Con la nuova legge sulle grandi opere, i Comuni avranno ancora meno voce in capitolo. Siamo vicini a una militarizzazione del territorio. Alla faccia del federalismo».

Accordo fallito, l'acqua non diventa diritto

Corriere della Sera 23.3.09
La giornata mondiale L'Onu: dal 2030 metà della popolazione della Terra potrebbe essere al di sotto della soglia minima
Accordo fallito, l'acqua non diventa diritto
Per il forum di Istanbul è solo un «bisogno». Impegni generici nel documento finale
di Mario Porqueddu

Si è concluso il vertice tra le polemiche di Francia, Spagna e di molti Stati sudamericani e africani

MILANO — L'acqua è una «necessità umana fondamentale ». Un bisogno riconosciuto. Nessuno, però, ha «diritto » all'acqua. Le aspettative di tante Ong e agenzie internazionali, di Paesi africani e latinoamericani, ma anche di Spagna e Francia, sono andate deluse. Nella dichiarazione finale del V Forum mondiale sull'acqua, che si è chiuso ieri a Istanbul, la nozione di «diritto dell'accesso all'acqua» non ha trovato posto. «Siamo rattristati. Ci è stato impedito di apportare modifiche al documento » protesta la delegazione etiope. Ed esce sconfitto anche il ministro dell'Ambiente transalpino, Chantal Jouanno, che venerdì scorso aveva chiaramente chiesto che il testo conclusivo fosse rafforzato in quella direzione: «Come si può parlare di diritti dell'uomo — domandava polemicamente — se non si parla di diritto all'accesso all'acqua? È il diritto che condiziona tutti gli altri».
Per una settimana sul Bosforo si sono confrontate 25.000 persone, capi di Stato e di governo e delegati provenienti da 155 Paesi. Alla fine, nella dichiarazione presentata da 95 tra ministri e vice-ministri, si concorda sulla necessità di «migliorare l'accesso all'acqua e l'azione di bonifica in tutto il mondo», di «economizzare l'acqua» in particolare nel settore agricolo, e di «contrastare l'inquinamento, di fiumi e falde». Tutti d'accordo anche su un altro punto: è urgente. Perché ogni anno sono attribuite alla carenza di acqua e servizi igienico-sanitari 8 milioni di morti. Perché sono più di 1 miliardo le persone che hanno limiti di accesso all'acqua potabile. E perché secondo il rapporto Onu presentato in parallelo al Forum, il rischio è che nel 2030 metà della popolazione mondiale resti assetata.
Sono gli «impatti umani diretti » di cui ha parlato, tra gli altri, Jonathan Greenblatt, professore alla University of California di Los Angeles e consulente al team di transizione alla Casa Bianca di Barack Obama. «Credo che l'acqua debba diventare parte dell'agenda dei legislatori — ha detto Greenblatt — e di chi decide in politica». Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità sarebbe un gioco a somma positiva. Ogni dollaro speso in acqua e misure igieniche, calcola l'Oms, può portare un beneficio economico tra i 7 e 12 dollari. Su scala mondiale questo significa che le agenzie sanitarie potrebbero risparmiare 7 miliardi di dollari all'anno. Più acqua vorrebbe dire più istruzione: si registrerebbero 272 milioni di giorni in più di frequenza scolastica all'anno. E migliori condizioni di salute: si conterebbero più di 1 miliardo e mezzo di giornate di buona salute per i bambini con meno di 5 anni.
Due miliardi e mezzo di cittadini del mondo sono privi di acqua per uso igienico. E a sottolineare quanto sia stretto il legame tra acqua e salute è Rose George, autrice del saggio «The Big Necessity». Il libro parla di quello che di solito si cerca di tenere il più possibile a distanza: le deiezioni umane. «È come la lotta per togliere la sordina ai rischi di contagio dell'Aids negli anni '80 — dice la George —. Oggi poche celebrità e pochi esponenti politici accetterebbero di sposare una campagna sui problemi igienico-sanitari, facendosi fotografare davanti a una latrina». Ma ormai più della metà della popolazione mondiale vive in città e si calcola che quasi 3 miliardi di persone abitino in case prive di sistema fognario. «Pochi si rendono conto del ruolo cruciale di questa battaglia» spiega David Trouba, del Water Supply and Sanitation Collaborative Council, una Ong di Ginevra. Stima che 1,2 miliardi di persone, più della metà in India, defechino all'aperto. E non succede solo a Mumbai: ci sono 140 milioni di europei che non hanno accesso ad acqua pulita e servizi sanitari. In Albania e Georgia, in Montenegro e in Macedonia. Gli investimenti in questo campo, però, non superano lo 0,3 del Pil mondiale.

domenica 15 marzo 2009

La finanza, punta dell'iceberg della crisi americana

La finanza, punta dell'iceberg della crisi americana

Massimo Florio

Liberazione del 15/03/2009

Sbaglierebbe chi pensasse che quella che stiamo vivendo sia principalmente una crisi finanziaria. E' una crisi del meccanismo di accumulazione reale. Le origini stanno nella svolta in chiave neoliberista degli anni '80. Marx, Schumpeter e Keynes, nelle loro diverse prospettive, avevano visto un rischio autodistruttivo del capitalismo. Per mantenere adeguato il rendimento dell'investimento occorre inventare sempre nuove cose. Questa è la grande forza del capitalismo, la sua legittimazione storica. Il suo problema è che i profitti dipendono dalla capacità di consumo. Se il prodotto generato attraverso l'investimento, la combinazione di capitale e lavoro data una tecnologia, non è redistribuito in certe proporzioni, i lavoratori-consumatori non hanno capacità di spesa sufficiente a sostenere la domanda e quindi le stesse aspettative di profitto delle imprese.
C'è una tensione fra struttura della proprietà, quindi distribuzione dei redditi, e accumulazione. La soluzione per Marx era tout-court la socializzazione della proprietà. Per Schumpeter era l'accettazione delle periodiche distruzioni di valore, ma egli era convinto che alla lunga democrazia e capitalismo imprenditoriale, con i suoi cicli, fossero incompatibili e il socialismo, che aborriva, avrebbe prevalso. Per Keynes la soluzione era l'economia mista, in cui la spesa pubblica mette un argine al ciclo autodistruttivo di valore. Più in generale pensava che occorresse minimizzare i rendimenti del risparmio («eutanasia del rentier ») e favorire alti consumi. Una combinazione di queste tre visioni (con una aggiunta di solidarismo cristiano e di socialdemocrazia in Europa), ha retto la politica economica dei paesi sviluppati fino agli anni 70, quando si è temuto che il mondo andasse "troppo" in direzione anticapitalista, anche per la concomitanza dell'espansionismo sovietico successivo alla sconfitta Usa in Vietnam, delle rivolte giovanili, e della crisi fiscale.
La vincente controffensiva Reagan-Thatcher ha determinato un enorme indebolimento delle forze genericamente anticapitaliste e un ridimensionamento del ruolo dello Stato (privatizzazioni, politiche fiscali e monetarie restrittive, contrazione dei servizi pubblici). Invece dell'eutanasia del percettore di rendite finanziarie, si è avuta una sua resurrezione. La distribuzione dei redditi diventava spettacolarmente più diseguale (meno imposte progressive, meno lotte sindacali, meno garanzie, e la quota del lavoro cadeva di oltre dieci punti in molti paesi nell'arco di un ventennio). Si determinavano bolle speculative una dietro l'altra. La massa dei profitti generata da questa redistribuzione doveva trovare impiego in qualcosa per sostenere sempre nuova accumulazione. Uno dei primi target storicamente sono stati gli immobili. Anche le privatizzazioni sono state una operazione speculativa connessa all'ampliamento delle capitalizzazioni borsistiche. La bolla della new economy ha creato società virtuali in pura perdita con azioni ipervalutate. L'epicentro concreto e ideologico di questa palingenesi della rendita sono gli Stati Uniti. Per non fare esplodere le bolle le autorità monetarie inondavano il sistema di possibilità di indebitamento (Greenspan).
Buccia di banana: la vendita di immobili alle minoranze etniche e ai ceti a minore reddito. Si finanziano poveri cristi che in realtà non hanno redditi per pagare il mutuo, poi si cartolarizza il debito, lo si affetta e si costruiscono dei derivati, mescolando vari tipi di rischio. Più che tossica, questa è finanza allucinogena. A dipendenti precari di Mc Donald, pagati pochi dollari l'ora, sono stati fatti mutui da centinaia di migliaia di dollari. Non poteva durare.
Ironia: un sistema che non vuole assicurare alle persone redditi sicuri e accettabili, che rende praticamente impossibile il ricorso al sindacato, che terrorizza una parte considerevole dei meno abbienti con la mancanza di copertura delle cure mediche universali e delle pensioni garantite dallo stato, che li fa indebitare per la scuola e università se vogliono emergere, poi ha bisogno di fingere che queste stesse persone abbiano un discreto reddito, che il loro è un buon debito su cui scommettere al rialzo.
Nessuna ri-regolazione, nessun appello all'etica degli affari, può raddrizzare uno squilibrio strutturale fondamentale che continuerà a riprodursi se la distribuzione dei redditi fra profitti e salari non ricostituisce una capacità solvibile di consumo, negli Usa e su scala globale.

giovedì 12 marzo 2009

Legalizzato il sacco d'Italia

Legalizzato il sacco d'Italia

Maria Campese e Veronica Albertini

Liberazione del 10/03/2009

Un vero e proprio condono. E' quanto il Consiglio dei ministri si appronta a varare venerdì prossimo col "piano casa". Si preannuncia una deregulation selvaggia che ha già fatto venire l'acquolina in bocca al partito dei costruttori. C'è già chi plaude alla libertà di sovvertire l'assetto del territorio disegnato da piani regolatori esistenti, dopo aver ricevuto la garanzia di demolire e ricostruire indiscriminatamente.
Senza lacci e lacciuoli, si potranno infatti allegramente aumentare del 20% le cubature degli edifici residenziali e commerciali in deroga ai piani regolatori. Basterà semplicemente la certificazione di un tecnico incaricato e pagato dagli stessi costruttori. Alla faccia del conflitto di interessi. Il provvedimento consentirà l'abbattimento e la ricostruzione in dimensioni più ampie del 30-35% degli immobili fatiscenti o abusivi edificati fino all'89.
Continua così imperterrita la via della speculazione edilizia e del sacco delle città che riporta il Paese agli anni '60 quando mani rapaci contribuirono al fiorire selvaggio di edifici e periferie squallide, alla creazione di mostruosi non luoghi regno dell'invivibilità. Si ripiomba nel Medioevo dell'urbanistica, vengono meno gli strumenti regolatori dello Stato e si toglie la possibilità ai cittadini di partecipare alle scelte attraverso le procedure di pianificazione del territorio. Questa deregulation non servirà di certo a risolvere il disastroso problema del disagio abitativo. Dal 2000 ad oggi si è registrato un notevole aumento di costruzione di nuove abitazioni. In particolare dal 2003 al 2007 il patrimonio residenziale è passato da 28,8 milioni di abitazioni a 31,4, con un incremento di 2 milioni 600 abitazioni. Nonostante ciò restano, anzi si sono aggravati, i problemi legati al disagio abitativo. Questo perché non si è investito quasi per niente nell'edilizia popolare e perché moltissime abitazioni continuano a rimanere sfitte. Il rilancio dell'edilizia non è certo servito a dare una casa a chi non ce l'ha, è servito soprattutto ad aumentare la speculazione edilizia.
Con questo provvedimento si dà continuità allo smantellamento degli strumenti di pianificazione urbanistica che ha visto una tappa nell'uso sistematico degli accordi di programma (trattativa tra proprietari privati ed enti locali). Prosegue il disegno della destra di demolizione dell'urbanistica, già tentato con la proposta di legge Lupi il cui obiettivo era la legittimazione dell'accordo di programma come strumento ordinario di governo del territorio. Un modo, insomma, per continuare con le colate di asfalto e cemento sui nostri territori. Grazie agli accordi di programma, l'urbanistica contrattata di impronta neoliberista, la città è stata vista come esclusivo fattore economico. E il perno di questo processo è la rendita speculativa.
Questa ulteriore spinta, questa liberalizzazione dell'abusivismo edilizio, avrà effetti devastanti per i territori. Brutture, cementificazione selvaggia, abitazioni invivibili. Gli aumenti delle cubature renderanno peggiori le nostre città. Le autocertificazioni del progettista non offriranno inoltre nessuna garanzia sulla sicurezza delle abitazioni. In Italia sono già numerose le tragedie delle abitazioni crollate e queste misure non faranno altro che aumentare il livello di insicurezza dei nostri edifici sia ad uso abitativo che commerciale. E come se non bastasse, comporteranno un maggiore aggravio della situazione nei centri urbani edificati prima dell'entrata in vigore della legge ponte che ha introdotto gli standard urbanistici nei piani regolatori, quindi già privi di servizi, verde, urbanizzazioni primarie e secondarie, con reti fognanti già gravemente insufficienti. Tra le conseguenze la riduzione di spazi pubblici e del verde, un maggiore traffico, un maggiore carico delle reti dell'acqua. Insomma una riduzione della vivibilità in centri urbani già gravemente compromessi da situazioni insostenibili. Gli speculatori non si faranno rimorsi e si getteranno a capofitto, grazie a Berlusconi, per depredare ora anche "legalmente" il nostro territorio. Dobbiamo impedirlo con tutte le nostre forze.

L'inceneritore delle truffe

L'inceneritore delle truffe

Andrea Palladino

Il Manifesto del 10/03/2009

Pneumatici, amianto, materassi e lastre di alluminio. Si bruciava di tutto nell'impianto. E i dati sulla quantità delle emissioni venivano truccati Rifiuti tossici bruciati insieme all'immondizia. 13 arresti

Entrava di tutto nei due inceneritori del consorzio Gaia di Colleferro, città industriale a una sessantina di chilometri da Roma. Dentro il Cdr - il combustibile da rifiuti - si nascondevano penumatici, amianto, materassi, lastre di alluminio e i metalli più disparati. E i tredici tecnici, dirigenti, mediatori e monezzari arrestati ieri all'alba dai carabinieri dei Noe di Roma farebbero parte di una vasta associazione per delinquere, che ha inquinato e truffato per anni, nascondendo i dati reali sulle emissioni di uno degli impianti più importanti in Italia.
E' questa probabilmente un'inchiesta che farà storia, perché a scorrere le pagine dell'ordinanza del Gip del Tribunale di Velletri, Alessandra Ilari, si scopre il mondo reale degli inceneritori, dove - almeno per quanto riguarda Colleferro - le migliaia di parole usate in questi anni per difendere chi vuole bruciare a tutti i costi la monnezza sono false, una colossale truffa. In ordine: falsi sarebbero i dati sul «risparmio energetico» forniti da Gaia per ottenere i Cip 6, ottenendo illecitamente più di 40 milioni di contributi non dovuti; false sarebbero buona parte delle analisi dei fumi, che avrebbero dovuto tranquilizzare gli abitanti di Colleferro; e una vera patacca sarebbe il famoso Cdr, il combustibile da rifiuti, il carburante degli inceneritori. Un «carburante» che veniva da fuori regione, dalla Campania, dalla De.fi.am di Avellino. Ma anche dalla romanissima Ama, il gestore dei rifiuti solidi urbani della capitale, dai due impianti di produzione di Cdr di via Salaria e di Rocca Cengia. Due i dirigenti Ama oggi agli arresti, Angelo Botti, responsabile materiali e Giuseppe Rubrichi, procuratore della società.
I due bruciatori di Colleferro inquinavano, nonostante le continue rassicurazioni, con valori ben superiori alla norma. Dati che venivano, però, accuratamente nascosti e cancellati, secondo l'accusa, utilizzando lo stesso sistema informatico che li processava. Il software «Sick» della Opus Automazione - secondo l'indagine dei carabinieri del Noe - sarebbe infatti stato progettato con la possibilità di correggere manualmente i valori poco graditi. Bastava inserire la password giusta e tutto tornava nei valori di legge: mentre in comune e in provincia appariva tutto normale, in realtà i dati erano digitati da tre informatici, ora indagati per falso.
A denunciare per primo la manomissione del sistema fu un consigliere comunale di Colleferro, che il 23 gennaio 2007 aveva chiesto spiegazioni su alcuni strani oscuramenti dei monitor collegati agli inceneritori di Gaia. Per quelle affermazioni - fatte in consiglio comunale - si era beccato una denuncia per diffamazione dal direttore degli impianti Paolo Meaglia, oggi agli arresti domiciliari, insieme a Stefania Brida, responsabile per il Cdr a Colleferro. I magistrati della procura di Velletri hanno però voluto approfondire quella denuncia. Dopo qualche mese è un ingegnere di Gaia, Nicolino Celli, responsabile della prevenzione, ad accorgersi che qualcosa non funzionava. Nel Cdr che arrivava negli impianti c'erano rifiuti pericolosi, che non avrebbero potuto mai essere bruciati. Non lo convincevano, poi, i dati del sistema informatico e, soprattutto, non credeva alle rassicurazioni del direttore Paolo Meaglia. E' la fine del 2007 e l'ingegnere porta ai carabinieri dei Noe le foto del Cdr sospetto: in bella vista c'erano pneumatici e residui metallici. Quando viene sentito dai carabinieri spiega di aver visto avviare verso i bruciatori di tutto, perfino eternit, ovvero amianto.
Per tutto il 2008 la procura di Velletri ha ordinato prelievi, controanalisi, verifiche e intercettazioni telefoniche. La svolta arriva poi a fine anno, quando Piero Basso, un capo turno, segnala ai dirigenti un Cdr sospetto che veniva dalla Campania. Non succede nulla, anzi, viene invitato a farsi gli affari sui. «Io a Colleferro ci vivo - racconta oggi -, respiro anch'io quello che esce dall'impianto». Così decide di portare un campione ai carabinieri, che lo fanno analizzare dall'Arpa trovando la presenza anche in quel caso di rifiuti tossici. A gennaio per Piero Basso arriva la ritorsione, la sospensione dal lavoro. Un atto d'intimidazione - secondo la procura - che qualche giorno fa aveva messo sotto inchiesta anche l'attuale commissario straordinario del consorzio Gaia, Lolli, che però non risulta indagato nell'inchiesta principale. L'inchiesta rischia di travolgere ora il consorzio Gaia, commissariato da un paio d'anni dopo il fallimento di fatto. Ieri il commissario straordinario Lolli era al ministero dello sviluppo economico per discutere le procedure di gara per la vendita delle società. L'estate scorsa si erano dette interessate 14 aziende, tra cui Veolia, A2A e Acea. E nessuno sa, per ora, se ci sarà una vera e propria gara o una trattativa privata, per svendere l'unico consorzio pubblico del Lazio che si occupa di rifiuti.

«Le belve moderne? I banchieri»

«Le belve moderne? I banchieri»

di Bruno Perini

su Il Manifesto del 12/03/2009

Intervista a Guido Rossi. La grande finanza, con la sua ingordigia, ha corroso l'economia reale e la vita delle persone. Ma la crisi di oggi non è partita nel 2007: risale almeno agli anni Novanta, allo scoppio delle prime «bolle». Rendendo evidente l'esigenza di un controllo, che deve essere politico e sovranazionale

«Ha presente gli animal spirits imprenditoriali di cui ci parla John Maynard Keynes nella sua Teoria Generale? L'economista di Cambridge si riferiva allo spirito libero che avrebbe dovuto ispirare l'azione dell'attività imprenditoriale. Oggi quell'immagine suggestiva di Keynes fa venire i brividi se si pensa alla sua metamorfosi. A cosa mi riferisco? Non vorrei essere troppo crudele ma oggi se devo pensare agli animal spirits della nostra epoca mi vengono in mente i banchieri. Purtroppo questi moderni animal spirits, senza alcun controllo, hanno spinto l'economia mondiale sull'orlo del più grande disastro degli ultimi decenni. Le fornisco soltanto un dato piuttosto impressionante di questo disastro: a causa dell'azione combinata dei nostri animal spirits, dal giugno 2007 alla fine del 2008 la perdita degli asset dei fondi pensione negli Usa è di 1,3 trilioni di dollari. Un dato devastante che dimostra quanto la finanza abbia corroso l'economia reale e la vita delle persone».
Il professor Guido Rossi, come al solito, non bada a spese quando si tratta di essere severi, affila le parole come fossero sciabole, e lancia fendenti dolorosissimi. Prima di proseguire nella sua requisitoria sulle ragioni della crisi che sta mutando l'economia del pianeta, si fa spazio tra le decine di libri che occupano il tavolino del salotto di casa e estrae il suo ultimo lavoro pubblicato dall'Adelphi. Il titolo di copertina è duplice: sopra c'è John Maynard Keynes, «Possibilità economiche per i nostri nipoti», e sotto c'è il suo saggio. Il titolo è identico ma è accompagnato da un angoscioso punto di domanda: «Possibilità economiche per i nostri nipoti?». L'occhio cade sull'ultima pagina del libro: «La Fenice dello sviluppo economico contemporaneo sta bruciando su un rogo che si è accesa da sola. Ciò che nascerà dalle sue ceneri dovrà essere molto diverso dal capitalismo come lo abbiamo fin qui conosciuto e dai suoi derivati, come il supercapitalismo evocato da Reich».
Sono parole che non hanno bisogno di tanti commenti: mi pare che lei pensi a una crisi di sistema, o sbaglio?
Non c'è dubbio. Siamo di fronte a una crisi epocale e di sistema. Una crisi che ha dei punti di non ritorno. Le difficoltà economiche di oggi non possono essere risolte come in passato ma richiedono nuovi assetti istituzionali, nuovi equilibri, un diverso rapporto tra Stato ed economia. Dobbiamo renderci conto che è arrivato il momento di mettere a nudo i limiti dell'economia di mercato globalizzata. D'altronde lo stesso Adam Smith aveva capito che il mercato andava inserito in un sistema di controlli. I liberisti? Nel 2000 e ancor prima credevano di aver conquistato il mondo. «E' finita l'deologia è iniziata la libertà», gridavano ai quattro venti. In realtà la vera ideologia era la loro ed è quella ideologia che ha registrato un clamoroso fallimento.
C'è chi ha fatto dei paragoni con la grande crisi del '29. Lei che ne pensa?
Attenzione, la crisi del 1929 fu molto diversa. Fu una crisi strisciante che durò anni. La caduta iniziale delle Borse non fu così drammatica ma i ribassi dei valori dei titoli continuarono fino al 1933 quando ci si rese conto che il valore di Borsa si era ridotto di tre quarti rispetto al 1929. Il New Deal di Roosevelt nacque proprio per gestire la grande depressione e ancora nella seconda metà degli anni 30 negli Stati Uniti si assisteva al crollo del Pil e a una caduta dei profitti. Io credo che la la crisi del '29 fu purtroppo risolta dalla seconda guerra mondiale. Solo allora si uscì dalla grande depressione.
E la crisi attuale?
La crisi attuale non è partita nel 2007. Le basi di quello che sta accadendo ora vengono poste alla fine del millennio passato con la bolla della new economy. Si scopre che il sistema economico e finanziario mondiale è un insieme di grandi bolle speculative che prima o poi esplodono con effetti drammatici. Nel 2000 poi scoppia l'altro fenomeno che caratterizza la nostra epoca: il debito pubblico. E proprio all'inizio di questo millennio che torna l'nstabilità dei mercati di keynesiana memoria. E con l'instabilità si fa sempre più gigantesco il deficit degli Stati Uniti. Un deficit, si badi bene, che viene finanziato in gran parte dai paesi asiatici e in particolare dalla Cina. Ecco l'intreccio tra est e ovest che molti osservatori hanno sottovalutato. Ma all'inizio del 2000 si verifica il fenomeno più grave della storia economica recente: inizia una totale, forsennata e irresponsabile deregolamentazione. Anche in questo caso gli effetti sono gravidi di conseguenze: gli animal spirits dei banchieri prendono il sopravvento e sul mercato vengono messi prodotti ad alto rischio. Come ha detto Warren Buffett le banche e i banchieri hanno inventato prodotti e strumenti finanziari che si sono rivelati armi di distruzione di massa. C'è una grave responsabilità in tutto ciò e non sappiamo se mai qualcuno pagherà per i guasti che sono stati fatti al sistema.
Mi pare che il guaio vero sia che gli animali della finanza abbiano infettato anche l'economia reale. Non è così?
Certo che è così. L'esempio dei fondi pensione è drammatico da questo punto di vista. Lì non si tratta semplicemente di un crollo di titoli azionari, in quel caso dietro la caduta di corsi di Borsa ci sono le liquidazioni di milioni di persone messe a rischio dalle belve selvagge. Chi sono le belve selvagge? E' una definizione efficace con la quale Martin Wolf definisce la finanza moderna: una giungla abitata da belve selvagge. Ora io credo che per il futuro non sarà più possibile immaginare un sistema economico interamente dominato dalla finanza. Lei mi chiede come mai malgrado le iniezioni di liquidità immesse nel sistema dai governi la crisi persiste e si aggrava. Io le rispondo che oggi il problema non è più quello della liquidità ma quello dell'insolvenza delle grandi imprese industriali e bancarie. Il virus è ormai insediato nell'economia reale. Oggi paghiamo i costi dell'illusione liberista. L'illusione che nel mercato del lavoro, ad esempio, si potesse risolvere la crisi con un equilibrio spontaneo del mercato. Keynes l'aveva già capito: la disoccupazione è uno dei sintomi dell'instabilità permanente del capitalismo.
Come si esce dal questa crisi?
Intanto dobbiamo sapere che il centro di gravità del mondo è cambiato, si è spostato dagli Stati Uniti alla Cina. Gli Stati Uniti hanno dominato per anni ma ora hanno soltanto il primato del deficit puublico, mentre la Cina è il paese che possiede assieme ai paesi asiatici la maggior parte dei titoli del debito pubblico americano. Io credo che un'utopia possibile sia una sorta di Commonwealth composto da Cina Europa e Stati Uniti in grado di ricucire il sistema finanziario mondiale. Io penso ad esempio a un authority internazionale sui mercati finanziari. Per far ciò è assolutamente necessario che ci sia un ritorno del ruolo degli Stati e dunque del primato della politica sull'economia, altrimenti sarà un disastro. Non possiamo permetterci la memoria corta. La crisi del '29 ebbe come sbocco drammatico gli Stati totalitari in Italia e Germania e poi la seconda guerra mondiale. Se vogliamo evitare catastrofi di quelle dimensioni dobbiamo immaginare un nuovo multilateralismo in grado di controllare e gestire la crisi.

martedì 10 marzo 2009

"È nel parco di Veio, non si può costruire un centro intitolato al Papa"

"È nel parco di Veio, non si può costruire un centro intitolato al Papa"
SIMONA CASALINI - GIOVANNA VITALE
MARTEDÌ, 10 MARZO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

Gli ambientalisti.

Una deroga può essere autorizzata dal presidente della Regione Piero Marrazzo

"A ricordo della storica visita del Santo Padre in Campidoglio, il Comune di Roma intitola a Benedetto XVI il Centro di Via dell´Inviolatella Borghese, nel quale verrà realizzato un polo specializzato per la formazione e il recupero della gioventù disagiata e dei ragazzi rom". Inizia così il testo della pergamena lavorata a mano che ieri il sindaco Alemanno ha donato a Joseph Ratzinger, ricevendo in cambio una copia numerata e autografata del "Compendio della dottrina sociale della Chiesa", insieme a una pianta monumentale di Roma pubblicata dalla Biblioteca vaticana per il Giubileo del 2000. «Un gesto simbolico», recita la pergamena, «con il quale l´amministrazione comunale intende testimoniare al Papa la propria attenzione all´educazione e alla formazione delle giovani generazioni per fare di Roma la capitale della vita, della solidarietà e della speranza». Un aggettivo, quel «simbolico», che rischia però di rivelarsi più esatto del previsto. Risultato? Il regalo al pontefice potrebbe rimanere a lungo (se non per sempre) solo sulla carta.
I 13 ettari di terreno dove dovrebbe sorgere il "Centro Benedetto XVI", da affidare ad associazioni laiche e cattoliche, si trova infatti tra la Cassia Nuova e la Flaminia, in via dell´Inviolatella Borghese. Siamo dunque all´interno della perimetrazione provvisoria del Parco di Veio, un´area ancora verde, in parte coltivata e in parte lasciata a pascolo, dotata di un piccolo fabbricato rustico. Ma soprattutto, fa notare l´associazione ambientalista Vas, «in base alla normativa vigente, sia di tipo urbanistico che di tipo paesistico-ambientale, è del tutto inedificabile: quindi vi sarebbe vietata anche la costruzione di una pur pregevole nelle finalità casa d´accoglienza per giovani disagiati». Spiega Rodolfo Bosi, architetto e profondo conoscitore della zona: «Quei 13 ettari furono ceduti nel 2004 dall´Agenzia del Demanio, direzione centrale dei Beni confiscati, che decise di dare al Campidoglio l´intero terreno sequestrato a quattro società legate a Enrico Nicoletti, nome che ricorre nelle inchieste sulla banda della Magliana. Quelle società avrebbero voluto realizzarci sopra numerose cubature, ma anche allora scattarono vincoli e tutele. Poi seguirono le manette e la confisca nel 1983 da parte del ministero delle Finanze».
Non solo. Approfondisce l´assessore all´Urbanistica del Lazio, Esterino Montino: «Tutta l´area è sottoposta a un doppio vincolo: quello archeologico relativo al Parco di Veio e quello paesistico-ambientale, che la Regione deve far rispettare su delega del ministero dei Beni culturali in applicazione del Codice Urbani». Dunque, «se si volesse costruire, ma anche ampliare il casale preesistente, bisognerebbe mettere in atto una lunga e complessa procedura autorizzativa. E cioè: chiedere all´ente parco una deroga al suo piano di assetto e un parere vincolante alla Regione». Ma scusi assessore, lei sapeva nulla di questo centro che il Campidoglio vuole edificare su quell´area protetta? «Sulla mia scrivania», replica Montino, «non è arrivato nulla».