domenica 15 marzo 2009

La finanza, punta dell'iceberg della crisi americana

La finanza, punta dell'iceberg della crisi americana

Massimo Florio

Liberazione del 15/03/2009

Sbaglierebbe chi pensasse che quella che stiamo vivendo sia principalmente una crisi finanziaria. E' una crisi del meccanismo di accumulazione reale. Le origini stanno nella svolta in chiave neoliberista degli anni '80. Marx, Schumpeter e Keynes, nelle loro diverse prospettive, avevano visto un rischio autodistruttivo del capitalismo. Per mantenere adeguato il rendimento dell'investimento occorre inventare sempre nuove cose. Questa è la grande forza del capitalismo, la sua legittimazione storica. Il suo problema è che i profitti dipendono dalla capacità di consumo. Se il prodotto generato attraverso l'investimento, la combinazione di capitale e lavoro data una tecnologia, non è redistribuito in certe proporzioni, i lavoratori-consumatori non hanno capacità di spesa sufficiente a sostenere la domanda e quindi le stesse aspettative di profitto delle imprese.
C'è una tensione fra struttura della proprietà, quindi distribuzione dei redditi, e accumulazione. La soluzione per Marx era tout-court la socializzazione della proprietà. Per Schumpeter era l'accettazione delle periodiche distruzioni di valore, ma egli era convinto che alla lunga democrazia e capitalismo imprenditoriale, con i suoi cicli, fossero incompatibili e il socialismo, che aborriva, avrebbe prevalso. Per Keynes la soluzione era l'economia mista, in cui la spesa pubblica mette un argine al ciclo autodistruttivo di valore. Più in generale pensava che occorresse minimizzare i rendimenti del risparmio («eutanasia del rentier ») e favorire alti consumi. Una combinazione di queste tre visioni (con una aggiunta di solidarismo cristiano e di socialdemocrazia in Europa), ha retto la politica economica dei paesi sviluppati fino agli anni 70, quando si è temuto che il mondo andasse "troppo" in direzione anticapitalista, anche per la concomitanza dell'espansionismo sovietico successivo alla sconfitta Usa in Vietnam, delle rivolte giovanili, e della crisi fiscale.
La vincente controffensiva Reagan-Thatcher ha determinato un enorme indebolimento delle forze genericamente anticapitaliste e un ridimensionamento del ruolo dello Stato (privatizzazioni, politiche fiscali e monetarie restrittive, contrazione dei servizi pubblici). Invece dell'eutanasia del percettore di rendite finanziarie, si è avuta una sua resurrezione. La distribuzione dei redditi diventava spettacolarmente più diseguale (meno imposte progressive, meno lotte sindacali, meno garanzie, e la quota del lavoro cadeva di oltre dieci punti in molti paesi nell'arco di un ventennio). Si determinavano bolle speculative una dietro l'altra. La massa dei profitti generata da questa redistribuzione doveva trovare impiego in qualcosa per sostenere sempre nuova accumulazione. Uno dei primi target storicamente sono stati gli immobili. Anche le privatizzazioni sono state una operazione speculativa connessa all'ampliamento delle capitalizzazioni borsistiche. La bolla della new economy ha creato società virtuali in pura perdita con azioni ipervalutate. L'epicentro concreto e ideologico di questa palingenesi della rendita sono gli Stati Uniti. Per non fare esplodere le bolle le autorità monetarie inondavano il sistema di possibilità di indebitamento (Greenspan).
Buccia di banana: la vendita di immobili alle minoranze etniche e ai ceti a minore reddito. Si finanziano poveri cristi che in realtà non hanno redditi per pagare il mutuo, poi si cartolarizza il debito, lo si affetta e si costruiscono dei derivati, mescolando vari tipi di rischio. Più che tossica, questa è finanza allucinogena. A dipendenti precari di Mc Donald, pagati pochi dollari l'ora, sono stati fatti mutui da centinaia di migliaia di dollari. Non poteva durare.
Ironia: un sistema che non vuole assicurare alle persone redditi sicuri e accettabili, che rende praticamente impossibile il ricorso al sindacato, che terrorizza una parte considerevole dei meno abbienti con la mancanza di copertura delle cure mediche universali e delle pensioni garantite dallo stato, che li fa indebitare per la scuola e università se vogliono emergere, poi ha bisogno di fingere che queste stesse persone abbiano un discreto reddito, che il loro è un buon debito su cui scommettere al rialzo.
Nessuna ri-regolazione, nessun appello all'etica degli affari, può raddrizzare uno squilibrio strutturale fondamentale che continuerà a riprodursi se la distribuzione dei redditi fra profitti e salari non ricostituisce una capacità solvibile di consumo, negli Usa e su scala globale.