sabato 28 novembre 2009

E gli agricoltori seminano sull´asfalto In duemila sfilano nel centro della città: chiedono sgravi fiscali e incentivi in vista della Finanziaria

E gli agricoltori seminano sull´asfalto In duemila sfilano nel centro della città: chiedono sgravi fiscali e incentivi in vista della Finanziaria
SABATO, 28 NOVEMBRE 2009 LA REPUBBLICA - Torino

Mais «seminato» sull´asfalto per denunciare le difficoltà in cui si trova il settore agricolo, la forte pressione competitiva e il crollo delle quotazioni dei prodotti. Sono stati oltre duemila i contadini aderenti a Confagricoltura e Cia che ieri mattina hanno manifestato per le vie del centro di Torino. «L´agricoltura è in pericolo: ha bisogno di aiuto», è stato lo slogan che ha aperto il corteo, terminato in piazza Bodoni. I presidenti di Confagricoltura e Cia, Federico Vecchioni e Giuseppe Politi, hanno incontrato i parlamentari piemontesi, la presidente della Regione Mercedes Bresso, il presidente del consiglio regionale Davide Gariglio, e l´assessore regionale all´Agricoltura Mino Taricco. Le richieste, in vista della legge finanziaria 2010, sono state di sgravi e incentivi tributari e contributivi. L´annata agricola 2009, che si è conclusa come da tradizione l´11 novembre, giorno di San Martino, ha mostrato un calo dell´8 percento del valore delle produzioni, con una perdita di 270 milioni rispetto al fatturato dell´anno precedente.

«L´agricoltura - affermano le associazioni agricole - sta vivendo la crisi più grave degli ultimi vent´anni. È urgente che le istituzioni intervengano con misure straordinarie per evitare la chiusura di migliaia di imprese agricole, salvando il reddito e l´occupazione di centinaia di migliaia di operatori agricoli e dell´indotto. Inoltre occorre mettere a punto una strategia di lungo respiro che ponga le condizioni per la competitività del settore. Salvare l´agricoltura vuol dire anche preservare il patrimonio culturale, paesaggistico, ambientale che è un fattore importante del nostro Paese».

mercoledì 25 novembre 2009

Venti anni di intifada. Radiografia del massacro

Venti anni di intifada. Radiografia del massacro

L'Unità del 23 novembre 2009

Umberto De Giovannangeli

Bilancio di un conflitto lungo venti anni. Gli anni della prima e della seconda Intifada. Bilancio di sangue. A stilarlo è B`Tselem, la più autorevole associazione israeliana per i diritti umani. Secondo il rapporto il conflitto israelo-palestinese ha fatto almeno 8.900 morti in due decenni, la gran parte dei quali erano palestinesi. I militari israeliani hanno ucciso 7.398 palestinesi, tra i quali 1.537 minori, sia in Israele che nei Territori occupati; i palestinesi, dal canto loro, hanno ucciso 1.483 israeliani, tra i quali 139 minori. Questi anni sono stati contrassegnati dalla prima Intifada (1987-1993), dalla seconda Intifada che è iniziata nel 2001 e dall`offensiva «Piombo fuso» di Israele contro la Striscia di Gaza.

BILANCIO DI SANGUE

Il 2009 è stato l`anno più sanguinoso con la morte di 1.433 palestinesi, di cui 315 minori, quasi tutti uccisi nel corso dell`operazione «Piombo fuso» (27 dicembre 2008 - 18 gennaio 2009). B`Tselem ha valutato che sono stati 1.387 (di cui 320 minori e 111 donne) i palestinesi uccisi in tre settimane. Il 1999 è stato l`anno meno sanguinoso per i palestinesi (8 morti) B`Tselem precisa che tra le vittime israeliane 488 erano membri della polizia o dell`esercito, le altre 995 sono state uccise in seguito agli attentati in Israele o nei territori occupati. Per Israele l`anno più duro è stato il 2002 con 420 morti e il 1999 il meno violento (4 morti). 335 i palestinesi agli arresti amministrativi senza processo (contro 1.794 nel 1989).

DEMOLIZIONI

Nel corso di questi 20 anni le autorità israeliane hanno demolito, sia perché erano state costruite senza permesso, sia per infliggere una misura punitiva alle famiglie degli attentatori 4.300 case palestinesi in Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme est, così come nella Striscia di Gaza fino all`evacuazione di Israele nel 2005. In più, B`Tselem stima che 6.240 case siano state distrutte nel corso dell`operazione militare nella Striscia di Gaza (3.540 solo nell`operazione «Piombo fuso»). Se si abbraccia un arco di tempo più lungo, dal 1967 al 2008, le case palestinesi demolite sono state 24.125. In 20 anni il numero di israeliani che vivono in Cisgiordania o a Gerusalemme est è triplicato per arrivare a 500.000, secondo le cifre ufficiali riprese da B`Tselem.

SEGREGAZIONE

Il rapporto spiega che la città di Hebron è sottoposta alla distruzione delle fonti di reddito a causa delle restrizioni alla libertà di movimento imposte dall`esercito israeliano, in particolare dopo lo scoppio della seconda Intifada. Tali restrizioni comprendono il divieto totale di camminare o viaggiare sulle strade principale della città, la chiusura dei negozi in base a un decreto militare. Nel rapporto si sottolinea che la città di Hebron, in Cisgiordania, vive «una politica di segregazione su base razziale». Nelle aree vicino alle case dei coloni, le autorità di occupazione hanno costretto i cittadini palestinesi a evacuare più di 1014 unità abitative, cioè, il 41,9% del totale delle case della zona. Dal settembre 2000 fino ad oggi, rileva B`Tselem, «i palestinesi sono stati cacciati via da più di 1000 appartamenti e 1829 negozi commerciali nel centro di Hebron, a seguito delle pressioni praticate dall`esercito di occupazione israeliana, dalla polizia e dai coloni».

CHIUSURE E BLOCCHI

Ampio spazio è dato poi nel rapporto agli effetti deleteri per la popolazione palestinese causati dal blocco della Striscia di Gaza e dalla costruzione della barriera di separazione: entrambi stanno provocando gravi sofferenze ai civili. Nella Striscia di Gaza, inoltre, la disoccupazione ha ormai toccato il 50 per cento, e il 79 per cento delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. Senza contare la penuria di elettricità e acqua potabile (sono 228 mila le persone che non vi hanno accesso in Cisgiordania), con gravi conseguenze anche sulla salute. A tutto questo si aggiungano le restrizioni nei movimenti, con l`installazione di decine di check-point (18 nella sola Hebron), e il divieto assoluto di transito per i palestinesi lungo 137 chilometri di strade.

domenica 15 novembre 2009

"Persi 150 miliardi di litri d´acqua" Tav Mugello, la Corte dei Conti calcola i danni ambientali

"Persi 150 miliardi di litri d´acqua" Tav Mugello, la Corte dei Conti calcola i danni ambientali
FRANCA SELVATICI
SABATO, 14 NOVEMBRE 2009 LA REPUBBLICA -

"Anche Ventura, Del Lungo, Fontanelli e Nardi chiamati a risponderne"

Se ci fosse stata più attenzione per l´ambiente, se fossero state imposte altre scelte progettuali, la linea ad alta velocità ferroviaria Bologna-Firenze non avrebbe devastato le risorse idriche del Mugello e dell´area di Monte Morello. E´ il motivo per cui la procura regionale presso la Corte dei conti contesta agli amministratori toscani che hanno fatto parte delle due giunte presiedute da Vannino Chiti fra il ´90 e il ´95 e il ´95 e il 2000, nonché ai componenti delle due Commissioni di valutazione dell´impatto ambientale (Via), di aver causato con le loro scelte un danno di 741 milioni di euro. Fra coloro che sono chiamati a rispondere di quelle decisioni, oltre al senatore Vannino Chiti e al presidente della Toscana Claudio Martini, all´epoca assessore, ci sono altri ex assessori fra cui l´onorevole Michele Ventura, Marialina Marcucci, Claudio Del Lungo, Paolo Fontanelli, Simone Siliani. E ci sono le ex presidenti delle Commissioni Via Costanza Pera e Maria Rosa Vittadini e, fra i numerosi componenti, l´ex presidente dell´autorità di bacino dell´Arno Raffaello Nardi.
La procura contabile, che ha incaricato la Guardia di Finanza di accertare i danni ambientali causati dai lavori eseguiti dal Consorzio Cavet (gruppo Fiat), afferma che i trafori hanno causato la dispersione, ancora in corso e irreversibile, di 150 miliardi di litri di acqua, con scomparsa di fiumi, torrenti, sorgenti e acquedotti. Un disastro dovuto alla inadeguatezza degli studi idrogeologici, più volte denunciata dai tecnici, e alle scelte progettuali approvate, sia pure con riserve e raccomandazioni, da Regione e Commissioni ministeriali. La procura contabile mette sotto accusa la decisione, avallata dalla parte pubblica, di realizzare gallerie drenanti, progettate in modo da far defluire tutta l´acqua sovrastante. Secondo l´Arpat, l´immensa perdita d´acqua dipende dalla scelta di dotare le gallerie di un rivestimento non armato spesso 90 cm, tale da sopportare senza rischio di cedimenti strutturali una colonna d´acqua non superiore a 50 metri, «mentre il tracciato delle gallerie in alcuni casi si trovava a oltre 500 metri sotto il livello della falda idrica sotterranea». In quelle condizioni, senza il drenaggio la pressione sarebbe stata tale da mettere a rischio la resistenza strutturale delle gallerie.

venerdì 6 novembre 2009

Nascono i gruppi di acquisto solare. Pannelli scontati del 35% grazie all’iniziativa del Comune di Capannori

Nascono i gruppi di acquisto solare. Pannelli scontati del 35% grazie all’iniziativa del Comune di Capannori
ARIANNA BOTTARI
VENERDÌ, 06 NOVEMBRE 2009 IL TIRRENO - Lucca

CAPANNORI. Installare pannelli solari sul tetto di casa a prezzi vantaggiosi? Presto a Capannori sarà possibile grazie all’iniziativa promossa dell’amministrazione comunale (in collaborazione con Alerr) denominata “Gruppi di acquisto solare”. Il Comune si farà promotore dell’acquisto “in comunità” degli impianti fotovoltaici o solari, così da ottenere sconti notevoli su prodotti e installazione.
Si tratta del primo esperimento del genere in Toscana ed è volto ad abbattere le emissioni inquinanti in maniera sensibile.
E per incentivare l’utilizzo dell’energia solare, l’amministrazione si appresta ad incontrare la Soprintendenza per tentare di rimuovere gli ostacoli burocratici per chi abita nelle zona a tutela paesaggistica.
Gruppi d’acquisto Solare, ovvero gruppi di cittadini che potranno organizzarsi (così come alcuni già fanno per comprare la frutta e la verdura biologici, i così detti Gas), per installare pannelli fotovoltaici sul tetto di casa a prezzi vantaggiosi.
L’acquisto collettivo di impianti fotovoltaici può infatti far ottenere prezzi molto vantaggiosi da parte degli installatori, almeno rispetto a quelli che sono i costi dei normali contratti privati. Vantaggi anche al momento dell’eventuale richiesta di credito bancario.
Soddisfatto di questa iniziativa il sindaco di Capannori Giorgio Del Ghingaro. «I nostri obiettivi sono molteplici - spiega -: sensibilizzare l’opinione pubblica sulle energie alternative; far risparmiare i cittadini; ridurre le emissioni inquinanti aiutando l’ambiente. Ecco perché abbiamo deciso di farci promotori di questa iniziativa».
In effetti i vantaggi dell’entrare a far parte di uno di questo gruppo per i cittadini ci sono: comprando “in comunità” i pannelli solari, infatti, si può risparmiare fino al 35%. Sarà sufficiente reperire i finanziamenti e scegliere l’impresa che meglio risponde alle proprie esigenze, passando poi alla realizzazione degli impianti, al conto energia e alle varie agevolazioni previste. Spendere meno per inquinare meno, dunque.
Il progetto oltre ai privati cittadini potrebbe riguardare anche piccole aziende locali.
«Purtroppo - conclude Del Ghingaro - nonostante i nostri sforzi, ci scontriamo con la burocrazia e, in questo caso, con quella della Soprintendenza. Installare i pannelli nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, infatti, non è affatto facile, per non dire impossibile. E queste aree nel Capannorese sono molto estese.
«Da qui la decisione di convocare un incontro con il soprintendente per arrivare alla firma di un protocollo d’intesa svolto a sbloccare queste situazioni».
Per quanto riguarda il Gruppo di acquisto solare, modalità e tempi per partecipare a questo nuovo progetto saranno illustrati ai cittadini nel corso di un’assemblea pubblica che sarà promossa a breve dal Comune in collaborazione con Alerr.

giovedì 5 novembre 2009

La svendita dell'acqua pubblica

La svendita dell'acqua pubblica

la Repubblica del 5 novembre 2009

Paolo Rumiz

Con le reti idriche allo sfascio, l´Italia accelera la privatizzazione dell´acqua. Il Parlamento sta discutendo la legge che obbliga a mettere in gara i servizi e ridurre a quote minoritarie la mano pubblica nella gestione, ma nessuno sa dove trovare le risorse per ricuperare questo pazzesco "gap" infrastrutturale. I lavori necessari ammontano a 62 miliardi di euro: una cifra enorme, come dieci ponti sullo Stretto. Questo mentre 8 milioni di cittadini non hanno accesso all´acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent´anni che si investe al lumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Un quadro da Terzo Mondo.
Il rischio è di lasciare in eredità ai nostri figli un patrimonio di acqua inquinata da industrie, residui fognari, chimica, arsenico o metalli pesanti. Di fronte a questo allarme concreto sembra sollevarsi nient´altro che il solito polverone. Uno scontro di "teologie": con una maggioranza che crede nell´efficacia salvifica della gara d´appalto e della quotazione in Borsa, e una minoranza che invoca il principio assoluto dell´acqua "bene comune". In mezzo a tutto questo, schiacciata fra le scorrerie dei partiti e gli appetiti finanziari dei privati, una miriade di Comuni virtuosi che finora hanno gestito i servizi a basso costo e in modo eccellente, e non intendono alienare "l´acqua del sindaco", intesa come ultima trincea del governo pubblico del territorio.
Nell´agosto 2007 Tremonti aveva già sparato un decreto per la privatizzazione, ma si era rivelato cos carente che non era stato possibile emanare i regolamenti. Oggi si tenta il bis, con una spinta in più verso i privati. Stavolta è d´accordo anche la Lega: la quota della mano pubblica dovrà scendere al 30%. Insomma, che i Comuni in bolletta vendano tutto quello che possono. Facciano cassa, subito. E non fa niente se qualcuno grida al furto e il Contratto mondiale per l´acqua – ultima trincea del pubblico servizio – minaccia fuoco e fiamme. «In nessun´altra parte d´Europa – attacca il presidente Emilio Molinari – si vieta alla mano pubblica di conservare la maggioranza azionaria. Il rischio è che tutto finisca in mano delle grandi Spa e alle multinazionali. E se il servizio non funziona, invece che al tuo sindaco dovrai rivolgerti a un call center».
Contro il provvedimento s´è scatenata una guerra di resistenza. In Puglia il presidente della regione Niki Vendola s´è messo in collisione con gli alleati del Pd, ed ha non ha solo annunciato di voler far ricorso contro la privatizzazione, ma ha deciso di ripubblicizzare l´acquedotto pugliese, il più grande e malfamato d´Europa (si dice che abbia dato più da… mangiare che da bere ai pugliesi). Al grido di "l´acqua è una cosa pubblica" ora si tenta la storica marcia indietro, anche se non si ha la più pallida idea di chi (la Regione?) pagherà i debiti del carrozzone.
Intanto si moltiplicano le assemblee: Verona, Bari, Udine, Savona, Potenza, Rieti. Da Milano arrivano segnali di preoccupazione, a difesa di un´azienda comunale totalmente pubblica che finora ha mantenuto tariffe tra le più basse d´Italia. Il malumore cresce nei Comuni di montagna. In Carnia anche quelli della Lega sono ai ferri corti con la giunta regionale di centrodestra. Già hanno dovuto affidare i loro servizi a una Spa-carrozzone che fa acqua da tutte le parti e alza le tariffe senza fare investimenti; ora non vogliono che questo preluda al passaggio a un´azienda con sede a Milano, Roma o magari all´estero. A Mezzana Montaldo (Biella) dove si gestiscono la loro rete in modo ineccepibile da oltre un secolo, non ci pensano nemmeno a mollare l´acqua ad altri.
« la fine del federalismo e dei valori del territorio persino nelle regioni a statuto speciale» osserva Marco Job del C.m.a di Udine. «Facevamo tutto da soli - ghigna il carnico Franceschino Barazzutti - dalle mie parti il sindaco guidava il trattore, e se necessario aggiustava lui stesso la conduttura tra il paese e la sorgente. Oggi devi chiamare i tecnici a Udine, con tempi maggiori e costi più alti. E se devi segnalare un disservizio, devi andare a Tolmezzo o Udine, mentre prima era tutto sotto casa. E´ tutto chiaro: hanno fatto una Spa pubblica solo per poi passare la mano ai privati».
Privatizzare è l´ultima speranza di adeguarci all´Europa, puntualizza il governo. Ma qui viene il bello. proprio l´enormità dei costi di questo adeguamento a falsare la gara. «Senza certezza sul futuro del servizio e con simili costi fissi nessuna banca al mondo finanzierà le piccole imprese, e cos finiranno per vincere le grandi aziende quotate, capaci di autofinanziarsi e di imporsi semplicemente con la forza del nome», spiega Antonio Massarutto dell´università di Udine. Altra cosa che pu falsare i giochi è la mancanza di garanzie sul rispetto delle regole. «Siamo in Italia» brontola Roberto Passino, presidente del Coviri, Comitato vigilanza risorse idriche: «Prima si lamentavano perché non funzionavamo, e ora che abbiamo rimesso le cose a posto, tutti si lamentano perché funzioniamo». Un problema di comportamento, insomma. Di cultura e responsabilità.
Pubblico o privato? «Non importa che i gatti siano bianchi o neri – scherza Passino citando Marx – l´importante è che mangino i topi». Quello che conta è il controllo. In Inghilterra l´azienda pubblica è stata privatizzata al cento per cento, ma la Spa che ha vinto la gara ora ha sul collo il fiato di un´authority ventiquattrore su ventiquattro. Le modifiche del contratto sono impossibili. Ogni cinque anni le tariffe vanno discusse daccapo. Massarutto: «L´anomalia italiana è che ci si illude che la gara basti a lavare più bianco. Non è vero niente. Serve uno strumento di controllo e garanzia che impedisca furbate o fughe speculative». Figurarsi se poi l´azienda firma un contratto che include non solo la gestione, ma anche gli investimenti immensi che il settore richiede.
Altra anomalia: abbiamo le tariffe più basse d´Europa. Questo perché – a differenza di Francia o Germania - finora nessuno ha osato scaricare sulle tariffe il costo di questo immenso arretrato di lavori. Viviamo in uno strano Paese, dove si protesta per le bollette dell´acqua, ma non si osa dir nulla su quelle del gas e dell´elettricità, che invece sono – udite - le più alte del Continente. Dire che gli acquedotti si debbano pagare con le tasse è quantomeno spericolato, osserva Giuseppe Altamore autore di grandi libri sulla questione idrica in Italia: «Non vedo cosa ci sia di giusto nel fatto che io debba pagare il servizio idrico anche per gli evasori fiscali». Nell´incertezza sul futuro, il ritardo aumenta, e sulle nostre spalle cresce la previsione di una batosta stimata per ora sui 115 euro pro-capite l´anno.