domenica 31 luglio 2011

Se sui campi dell´Expo nascerà solo cemento

Se sui campi dell´Expo nascerà solo cemento
CARLO PETRINI
MARTEDÌ, 12 LUGLIO 2011 LA REPUBBLICA - Commenti

L´hidalgo Vicente Loscertales, segretario generale del Bie in visita a Milano qualche giorno fa, avrebbe «messo una pietra tombale» sul masterplan dell´Expo 2015, il progetto che contemplava tanti orti e altri esempi di produzioni alimentari per rappresentare la biodiversità globale e come si nutre il Pianeta. «No a una ripetizione di campi», ha detto.
Ha usato queste parole: «Non è per vedere tanti orti tutti uguali che 150mila visitatori al giorno pagheranno un biglietto. Le distese di melanzane sono uguali in Italia o in Togo. Il tema di Expo, "Nutrire il Pianeta", è più complesso: per vivere serve più di un orto, non vuol dire che dobbiamo essere tutti vegetariani». Detto da uno che si è sempre occupato di cooperazione internazionale e ha approvato il tema con cui Milano ha vinto l´Expo a Parigi nell´ormai lontano 2008 suona come una rivelazione d´incompetenza, sufficienza e ignoranza colossale.
Non aver capito niente del masterplan dopo così tanto tempo è sconcertante, ma bisogna prenderne atto. Siccome al Bie l´unica cosa che interessa sono le royalties che prenderanno su ogni biglietto staccato durante l´Expo, è chiaro che la sua visionarietà - e quella di tutti coloro che gli sono andati dietro sottoscrivendo la sua pochezza - si riduce a quello: pecunia. Ciò che ha guidato sin qui ogni mossa, ogni parola, ogni intendimento lasciando la macchina organizzativa senza uno straccio d´idea su come si farà questa imponente manifestazione. E i tempi stringono come non mai.
«Bisogna dare un´accelerata», dicono, e infatti nel mese di luglio consiglio comunale e giunta milanese dovranno fare alcuni passaggi decisivi e molto delicati per quei nuovi equilibri politici che hanno fatto sognare molti milanesi nel dopo-elezioni. L´area dove sorgerà l´Expo, a meno di quattro anni dalla manifestazione, è ancora in mano ai privati. Il Comune dovrebbe cambiare l´indice di edificabilità, perché altrimenti il prezzo sarebbe quello agricolo: si propone un indice che calcolato sugli ettari totali darebbe origine, nel dopo-Expo, o a una piccola Manhattan (se edificata in altezza) o alla costruzione su tutta l´area di un nuovo quartiere. Peccato che questo vada contro la volontà dei cittadini, che si sono espressi con un referendum che parla chiaro: i milanesi lì sopra ci vogliono un parco agroalimentare e la salvaguardia dalla cementificazione. La patata in mano al consiglio comunale non è bollente, di più. I contratti vanno fatti adesso perché le ruspe dovranno entrare in azione a ottobre.
Questa fretta nel decidere e le casse vuote del Comune non sono imputabili ai nuovi eletti. Perché dovrebbero digerire la polpetta avvelenata di una becera speculazione che non rappresenta il nuovo corso milanese? Intanto, gli abitanti di Milano stanno iniziando a mobilitarsi. È difficile prevedere cosa succederà, ed è anche comprensibile che nessuno stia paventando di lasciar perdere l´Expo (cosa che pur avrebbe i suoi perché): sarebbe una sconfitta politica e sarebbe come dire che ci sono soltanto due alternative, le speculazioni edilizie o il nulla. La terza via invece c´era sin dall´inizio, e non era soltanto un orto. Un parco complesso come complesso è il tema che si è data la manifestazione, un nodo cruciale per il futuro di tutto il Pianeta. Era l´occasione unica per l´Expo di diventare qualcosa di nuovo in un mondo che ha bisogno di nuovi paradigmi. Si è persa l´occasione per mobilitare grandi masse di giovani e meno giovani per interrogarsi sulla domanda crescente di cibo, sul cambiamento del clima e sull´avanzare delle zone aride, sulla sicurezza alimentare, sul complesso rapporto città-campagna; tutto questo non in una dimensione bucolica o poetica, ma con il pieno coinvolgimento della piccola produzione, dell´artigianato e dell´industria alimentare. Chiamando in causa anche il mondo della ricerca, delle nuove tecnologie, e garantendo comunque quel piacere alimentare che tutte le comunità del mondo hanno saputo esprimere nei secoli. Questo era l´Expo da auspicare, che avrebbe fatto di Milano un laboratorio del futuro.
Ma sono mancate la politica, la cultura, il progetto, il coraggio, e con il falso pragmatismo che chiede di costruire una kermesse turistica e intanto si sono persi il tempo e il sogno. L´Expo è così diventata una mastodontica macchina invecchiata su se stessa, valida per le masse cinesi, ma che ha perso da decenni la capacità di essere fulcro d´innovazione.
Giunti a questo punto, chiederei che almeno cambino il tema e che ognuno faccia il suo mestiere. Perché c´è spazio per un grande progetto politico nella nuova Milano, partendo dall´agricoltura periurbana di questa grande città, per poi guardare al mondo nel 2015 con una grande chiamata alle reti di donne, giovani, contadini e cittadini che rivolgono lo sguardo a un futuro basato su un concetto di alimentazione che rispetti la terra e i suoi figli. Il giocattolo Expo sarà altra cosa e, viste le figure che stanno facendo mentre il tempo passa e resta un vuoto colossale d´idee, la figura da peraccottai diventerà presto globale. Quella sì, è uguale in Italia come in Togo.

martedì 26 luglio 2011

Il movimento anti-Cadorna. «Nuovi nomi a vie e piazze»

Il movimento anti-Cadorna. «Nuovi nomi a vie e piazze»
Erika Della Casa
Corriere della Sera 18/7/2011

Dal Friuli alla Liguria: parte il revisionismo stradale

Dopo la decisione di Udine richieste anche ai Comuni di Genova, Savona e La Spezia GENOVA — Cosa unisce un commercialista quarantenne di Rapallo e un settantenne scrittore della memoria come Ferdinando Camon, nato in un paesino di montagna del Veneto? Giancarlo Romiti scambia email con lo scrittore su un argomento che li appassiona: il generale Cadorna, comandante supremo dell'esercito italiano nella prima guerra mondiale, sostituito dal generale Diaz dopo la disfatta di Caporetto. La parola d'ordine che corre su Internet è cambiar nome alle vie e alle piazze intitolate al generale che teorizzava, e soprattutto metteva in pratica, gli assalti frontali, protagonista di undici battaglie sull'Isonzo che lasciarono sul terreno una montagna di cadaveri. Macellaio o figlio del suo tempo, generale che mandava al massacro la «truppa» senza volto o militare della vecchia scuola destinata a essere falciata, come gli uomini, dalle nuove mitragliatrici. La polemica infuria sui blog e non solo. Udine, città natale del generale, ha appena deciso: piazza Cadorna non si chiamerà più così, il consiglio comunale ha votato la nuova intitolazione all'Unità d'Italia. Appresa la notizia Romiti ha scritto al Comune di Savona, di Genova e La Spezia chiedendo che le amministrazioni seguano l'esempio di Udine e sfrattino il generale dalla toponomastica cittadina. «La mia — spiega il commercialista — è una passione, mi sono laureato in storia nel 2009 con una tesi sul diario di un soldato della Grande Guerra originario di Novara. Aveva vent'anni ed è tornato a casa. E’ stato fortunato. Centinaia di migliaia hanno trovato la morte a causa degli ordini impartiti da generali come Cadorna. La questione che solleviamo non è legata alla sconfitta del generale, ma alla sua umanità, o meglio alla sua mancanza». Da Savona Romiti ha incassato una tiepida risposta dal portavoce del sindaco: troppo complicato cambiare il nome alle strade, i residenti dovrebbero cambiare i documenti, meglio lasciare le cose come stanno. «Una risposta burocratica a una questione culturale» dice Romiti. A Udine hanno risolto il problema, ha spiegato il sindaco Furio Honsel, svolgendo gratuitamente per i residenti le pratiche necessarie. «La figura di Cadorna è stata sopravvalutata, lo dicono molti storici — ha chiosato il sindaco — meglio ricordare il sacrificio di tanti, dai generali alle reclute, che quello di uno solo». Il fenomeno anti-Cadorna si allarga a macchia d'olio. L'appello di Camon si è esteso a Trieste e a Gorizia, da quest'ultima città è arrivato un no secco: «Finché ci sono io —ha detto il sindaco Ettore Romoli — Cadorna non si tocca. Fa parte della nostra storia». Anche a Cremona c'è chi ha proposto di cambiare il nome a piazza Cadorna per dedicarla a Erminio Favalli, ex calciatore della Cremonese, ma l'obiettivo era ricordare Favalli più che dimenticare Cadorna. A Savona un comitato aveva chiesto di cancellare via Stalingrado (e un altro protesta perché non esiste una via Sandro Pertini). A Milano polemica dopo la proposta di dedicare una strada a Bettino Craxi. A Genova il consiglio comunale ha votato contro l'intitolazione di una strada a Fabrizio Quattrocchi, ucciso dai terroristi in Iraq. E anche la deposizione di un cippo in ricordo di Carlo Giuliani, ucciso durante il G8 di Genova, ha visto favorevoli e contrari.

La scheda
Il generale Luigi Cadorna (Pallanza 1850 - Bordighera 1928) viene avviato alla carriera militare già dall'età di 10 anni. Alla vigilia della prima guerra mondiale è nominato capo di Stato maggiore dell'esercito. Noto per dispotismo e insensibilità nella gestione dei militari, subirà una cocente sconfitta a Caporetto La battaglia Nell'ottobre 1917 le truppe italiane vengono battute pesantemente dalle forze austro-ungariche a Caporetto: Cadorna attribuirà la disfatta alla «viltà» e «codardia» dei soldati italiani «che si sono ignominiosamente arresi al nemico».

domenica 24 luglio 2011

Multe e processi per gli israeliani accusati di boicottare le colonie sulle terre palestinesi occupate

L’Unità 13.7.11
Multe e processi per gli israeliani accusati di boicottare le colonie sulle terre palestinesi occupate
Il nodo del 1967 Netanyahu di fronte a Obama si è rifiutato di riconoscere le risoluzioni Onu
Dal Meretz a Kadima si allarga il fronte degli oppositori: «È incostituzionale»
Legge bavaglio in Israele ma è boomerang
Passa alla Knesset dopo un infuocato dibattito la legge «contro il boicottaggio delle colonie» sulle terre occupate nel ‘67. Ma è un boomerang per il Likud e già si annuncia un ricorso per incostituzionalità.
di Rachele Gonnellui

La legge chiamata «contro il boicottaggio» è passata lunedì notte alla Knesset, il parlamento israeliano, in un’aula prima incandescente e poi semivuota. Ma quella che in Italia verrebbe ribattezzata «legge bavaglio» rischia di trasformarsi in un boomerang, una vittoria di Pirro per il Likud e il governo Netanyahu. I voti a favore sono stati 47 e 38 i contrari. Questi ultimi però molto significativi e già ieri è stato annunciato dall’associazione Adalah per i diritti civili un ricorso alla Corte Suprema per incostituzionalità.
La legge, sponsorizzata da Ze’ev Elkin del Likud e dal ministro delle Finanze Yuval Steinitz, colpisce le ong e le associazioni israeliane senza scopo di lucro che lanciano o forniscono informazioni per campagne internazionali di boicottaggio di istituzioni accademiche o realtà economiche che sostengono le colonie israeliene nei territori occupati dal 1967. Si tratta di norme capestro che prevedono multe salate e procedimenti giudiziari o per cooperative e aziende che si rifiutano di utilizzar i prodotti delle colonie, l’esclusione dai contratti governativi e per le onlus la cancellazione dall’elenco delle aziende che non devono pagare le tasse.
«Siamo tornati al bolscevismo anni 30», ha tuonato Nino Abessadze, centrista Kadima. Ancor più duro Ilan Gilon, della sinistra del Meretz, ha parlato di una legislazione «che
getta nell’imbarazzo e nel discredito internazionale la democrazia di Israele».
Per Eilat Maoz della Coalition of Women for Peace è «una chiara persecuzione contro noi attivisti dei diritti civili» E già prima del voto alla Knesset il consigliere legale del Parlamento Eyal Yanon aveva avvertito che «parti della normativa sono da considerare ai margini della legalità e anche oltre», scrive il quotidiano progressista Haaretz. E lo storico movimento di attivisti israeliani per la pace Peace Now ha annunciato l’apertura di una pagina su Facebook per portare avanti, per la prima volta, il boicottaggio di prodotti dalle colonie illegali.

sabato 23 luglio 2011

Dall´Olanda a Israele, le nuove tecnologie anticrimine

La Repubblica 17.7.11
Grande Fratello detective ecco come le telecamere svelano le cattive intenzioni
Dall´Olanda a Israele, le nuove tecnologie anticrimine
Si possono anche riconoscere reazioni nervose davanti a determinate parole
di Elena Dusi

Hanno occhi e orecchie. Ma da oggi sanno anche guardare nel nostro cuore e riconoscere le nostre intenzioni. Le telecamere che ci promettono sicurezza, in strada e negli aeroporti, non si limitano più a riprendere immagini. Registrano nuovi parametri come la frequenza cardiaca e il calore corporeo. Se messe accanto a un computer, imparano perfino a riconoscere gli individui pericolosi tra la folla di uno stadio, un teatro o una stazione.
A queste tecnologie sviluppate soprattutto in Israele e testate in alcuni aeroporti americani, anche l´Europa ha deciso di affidarsi. Nel 2013 raggiungerà il traguardo il sistema di telecamere intelligenti Adabts, sigla di "Automatic detection of abnormal behaviour and threats in crowded place" che vuol dire "rilevamento automatico di comportamenti anomali e minacce negli spazi affollati". Il progetto è partito nel 2009 ed è finanziato con 4,8 milioni di euro dall´Unione europea. A portarlo avanti sono università, aziende militari (la Bae inglese) e agenzie di sicurezza di Svezia, Gran Bretagna, Olanda, Norvegia e Bulgaria. Ma se manterranno le loro promesse, le nuove tecnologie si faranno presto strada anche negli altri paesi europei.
Se un individuo corre laddove tutti camminano, se all´improvviso si crea un assembramento in un´area poco affollata, se due o tre uomini convergono in direzione di una donna che procede da sola, il sistema lancia l´allarme. Riesce a farlo perché le telecamere distinguono le silhouette umane e ne tracciano gli spostamenti, mentre il software di un computer è stato programmato per riconoscere i comportamenti sospetti.
Fin qui telecamere e chips. Ma i sistemi su cui le aziende di sicurezza sono al lavoro promettono di andare molto più in profondità. Il progetto Adabts ad esempio studia come registrare le variazioni del battito cardiaco di un uomo attraverso un sistema radar. Le termocamere a infrarossi misurano il calore emanato dal corpo. Così come sono state applicate negli aeroporti durante le ultime epidemie di influenze, o come a bordo degli elicotteri vengono sfruttate dalle forze dell´ordine per identificare i fuggitivi nelle zone campestri, in futuro potranno essere adattate anche al riconoscimento di individui più nervosi del normale. Mentre i microfoni oggi hanno raggiunto livelli di sensibilità tali da poter distinguere il rumore di vetri infranti, un urlo o una voce particolarmente acuta che spicca nel brusio di un corridoio d´aeroporto.
Prima ancora degli europei, a sviluppare queste idee, ottenendo fra l´altro dei finanziamenti dalle autorità aeroportuali statunitensi, sono stati gli israeliani. L´azienda di Cesarea Wecu ("We see you": ti stiamo guardando) riconosce eventuali reazioni di nervosismo nel momento in cui si osservano immagini particolari, come la parola "jihad" scritta in arabo o una foto di un campo di addestramento di al-Qaeda. L´idea è che i terroristi di fronte a questi stimoli debbano avere reazioni diverse da quelle dei viaggiatori normali. E i sistemi che studiano i riflessi del corpo di fronte a un interrogatorio, messi a punto dalla ditta israeliana Suspect detection systems, sono approdati in via sperimentale in alcuni aeroporti Usa dopo un programma di test nei checkpoint israeliani in Cisgiordania.
A differenza di un uomo, un computer di fronte a una telecamera non corre il rischio di annoiarsi o addormentarsi. Ma oltre alle preoccupazioni per la privacy che sono state sollevate al momento del lancio del progetto Adabts, i sistemi di "riconoscimento intelligente" hanno ancora seri problemi per quanto riguarda i "falsi positivi": quei viaggiatori cioè che sono nervosi, corrono e hanno il cuore veloce perché il loro aereo sta partendo, le valigie sono pesanti o i figli non vogliono saperne di seguirli.

venerdì 22 luglio 2011

Gaza, Israele blocca una nave della flottiglia

La Repubblica 20.7.11
A bordo dell´imbarcazione francese anche la giornalista Amira Hass
Gaza, Israele blocca una nave della flottiglia

GERUSALEMME - A cinquanta miglia da Gaza ma ancora in acque internazionali, la nave francese "Dignité-Al-Karama", parte della Freedom Flottiglia 2, è stata fermata dalla Marina di Israele. Un arrembaggio «senza incidenti», ha riferito l´esercito che ha ricostruito l´azione tesa ad evitare la rottura del blocco marittimo sulla Striscia da parte delle 16 persone a bordo tra cui, oltre ad attivisti (francesi, canadesi, svedesi, greci), erano presenti la giornalista israeliana Amira Hass e dei reporter di Al Jazeera. Falliti i tentativi diplomatici di fare cambiare rotta all´imbarcazione, la Marina ha abbordato la nave senza trovare resistenza da parte degli attivisti che sono stati scortati da tre navi israeliane nel porto di Ashdod. Qui, stando al comunicato dei militari, gli attivisti in serata attendevano di essere interrogati e consegnati ai funzionari del ministero degli Interni. Oltre all´espulsione, rischiano di non poter rientrare in Israele. Parigi ha già assicurato loro assistenza e lanciato un appello a Israele affinché agisca in modo «responsabile» e «consenta il rapido ritorno» dei connazionali. Mentre la coalizione francese della flottiglia ha bollato come «un attacco ingiustificabile e una violazione del diritto internazionale» l´azione.
Dopo sabotaggi e beghe burocratiche per le altre navi, quella francese era l´unica superstite della flotta che voleva bissare la missione umanitaria del 2010, che però finì con un sanguinoso arrembaggio alla Mavi Marmara costato la vita a nove attivisti.