domenica 12 ottobre 2008

Perché 700 miliardi, e chi li controlla? Domande nel vuoto

Perché 700 miliardi, e chi li controlla? Domande nel vuoto

Fabrizio Tonello

Il Manifesto del 02/10/2008

«Troppi soldi, con troppa fretta, distribuiti a troppo poca gente, mentre troppe domande rimangono senza risposta»: così Dennis Kucinich, il deputato democratico dell'Ohio, ha motivato il suo voto contrario sul piano Paulson alla Camera dei rappresentanti Usa. Kucinich non era il solo di questa opinione, lunedì scorso: mentre l'attenzione dei media si è concentrata sui 133 taleban del Libero Mercato che strillavano contro il «socialismo in America», poca attenzione è stata rivolta ai 95 deputati democratici (quasi un quarto della Camera) che hanno votato «no» per buonissime ragioni. Kucinich, così come gli altri deputati democratici, hanno fatto una serie di critiche a cui nessuno ha dato risposta - men che meno la timidissima leadership del partito (Nancy Pelosi e lo stesso Barack Obama), che si è fatta zittire dalla pressione di Wall Street e dal ricatto della «catastrofe finanziaria imminente». In realtà, né il Tesoro, né la Federal Reserve, né i deputati che hanno votato «sì» potevano rispondere alle più semplici domande: «Perché ci vogliono 700 miliardi? Come verranno valutati questi crediti cosiddetti tossici?
Da chi, con quali controlli?». Il segretario al tesoro Hank Paulson e il capo della federal Reserve Bernanke non potevano rispondere perché non lo sapevano neppure loro. In particolare, la valutazione dei crediti sarebbe quasi impossibile perché non stiamo parlando di semplici mutui non pagati, seguiti dal pignoramento di una casa. I mutui, buoni e cattivi, sono stati cartolarizzati e trasformati in strumenti finanziari esoterici che gli stessi banchieri non capiscono (e questa è la ragione per cui nessuno presta più a nessuno). Uno straordinario resoconto del New York Times di tre giorni fa spiega come un semplice ufficio a Londra abbia potuto creare una piramide di carta così enorme da far crollare la compagnia di assicurazione americana AIG, che ha dovuto essere salvata in settembre prima che trascinasse nel gorgo anche Goldman Sachs. Brad Sherman, uno dei democratici che si oppongono al piano, spiega come l'inclusione delle banche straniere nell'operazione di salvataggio potrebbe portare a queste conseguenze: «Supponiamo che la Bank of Shanghai abbia $30 miliardi in crediti inesigibili.
Li venderà a una piccola sussidiaria in California, che li rivenderà immediatamente al Tesoro e poi scomparirà nel nulla». George Soros, il miliardario vicino ai democratici, lo ha scritto chiaramente sul Financial Times di ieri: «Due settimane fa, il Tesoro non aveva un piano: per questo ha semplicemente chiesto di essere autorizzato a spendere il denaro». Visto che 700 miliardi di dollari sono una somma con cui si potrebbe far uscire dalla povertà per oltre due anni l'intera popolazione mondiale che vive con meno di un dollaro al giorno, è comprensibile che molti deputati (assediati dai messaggi dei loro elettori) abbiano esitato prima di firmare l'assegno in bianco. Soros, inoltre, spiega che il frettoloso piano, rappattumato per dare un segnale di fiducia ai mercati, ha come obiettivo soltanto quello di lubrificare il sistema finanziario, cioè rassicurare le banche in modo da evitare la strozzatura del credito.
Questo è importante ma non risolve affatto il problema di fondo, cioè la crisi immobiliare: «Il piano fa ben poco per permettere ai proprietari di case di onorare le rate dei loro mutui e non affronta per nulla il problema dei pignoramenti». Eppure, il nodo di tutta la questione sta lì: il sistema finanziario americano può salvarsi soltanto se vengono create le condizioni perché i «debitori finali» possano pagare. Magari poco, magari su tempi più lunghi, ma pagare. Se le famiglie perdono le case e queste vengono rimesse sul mercato dalle banche, semplicemente non ci saranno compratori e le perdite diventeranno catastrofiche. Nel medio periodo, solo una ripresa del mercato immobiliare può salvare tanto la finanza quanto l'economia reale. Ci sono altre idee? Soros, per esempio, propone un approccio più coerente: invece di comprare i debiti inesigibili, il governo dovrebbe usare i propri fondi per ricapitalizzare le banche, diventandone parzialmente o totalmente proprietario.
Questa iniezione di capitali attirerebbe anche investitori privati (tranquillizzati dalla presenza dello Zio Sam) e accelererebbe la ripresa. Uno schema simile, adottato in Svezia negli anni Novanta, salvò il sistema bancario sostanzialmente a costo zero per i contribuenti, perché il governo riuscì, qualche anno dopo, a rivendere le proprie partecipazioni azionarie con profitto. Naturalmente, per gli Stati Uniti, questa sembra un'eresia, ma anche tra molti deputati democratici e numerosi economisti si fa strada l'idea che il piano debba prevedere una partecipazione al capitale delle banche e non l'acquisto dei loro crediti. La versione del piano su cui il Senato avrebbe dovuto votare ieri sera (troppo tardi perché il manifesto potesse riferirne) prevedeva un aumento delle garanzie sui depositi bancari e altri miglioramenti cosmetici per convincere i repubblicani, ma nulla che indicasse un'impostazione diversa o un tentativo di rispondere alle critiche di Kucinich, di Soros e di 200 economisti. La conclusione più preoccupante (anche per l'economia mondiale) è che in questo momento gli Stati Uniti sono senza governo, senza parlamento e senza istituzioni in grado di evitare, con una politica coerente e decisa, l'aggravamento della crisi.