domenica 12 ottobre 2008

«La vita a credito è attraente come nessuna altra droga»

«La vita a credito è attraente come nessuna altra droga»

Susanna Marietti

Liberazione del 10/10/2008

Zygmunt Bauman professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia

La crisi dei mercati finanziari è una crisi globale e nazionale. E' una crisi che mette in discussione il sistema capitalistico nel suo complesso e le abitudini più radicate dei singoli cittadini. Che mette in discussione il modo stesso in cui si sono costruite la finanza e l'economia negli ultimi decenni, dal reaganismo in poi. Una finanza e un'economia slegate dalla produttività e dal mondo del lavoro, che tuttavia hanno avuto l'ambizione di guidare i processi politici e di arrivare perfino a valutare i lavori delle amministrazioni statali e locali. La crisi di oggi è stata giudicata paragonabile a quella del 1929. Qualcuno l'ha definita ancora più grave. Ne abbiamo parlato con Zygmunt Bauman sulle colonne de Linkontro.info .

Professor Bauman, lei afferma che la sola autentica soluzione alla situazione attuale consista nell'andare alle radici del problema. Cosa intende dire con ciò? Si riferisce a un cambiamento culturale globale o a misure politiche specifiche?
L'attuale panico del credito offre una straordinaria dimostrazione di cosa in politica dovrebbe significare, ma spesso non significa, andare alle radici. L'odierno credit crunch non è una conseguenza del fallimento delle banche. Al contrario, è il frutto del loro incredibile successo, pienamente prevedibile sebbene per molti inaspettato: successo nell'aver trasformato un'enorme maggioranza di uomini e donne, vecchi e giovani, in una razza di debitori. Debitori per sempre, dal momento che la condizione di essere in debito è stata resa auto-perpetuante, e altri debiti vengono indicati come l'unica soluzione realistica ai debiti pregressi. Incorrere in tale condizione debitoria è recentemente diventato facile come non mai nella storia umana, mentre uscirvi non è mai stato così difficile. Chiunque può diventare un debitore, e milioni di altri che non potrebbero e non dovrebbero essere attirati dall'indebitamento sono già stati allettati e sedotti da esso. E così come la scomparsa di gente scalza significa problemi per le industrie di scarpe, allo stesso modo la scomparsa di gente senza debiti significa disastro per l'industria del prestito. La famosa previsione di Rosa Luxemburg si è avverata ancora una volta: comportandosi come un serpente che si morde la coda, il capitalismo si è di nuovo pericolosamente avvicinato al suicidio involontario con il portare a esaurimento le nuove terre vergini da sfruttare.

E come si è reagito a tutto questo?
La reazione fino ad ora - di effetto, e perfino rivoluzionaria, come può sembrare una volta trattata nei titoli dei media e nel parlare sloganistico dei politici - è stata: ne vogliamo ancora. Un tentativo di ricapitalizzare i prestatori di denaro e di rendere i loro debitori nuovamente meritevoli di credito, così che il business di prestare e prendere in prestito, di indebitarsi e rimanere indebitato, potesse tornare alla normalità. Il welfare state per i ricchi - che diversamente dal suo omonimo per i poveri non è mai stato messo fuori uso - è stato riportato negli showroom dalle stanze di servizio dove erano stati temporaneamente relegati i suoi uffici per evitare spiacevoli paragoni (ma non il welfare state per i non-ricchi: per loro continua certo a valere la categorica affermazione di John Mc Cain secondo cui "non è dovere del governo tirar fuori dai guai e ricompensare chi si comporta in maniera irresponsabile", New York Times, 28 marzo 2008).

Lo Stato ha dovuto gonfiare i muscoli, secondo una sua espressione.
I muscoli statali, a lungo non utilizzati a tal fine, sono stati di nuovo pubblicamente gonfiati, stavolta per continuare quel gioco in cui il gonfiarli è sentito come offensivo eppure - disgustosamente - inevitabile, un gioco che curiosamente non può sopportare che lo Stato gonfi i muscoli ma non può sopravvivere senza che lo faccia. Si noti che il governo americano è entrato in azione solo dopo che i giocatori di serie A di quel gioco che è il libero mercato e la libera circolazione di capitali hanno avuto esperienza diretta della tendenza suicida della rampante globalizzazione e della deregolamentazione su vasta scala dei mercati finanziari globali. Si noti anche che tutte le misure che sono state poi intraprese dalle autorità federali - improvvisamente e in netta contraddizione con tutte le loro precedenti professioni di fede - mirano a salvare ‘l'alto e potente' dalla catastrofe che esse hanno potuto verificare sul ‘basso e debole', e mirano a permettergli di ristabilirsi dai presenti e futuri ‘singhiozzi' e giocare al gioco della globalizzazione con ancor più vigore, determinazione e profitto.

Il welfare state per i ricchi di cui parlava prima. Chi è stato aiutato da queste misure?
Esse sono state introdotte per salvare gli squali, non i pesciolini di cui questi si nutrono. E, una volta rassicurati e rinforzati, gli squali sono le ultime creature che chiedono limiti alla caccia nelle acque globali… Per dirla con la colorita espressione del Financial Times del 20/21 settembre, "i mercati globali hanno ruggito la loro approvazione" della linea d'azione americana, che nella sobria valutazione di questo giornale significa "permettere alle banche di tamponare le proprie perdite, ricapitalizzare e rimettersi in affari". Non per cambiare i modelli operativi delle banche, bensì per metterle in condizione, una volta di più, di seguirli, sperando ora di poter essere sottratte alle conseguenze della loro avidità, con la quale sarebbe stato auspicabile (e immaginosamente esigibile) che avessero fatto i conti basandosi sui propri (insufficienti, come trapela ora) mezzi e secondo il proprio (sbagliato, come trapela ora) giudizio. Come ha detto Alistair Darling, responsabile della politica finanziaria britannica, a Sky News l'8 ottobre, dopo il mercoledì nero: "noi vogliamo essere sicuri di far ripartire il sistema".

Un sistema sbagliato nella sua interezza, che produce all'uomo sofferenza?
Quel che è allegramente dimenticato è che le modalità dell'umana sofferenza sono determinate da come gli uomini vivono. Le radici della sofferenza lamentata oggi, come le radici di ogni male sociale, affondano in profondità nel nostro modo di vivere, grazie alla nostra abitudine - attentamente coltivata e ora assai radicata - di ricorrere al credito al consumo ogni qualvolta c'è un problema da affrontare o una difficoltà da superare. La vita a credito è attraente quanto - forse - nessuna altra droga, e di certo dà ancor più assuefazione di molti tranquillanti in vendita. Ma decenni di copiosa fornitura di una qualche droga non possono che condurre a un trauma nel momento in cui essa si interrompe. Ci viene oggi proposta una scappatoia apparentemente facile dallo shock che affligge sia il tossicodipendente che lo spacciatore di droga: riprendere la fornitura di droga, possibilmente in modo regolare.

Traduzione Nunzia Bossa