domenica 12 ottobre 2008

Europa, interventi pubblici e iniezioni di euro. Ma le banche non si fidano più di loro stesse

Europa, interventi pubblici e iniezioni di euro. Ma le banche non si fidano più di loro stesse

Claudio Jampaglia
Liberazione del 01/10/2008

Bastone e carota. L'Europa fa ancora la virtuosa monetaria con gli Usa bacchettando direttamente Congresso e Casa Bianca per il mancato varo del fondo anticrisi: «Il piano vada avanti». La Commissione europea si è spinta ieri a richiamare la «responsabilità particolare» degli Usa nella crisi, invitando le autorità ad agire. Angela Merkel detta pure i tempi: l'Ue si aspetta un varo del piano entro una settimana «condizione necessaria per ripristinare la fiducia dei mercati, cosa di importanza inestimabile» (e capiremo tra poco perché). Da parte sua, la Bce, saluta l'efficacia dell'azione delle autorità pubbliche europee nei casi di Fortis e Dexia, i due ultimi istituti di credito messi al riparo dall'intervento dei governi del Benelux e francese. La preoccupazione della banca centrale europea è quella del limite al soccorso del dollaro. Due giorni fa c'è stato il raddoppio delle linee di scambio monetario fino a 240 miliardi di dollari tra Fed e Bce. Allo stesso tempo la Fed ha autorizzato Europa, Gran Bretagna, Canada, Giappone, Svizzera, Australia e paesi scandinavi a pompare fino a 620 miliardi di dollari di liquidità nel sistema. Il sostengo c'è. Ma ci vuole il piano. Anche perché se non si muovono gli Usa, con un solo governo - sebbene malconcio - come fare a muovere la politica europea?
In attesa che a Bruxelles cerchino la risposta, diversi paesi se la sbrigano da soli. L'aria europea si è fatta densa di preoccupazioni e avvisi di tempesta ai naviganti, così la piccola Irlanda, non potendo contare sulla forza delle proprie riserve, dopo la prima giornata nera per i titoli bancari nazionali, passa al contrattacco: «Il governo irlandese garantirà tutti i depositi bancari per due anni per assicurare la stabilità finanziaria». Un piano immediato che vale per qualsiasi deposito sui conti di Allied Irish Bank, Bank of Ireland, Anglo Irish Bank, Irish Life and Permanent, Irish Nationwide Building Society e Educational Building Society. Il denaro dei contribuenti verrà utilizzato nell'eventualità di qualunque caso di dissesto di uno dei sei gruppi bancari registrati del paese. Garantisce lo Stato. Ad maiora.
Gli Stati, quindi, si muovono. Lo hanno fatto belgi, olandesi e lussemburghesi per Fortis, lo hanno fatto ieri ancora belgi e francesi per Dexia (il più grande istituto di prestiti agli enti locali al mondo) con un'iniezione da 6,4 miliardi di euro in cambio del 50% delle azioni spalmate in diversi istituti di interesse pubblico. E la Borsa apprezza. Dopo le batoste del lunedì più nero da vent'anni, tutti i titoli a rischio risalgono un po' la china. Apprezzamento? Sospiro di sollievo. La vita continua, viva l'intervento pubblico. Vale un po' ovunque nel continente: dall'Islanda che nazionalizza per 600 milioni di euro il 75% del capitale di Glitnir, terza banca del paese; alla Scandinavia con riassetti nel sistema bancario danese (la Roskilde Bank passa a tre banche nazionali dopo un salvataggio governativo) e svedese. Succede anche in Russia, dove lo zar Putin annuncia in tv un prestito di Stato da 50 miliardi di euro tramite "l'istituzione bancaria per lo sviluppo e gli affari esteri": «Qualsiasi banca russa o società si può rivolgere a Vnesheconombank per rimborsare i creditori stranieri su crediti acquisiti prima del 25 settembre». Ad memoriam.
Non succede, invece, in Italia, dove le autorità tengono sott'occhio la situazione, preoccupate, ma niente più. E la Borsa italiana ieri era l'unica al palo in Europa, con Unicredit, sospesa per il secondo giorno di fila più volte dalla contrattazioneche sprofondava a un -12%. «Le conseguenze sul sistema bancario e assicurativo italiano della crisi finanziaria americana rimangono contenute e la situazione di liquidità delle banche italiane è adeguata», dice il Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria. Insomma, Tremonti, Draghi, Cardia e Giannini ovvero governo, Bankitalia, Consob e Isvap (organismo di controllo delle assicurazioni) stanno alla finestra. L'America è lontana, ma i nostri o stanno dall'altra parte della luna o non ci raccontano tutto. Fiducia, calma e poca trasparenza? Lo sapremo presto.
Anche perché il credit crunch europeo, la stretta del credito che spaventa più di ogni cosa gli operatori finanziari, è ormai innescata. Lo dice un dato semplice e finora secondario: i depositi di istituti di credito presso la Banca centrale europea cresciuti giorno per giorno in queste settimane. Un vero paradosso della crisi che funziona così. Le banche stanno attingendo ai prestiti d'emergenza della Bce. Da giugno le aste dell'autorità monetaria per irrorare di liquidità il sistema creditizio ormai asfittico sono già state 15 a botte di decine di miliardi di euro la volta. E vanno a ruba con richieste del doppio o del triplo. Anche le aste più costose. E' successo l'altroieri con 15,5 miliardi di euro di prestiti d'emergenza della Bce a un tasso di 5,25% (c'erano richieste per 77 miliardi). Ma nell'attuale crisi il timore di prestarsi soldi tra banche e di restare senza fondi è così forte che una volta comprata la desiderata liquidità dalla Banca centrale, gli istituti tornano a depositarla proprio presso l'istituto di Francoforte a un tasso più basso (il 3,25%) di quello che avrebbero sul mercato. 44 miliardi di euro sono già stati messi nella cassaforte della Bce. Un segnale che per molti dovrebbe convincere la Bce a tagliare i tassi. Perché se le banche comprano soldi e li mettono al riparo a un prezzo più basso, vuole dire che decidono di perderci sopra gli interessi, piuttosto che andare sul mercato e prestarli ad altri banche con margini di guadagno più alti, fanno il contrario del loro mestiere. D'altronde in tutto il mondo i tassi interbancari (quelli a cui si prestano soldi le banche tra loro) sono alle stelle. Siamo oltre il 5% per i prestiti a oltre un mese. Una situazione di avversione a qualsiasi rischio oltre l'orizzonte delle 24 ore. E chissà che succede domani? E se le banche non si fidano delle altre banche, non si fidano del mercato, non si fidano dei conti, noi cosa dovremmo pensare?
Anche i fondi comuni (quelli che gestiscono il risparmio di milioni di cittadini) sono in fuga dai mercati monetari globali e si coprono con obbligazioni e titoli di Stato più affidabili. Gli Stati poi emettono titoli per sostenere la propria esposizione proprio nei salvataggi bancari e ancor più per sostenere le banche centrali che continuano a prestare denaro alle banche e sostenere il sistema (l'ultima asta italiana di Btp e Cct per 6.75 miliardi si è chiusa giusto lunedì). E il girotondo si conclude, con noi. Cittadini. Solo che non lo sappiamo ancora.