lunedì 16 giugno 2008

Come ti distruggo l'economia reale con la bolla petrolifera

Come ti distruggo l'economia reale con la bolla petrolifera

di Sabina Morandi

Liberazione del 14/06/2008

Quei rivoluzionari de Il Sole 24 ore l'hanno scritto all'inizio di giugno: attenzione alla «trappola del greggio virtuale». Cosa sia il "greggio virtuale" è presto detto: ogni giorno nel mondo vengono estratti 85 milioni di barili ma ne vengono scambiati circa un miliardo. Sono appunto i barili virtuali che passano di mano sulla piazza della New York Mercantile Exchange, meglio nota come Nymex, o della britannica Intercontinental Exchange (Ice). Peccato che il prezzo determinato da questo scambio frenetico sia invece più che reale e influisca pesantemente sul costo di ogni merce visto che ogni merce viene prodotta, e trasportata, con il petrolio reale. Dimenticate quindi tutte le leggi della domanda e dell'offerta, che richiedono comunque del tempo per far sentire i loro effetti. Al Nymex si viaggia alla velocità dei byte, e non ci si sofferma certo a registrare i cali della produzione causati dall'invecchiamento dei giacimenti né l'aumento della domanda dovuto alla grande sete di India e Cina.
Come scrive Roberto Capezzuoli sul Sole «il vistoso scollamento tra le borse e il mercato fisico testimonia che l'attuale modello di contrattazioni è da cambiare». Non colpa del picco, quindi, anche se era prevedibile che i primi segnali di declino produttivo avrebbero acceso la miccia della speculazione, ma nemmeno la crescita economica di alcuni paesi, ma «Le grandi borse merci, punti di riferimento per tutti gli scambi, hanno le loro colpe e abusano della permissiva condotta di chi ne detta le norme». Oltretutto negli ultimi anni, più che dettarle, i governi non hanno fatto che cancellarle. Negli Stati Uniti è stato il Commodity futures modernization act del 2000, a spalancare la porta ai capitali diretti verso le materie prime, limitando i poteri della Commodity futures trading commission (Cftc) che dal 1974 ha il compito di vigilare sugli scambi. In Gran Bretagna la Financial services authority ha allentato ancora di più le redini facendo dell'Ice di Londra un mercato in cui le regole sono l'eccezione, come ha lasciato intendere il senatore americano Carl Levin parlando delle inchieste sulle manipolazioni dei prezzi che Senato e Cftc stanno portando avanti da dicembre.
Il problema è che, chi si occupa di petrolio, ci capisce assai poco di borsa. Potrà stupire noi profani (anzi, per la verità ci terrorizza) ma i petrolieri sono impreparati perché c'è una grande differenza fra il petrolio vero e quello virtuale, e sono molto diversi i meccanismi che regolano i due mercati. I capisaldi del mercato petrolifero reale sono la standardizzazione, la cassa di compensazione (clearing house) e soprattutto la liquidità. In sostanza, perché un mercato funzioni un po' di speculazione è necessaria, ma può assumere direzioni opposte rispetto a quelle di chi usa i futures per proteggersi dagli imprevisti movimenti dei prezzi, che poi sarebbe la loro finalità originaria. Il denaro serve per la compravendita e il versamento dei margini di garanzia, generalmente meno onerosi nel caso di chi fa hedging, cioè chi protegge la propria attività, e più costosi per chi opera da speculatore. E poi serve la merce da consegnare a chi decida di esercitare il diritto normalmente riservato al possessore di un future di acquisto.
Oggi invece il petrolio non si consegna. All'Ice di Londra, per esempio, chi ha un contratto di vendita sul Brent (il greggio di riferimento nord-europeo) potrebbe anche decidere di portarlo a scadenza e consegnare la merce. Quindi ci sono decine di petroliere cariche che girano per gli oceani (consumando combustibile ricavato dal petrolio vero) in cerca di una destinazione. Quale migliore dimostrazione dello scollamento tra mercato borsistico e mercato reale? Il problema è che anche i depositi verso cui dirigersi sono virtuali - ma almeno per il Brent europeo l'Ice prevede l'opzione della compensazione monetaria mentre per i future che si scambiano sul Wti (il greggio americano), la consegna fisica non è nemmeno contemplata. Sugli scambi over-the-counter, fuori listino e privi regole, praticamente si è perso ogni controllo.
Anche sulla piazza di New York le norme sono molto blande. Chi volesse consegnare il greggio Wti potrebbe farlo, ma solo a Cushing, in Oklahoma, dove la capienza è di una ventina di milioni di barili, 50 volte meno degli scambi giornalieri che si verificano al Nymex. Oltretutto i margini speculativi (più alti) non vengono mai versati. Chi non ha un'attività che giustifichi un determinato volume di operazioni di copertura, può comunque operare tramite uno dei grandi soci della Borsa stessa, evitando il maggior onere finanziario e non rischiando niente. Una roulette truccata praticamente irresistibile per le (solite) grandi banche d'affari che stanno accumulando profitti da capogiro. Il deputato democratico Bart Stupak ha puntato il dito contro Goldman Sachs e Morgan Stanley, accusandole di manipolare artificiosamente le quotazioni. Niente di più facile, e tutto alla luce del sole. Appena l'analista della Goldman Sachs, Arjun Murti, ha parlato di 200 dollari al barile entro due anni, i prezzi sono schizzati alle stelle. Motivo? La profezia si avvera da sola se, a sorreggerla, c'è una tale potenza finanziaria: puntare su un'altra carta sarebbe semplicemente suicida.
Del resto, uno che ci capisce, in una recente audizione ha fornito la sua candida spiegazione al Senato americano: «Ci sono tutti i segnali di una bolla, ma non scoppierà tanto presto. Quanto ai margini speculativi, alzarli potrebbe scoraggiare qualcuno, ma sarebbe inutile». Si chiamava George Soros.