giovedì 5 giugno 2008

«Agrocarburanti, un disastro su cui Usa e Ue speculano»

«Agrocarburanti, un disastro su cui Usa e Ue speculano»

Il Manifesto del 5 giugno 2008, pag. 2

di Stefano Liberti

Nominato nel marzo scorso relatore speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione, il belga Olivier de Schutter si è trovato immediatamente alle prese con una crisi di dimensioni planetarie. Succeduto allo svizzero Jean Ziegler, che aveva definito la produzione di agro-combustibili «un crimine contro l’umanità» e aveva richiesto una moratoria di cinque anni sulla produzione di etanolo e bio-diesel, questo giovane professore universitario non appare meno tenero nei confronti del cosiddetto «oro verde».



Qual è l’impatto reale degli agro-carburanti sulla crisi alimentare?

Esistono diversi tipi di agro-carburanti. Al di là della distinzione classica tra i cosiddetti agro-carburanti di prima e seconda generazione, bisogna anche evidenziare le differenze tra i vari agro-carburanti di prima generazione: c’è l’etanolo tratto dalla canna da zucchero in Brasile, quello tratto dal mais negli Stati uniti, l’olio estratto dalla colza in Europa e il bio-diesel tratto dall’olio da palma prodotto prevalentemente nel sud-est asiatico. Questi agro-carburanti hanno un diverso impatto ambientale e presentano un diverso grado di competizione con la produzione alimentare. L’etanolo brasiliano, per esempio, ha un miglior rapporto energetico degli altri ed è decisamente meno nocivo per l’ambiente. Detto questo, la cosa che trovo più preoccupante è il fatto che gli Usa e la Ue abbiano annunciato obiettivi precisi per l’aumento dell’utilizzo degli agro-carburanti nei prossimi anni, soprattutto nel settore dei trasporti. Questi annunci hanno conseguenze disastrose: alimentano la speculazione finanziaria. Mandano agli investitori il segnale chiaro che i prezzi delle terre e delle materie prime agricole continueranno a salire. Io faccio un appello urgente sia alla Ue che agli Usa affinché rinuncino a questi obiettivi-soglia.



Oltre agli obiettivi-soglia esiste anche il problema delle sovvenzioni pubbliche che gli Stati uniti assicurano ai produttori di etanolo...

Sono varie le motivazioni che avanzano gli Stati uniti per sviluppare l’etanolo tratto dal mais. La prima, di ragione ambientale, è puramente pretestuosa, perché il bilancio ambientale della produzione di etanolo dal mais è negativo, ossia la produzione di questo tipo di etanolo consuma più energia di quanta ne generi. C’è poi una ragione di carattere geo-politico, perché Washington non vuole dipendere dagli idrocarburi fossili provenienti dal Medioriente. Infine, cosa non meno importante, c’è l’esigenza di ricompensare una lobby agricola - quella del Midwest - che è molto forte. Ogni anno negli Stati uniti 11 milioni di dollari di sovvenzioni pubbliche sono destinati alla produzione di etanolo.



Quello dell’etanolo nel Midwest americano è solo un caso esemplare. Non crede che in generale le sovvenzioni che I paesi del Nord garantiscono ai loro agricoltori siano una delle ragioni che hanno messo a rischio la sovranità alimentare nel Sud del mondo?

Le cifre sono effettivamente impressionanti: ogni anno i paesi del cosiddetto Nord del mondo destinano 320 miliardi di dollari in sovvenzioni alle loro produzioni agricole.



Queste sovvenzioni hanno portato al fallimento di migliaia di agricoltori del Sud, soprattutto nell’Africa sub-sahariana, che non hanno accesso a simili aiuti pubblici. Nel corso di questa conferenza alcuni paesi in via di sviluppo, soprattutto potenze agricole emergenti come il Brasile o l’Argentina, hanno ribadito queste accuse e chiesto che il problema venga affrontato. C’è una pressione molto forte sugli Stati uniti, l’Unione europea e il Giappone perché facciano concessioni in questo senso nel corso dei negoziati commerciali di Doha nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Io credo che questo summit della Fao sia una tappa importante per una effettiva realizzazione del ciclo di sviluppo di Doha, anche se a questo proposito alcune ong hanno avanzato preoccupazioni rispetto a quella che definiscono una liberalizzazione ancora più spinta del commercio agricolo.



Non ritiene in effetti che una liberalizzazione maggiore del commercio agricolo, voluta tanto dalla Wto quanto dalla Fao, possa favorire le grandi multinazionali dell’agro-business?

Esiste questo rischio. Come esiste il rischio che una maggiore liberalizzazione del commercio agricolo possa spingere ancora di più verso monocolture destinate all’esportazione, a detrimento non solo della biodiversità ma anche dei piccoli produttori. E per questo che una delle prime iniziative che ho preso da quanto sono entrato in carica come relatore speciale è stata contattare la Wto per fare una missione presso di loro e cercare di valutare in modo imparziale e obiettivo l’impatto sul diritto dell’alimentazione del ciclo di sviluppo di Doha.