giovedì 17 aprile 2008

La seconda guerra afghano-irachena: 5mila suicidi all'anno tra i marines

La seconda guerra afghano-irachena: 5mila suicidi all'anno tra i marines

di Lorenzo Carbone

Liberazione del 12/04/2008

Un giorno di guerra in più in Iraq è un secondo in meno sugli schermi delle televisioni italiane. Guardando i telegiornali pare che ci sia un appuntamento fisso a settimana per gli attentati con più di quaranta morti. Se i morti sono meno di quaranta, se i terroristi hanno usato meno di tre autobombe per volta, se la strage è "minore"allora non conta, non fa notizia. L'Iraq sfuma dagli schermi. Ma non è così: nel Golfo c'è ancora la guerra che provoca 53 morti al giorno.
E poi c'è un'altra guerra, una guerra oscurata dai media, una guerra di solitudine, una guerra che combattono al buio e in silenzio tutti i soldati americani reduci dall'Iraq. Mentre la guerra in Iraq è ormai più un'eco dilatato e attutito che una notizia vera e propria, i drammi psicologici dei sopravvissuti che tornano dalle famiglie sono cancellati. Non esistono.
A novembre 2007 è uscita una ricerca del network americano Cbs apparsa anche sul Times Online . Riguarda i suicidi dei militari tornati dall'Iraq e dall'Afghanistan. La Cbs ha stimato, a seguito di una ricerca durata 5 mesi e condotta sulle singole famiglie vista la reticenza delle vie ufficiali, che il numero di morti suicidi nel solo anno 2005 è 6256. I caduti americani sul campo dall'inizio della guerra irachena sono 4mila. I morti suicidi tra i soldati reduci da Iraq e Afghanistan sono 6256 nel 2005. Un dato che confonde. Un dato che d'impatto può far pensare ad un errore grossolano compiuto dall'autorevole Cbs , ma il numero 6256 risulta più realistico rapportato ad altri numeri.
L'Istat conta in Italia 4mila suicidi all'anno. L'Unione Europea ha denunciato 58mila suicidi nel 2005 in Europa. Alla luce di questi dati la ricerca della Cbs si mostra più fondata. «Tornato a casa i suoi occhi erano già morti, non avevano più luce» a parlare è la mamma di Tim Bowman, un soldato di 23 anni che si è sparato otto mesi dopo il ritorno, nel giorno del Ringraziamento. La guerra dei numeri è sempre la solita commedia seccante per sostenere il proprio pensiero, ma qui risulta indispensabile.
Il tasso di suicidi in America è già elevato, 9-10 individui per 100mila abitanti scelgono la morte volontaria. Tra i reduci di guerra il numero raddoppia a 18,9 per 100mila abitanti, e cresce ancora fra i reduci di giovane età tra i 20 e i 24 anni, toccando i 22,9 su 100mila campioni. 6256 suicidi nel 2005 significa 120 morti a settimana, 17 al giorno, un suicida ogni 75 minuti. Il 60% di questi uomini suicidi sono usciti poco fa dal liceo, cominciano adesso ad assaporare il mondo, hanno tra i 19 e i 24 anni, e decidono di togliersi la vita. Come successe per la censura che il Pentagono impose sulla distribuzione delle immagini delle bare americane che rimpatriavano dall'Iraq, censura svelata nel 2004 con scandalo degli americani, così i dati Cbs passano sotto silenzio per evitare "l'effetto-Vietnam", ossia il crescente sdegno della popolazione per la guerra.
Poi ci sono i reduci che scelgono di vivere. Dall'inizio della guerra in Afghanistan e Iraq sono stati impiegati circa di 1milione e 600mila uomini. Secondo il "National Center for Post Traumatic Stress Disorder", l'organismo che si occupa di soggetti che hanno vissuto un trauma violento, l'insorgere della patologia chiamata Post Traumatic Stress Disorder (PTSD) «è normale in tutti coloro che sono stati impiegati in zone di guerra». La patologia PTSD prevede l'insorgere di diversi sintomi psicologici e fisici per quelli che hanno subito un trauma particolarmente violento. Uno stupro, un rapimento o nel 60% dei casi complessivi un vissuto di guerra. A tre mesi dall'evento scatenante insorgono i primi sintomi. Spesso passano anni di relativa serenità prima che si verifichi la crisi. «Ho iniziato ad avere dei flashback. Come un tuffo in acqua, all'improvviso rivivevo l'evento. Era terribile, non mi trovavo più dov'ero, si era creata una bolla galleggiante in cui vivevo ininterrottamente quei momenti. Ogni volta avevo paura di morire di nuovo». Chi parla è un ufficiale tornato dall'Iraq che accusa uno dei disturbi principali associato al PTSD: rivivere i traumi come se stessero accadendo di nuovo. Attraverso immagini, suoni, odori e sentimenti attivati da avvenimenti quotidiani quali lo sbattere di una porta o un clacson nel traffico, il soggetto perde i contatti con la realtà e rivive davvero i momenti drammatici. Il sonno è, attraverso i sogni, il modo più usuale di rivivere gli eventi vissuti. Allora molti soggetti colpiti da PTSD soffrono di insonnia cronica, di eccitazione, di iper reattività, di condizione di vigilanza costante, hanno il terrore di addormentarsi e vivere nuovamente le loro tragedie. La condizione di insensibilità è un sintomo proprio del PTSD.
Migliaia sono le testimonianze delle mogli e degli amici di reduci che tornati dalla guerra perdono la capacità di emozionarsi. L'insensibilità si manifesta sul piano affettivo e sentimentale, e sul piano sessuale. Lentamente irretisce tutti i settori della vita: nel campo professionale chi ne è colpito tende ad allontanarsi dalla sfera lavorativa fino al licenziamento. Nella sfera sociale alla stessa maniera si tende a ridurre le relazioni di amicizia fino alla solitudine. L'incapacità di emozionarsi si trasforma in uno schermo attraverso cui le sensazioni giungono al soggetto ovattate e smorzate. Questa chiusura emotiva è spesso determinata dalla paura di rivivere gli eventi traumatici attraverso stimoli quotidiani, per ciò il soggetto erige un muro che frena tutte le emozioni senza distinzione.
«La capacità di non percepire il calore della gente», spiega un ufficiale parlando dei suoi sintomi. Irascibilità improvvisa e ingiustificata, anche contro persone amate. I casi di violenza domestica tra i veterani sono il doppio rispetto al resto della popolazione. «Mi sento continuamente in colpa per essere rimasto in vita», afferma un caporale che è tornato da Kabul. Queste patologie assieme a tante altre proprie di gravi forme di depressione, affrontano i soggetti affetti da PTSD. «I traumi con cui i reduci vivono aumenta chiaramente le possibilità che essi facciano uso di droghe, di alcool e di sostanze che stordiscono la percezione. Sono frequenti i divorzi a pochi mesi dal ritorno in patria» spiega il "National Center for PTSD". Un'indagine recente condotta sugli homeless (senzatetto) arriva ad una conclusione significativa: uno su quattro è reduce di guerra. Secondo la "National Alliance to End Homelessness", la federazione che si occupa di chi non ha casa, nel 2005 sono stati ospitati 194mila veterani nei dormitori, tutti soldati appena tornati dal fronte che prima di partire possedevano una famiglia e un appartamento.
Trascorsero dieci anni prima che i soldati rimpatriati dal Vietnam "rovinassero" le loro vite in alcool, droghe e divorzi, e si affacciassero nelle mense e nei dormitori. Oggi il processo si è velocizzato. Pochi mesi dopo aver dismesso la mimetica, soprattutto giovani ventenni diventano vagabondi. E lo Stato cosa fa?
Pochi giorni fa Dana Priest e Anne Hull del Washington Post hanno ricevuto il Pulitzer 2008 per l'inchiesta sociale condotta sul "Walter Reed Hospital" di Washington, denunciando uno stato di sporcizia e trascuratezza, e un grado di inefficienza e incapacità assolute. Il "Walter Reed" è il principale centro di cura psichica e fisica dei reduci di Iraq e Afghanistan. Nell'anno corrente il Dipartimento dei Veterani prevede che i suicidi saranno 5mila. La Seconda Guerra Irachena miete vittime da anni. Ma è un conflitto senza proiettili luminosi e bombe dal cielo, senza bombardieri e kalashnikov, senza palazzi che crollano e senza morti spettacolari, senza niente da vedere. E quindi senza televisione. E' la guerra di dolore sordo che deve combattere ogni soldato che torna a casa vivo.