giovedì 17 aprile 2008

Assalti al pane e prezzi alle stelle Il cibo non basta, è la crisi del Secolo

Assalti al pane e prezzi alle stelle Il cibo non basta, è la crisi del Secolo

Liberazione del 17 aprile 2008, pag. 2

di Francesca Maretta
La crisi dei mutui subprime che dagli Stati Uniti si è sentita nel Regno Unito e in Europa, a cui ha fatto seguito l'allarme per il "credit crunch", ovvero la chiusura dell'accesso al credito da parte delle banche, turbano i sonni di chi vive in occidente. Per noi questa è l'emergenza. Chi non ricorda a inizio anno il panico scatenato nel Regno Unito e sui mercati finanziari internazionali, dal pericolo di insolvenza per la banca Northern Rock? Le immagini delle code di risparmiatori che si affrettavano a ritirare i propri risparmi dalla banca finirono sulle prime pagine dei giornali e aprirono i notiziari della sera alla televisione.
Una crisi ben diversa ha portato la popolazione di Haiti la scorsa settimana ad assediare il palazzo presidenziale a Port-au-Prince: durante le proteste contro l'aumento dei prezzi dei generi alimentari sono morte sette persone. Nelle Filippine si sono viste fiumane umane mettersi in fila per accedere alle scorte governative di grano.
Manifestazioni analoghe, in cui ci sono scappati morti, hanno interessato Egitto, Marocco, Mauritania, Costa d'Avorio, Cameroon, Senegal e Burkina Faso. Anche zone del territorio di paesi come Messico, Argentina, Thailandia e Pakinstan sono scosse dalla crisi alimentare.
Questo tipo di recessione che interessa i bisogni basilari per la sopravvivenza, non è relazionabile in maniera diretta alla mancanza o alla riduzione della produzione e della crescita economica. Lo scorso anno la produzione mondiale di grano ha raggiunto i due miliardi di tonnellate, registrando un incremento del 5% dei raccolti rispetto all'anno precedente. In un editoriale apparso su The Independent, lo scrittore ambientalista George Monbiot fa una riflessione sulla questione e pone un interrogativo: «La crisi è cominciata prima ancora che le forniture di cibo siano colpite dagli effetti del cambiamento climatico. Se la fame si fa sentire adesso, cosa accadrà quando i raccolti diminuiranno?» L'anteprima delle conseguenze l'abbiamo vista nelle già citate rivolte per cibo che ad esempio in Cameroon hanno provocato quaranta morti. Se la produzione agricola, in teoria, abbonda, la bolletta alimentare è paradossalmente costata lo scorso anno il 57% in più rispetto ai dodici mesi precedenti.
Di questo passo, il prezzo del riso è aumentato del 40% dall'inizio dell'anno. Quello del grano è triplicato in quattro anni. Nonostante la previsione della Fao di un aumento dell'1,8%, ovvero di 12 milioni di tonnellate, della produzione mondiale di riso, in condizioni climatiche normali, la domanda globale continua a superare l'offerta, con le scontate conseguenze a livello del prezzo. Per porre un freno alla crisi dei gioni scorsi ad Haiti, dove oltre ai morti è stato destituito il Primo Ministro Jacques Eduard Alexis, il presidente Preval ha annunciato un calo del 15% del prezzo del riso, portando il costo di un sacco del cereale da 51 a 43 dollari, grazie all'intervento dei paesi donatori. La consolidata formula di solidarietà a rendere.
Una delle ragioni per cui degli oltre due miliardi di tonnellate di grano a disposizione, solo la metà, secondo dati della Fao, servirà a nutrire esseri umani, è la produzione di biocarburanti. Da questa settimana i carburanti per i trasporti venduti nel Regno Unito devono contenere per legge una percentuale di "biofuel" del 2,5%. Questo renderà 33 milioni di automobili meno inquinanti ed il governo britannico potrà dimostrare di essersi impegnato per ridurre le emissioni di Co2. La conseguenza diretta di questa alternativa destinazione delle colture, è che ve ne sono di meno a disposizione per mangiare.
Questo ha spinto il relatore dell'Onu per il diritto all'alimentazione Jean Ziegler ad invocare una moratoria di cinque anni nella produzione di biocarburanti. Per Ziegler il fatto che quest'anno 100 milioni di tonnellate di grano serviranno a far circolare veicoli invece che garantire la sopravvivenza di esseri umani è «un crimine contro l'umanità». Di conseguenza, il ministro dei Trasporti britannico ha dichiarato che le politiche del governo possono essere aggiustare di fronte ad altri tipi di esigenze. Per ora, usando per legge dei biocarburanti, siamo complici di quello che accade. Va fatta una distinzione. Non è l'uso di vegetali per produrre carburanti ecologici tout court ad essere messo sotto accusa, ma l'uso di vegetali sottratti al consumo alimentare. Se fossero usati gli scarti vegetali, anziché le colture buone, la faccenda sarebbe diversa. Sempre Ziegler ha suggerito ai governi di tracciare una linea di confine per la produzione di biocarburanti: «vegetali sì, alimenti no».
La risposta all'attuale crisi alimentare va ricercata in un'altra causa, di cui si parla molto meno, ma che ha effetti ancora più devastanti del "biofuel":"noi" ricchi, mangiamo troppa carne (e tanta ne buttiamo nella spazzatura).
Se per fare il pieno alle automobili ci vogliono 100 tonnellate di grano che sarebbe potuto diventare cibo, per dar da mangiare agli animali che troveremo al supermercato onfezionati con quintali di packaging sotto forma di filetti e costolette, occorrono 760 tonnellate dello stesso cereale. Ergo, la serata alla "Steak House" affama i poveri del mondo più della sosta al distributore di ecobenzina. Per produrre un chilo di carne bovina servono otto chili di cereali e circa 3mila litri di acqua. Un po' meno iniquo mangiare pollo: per produrne un chilo da mangiare occorrono 2 chili di mangime, ma sempre 300 litri di acqua.
Più i paesi diventano ricchi, più aumenta il consumo di carne. Attualmente si registra un vero e proprio boom della bistecca in Asia ed America Latina. Al contrario in paesi come il Regno Unito, che consumavano in abbondanza cibo pregiato già in passato, il consumo di carne è più o meno uguale a quello registrato alla fine degli anni '70. Un cittadino britannico mangia in media un chilo di carne alla settimana. Un americano, invece, quasi il doppio. A livello di consumo globale si prevede per il 2050 il raddoppio dell'attuale consumo di carne. Naturalmente nelle proporzioni attuali: a chi tanto e a chi niente. Tutto questo vuol dire che tutto l'occidente ed i paesi emergenti devono optare per la medesima scelta dell'0,4% della popolazione vegana britannica o del 3% che nel Regnio Unito è vegetariano?
Se ci si volesse davvero immolare per la causa di chi fa la fame la risposta sarebbe «si». Un più realistico giusto mezzo si può trovare limitando, almeno un po', la nostra sovrabbondante alimentazione.
Per spiegarlo anche ai cinesi, che diventando sempre più benestanti hanno triplicato il consumo di carne procapite dagli anni '80, è disponibile uno studio pubblicato a novembre dal World Cancer Research Fund, che ci informa sulla relazione esistente tra il consumo eccessivo di carne, malattie cardiache e tumori. A chi non sa che pesci pigliare tra la fame nel mondo e l'uso del biocaburante in nome della salvaguardia del pianeta, è fornito un esempio utile a suggerire un minor consumo di carne: le 10 milioni di mucche del Regno Unito producono una quantità giornaliera di metano che supera l'equivalente dell'inquinamento un fuoristrada che va a sessanta all'ora.