Afghanistan, la ricostruzione non parte L’Occidente in balia dei talebani
Il Messaggero del 28 aprile 2008, pag. 6
di Marco Guidi
I talebani hanno colpito a Kabul. Lo hanno fatto con i kalashnikov, ma anche con razzi e missili. Ma soprattutto, attaccando il presidente Hamid Karzai durante una cerimonia ufficiale (e che cerimonia, l'anniversario della vittoria dei mujahiddin sui sovietici e i comunisti afghani), hanno dimostrato quello che, purtroppo, tutti sapevano. Tutti sapevano e sanno che ormai i talebani non stanno soltanto sulle montagne e nel Sud del Paese ma che si sono radicati praticamente ovunque, capitale Kabul compresa. L'attacco, a prescindere dai suoi risultati (gli attentatori si sono dimostrati abbastanza maldestri) segna una svolta. Ormai nessuno potrà dirsi più ai sicuro da nessuna parte in Afghanistan, tranne forse che nel Nord, retto con mano di ferro dal signore della guerra uzbeko, Rashid Dostum e, poco più in là, dagli eredi di quel grande uomo che fu Ahmad Sha Massud.
Il problema dell’Afghanistan sta ormai guastando i sonni degli strateghi e dei politici occidentali. Anche perché, stando le cose come stanno, non ci sono vie di uscita se non quella di perdere, magari lentamente, magari non quest'anno ne il prossimo, la guerra contro i talebani e i loro alleati di Al Qaeda e di quell'assassino che risponde al nome di Gulbuddin Hekmatyar, l'uomo che ha distrutto larghe fette di Kabul durante la sua guerra contro Massud.
Il perché di questa sconfitta annunciata sono chiari. Il primo è che la ricostruzione dello sventurato Paese (non è possibile chiamarla nazione, divisa com'è tra etnie, religioni, lingue...) non e mai nemmeno partita. Troppa differenza tra i denari che sarebbero serviti e quelli realmente erogati, troppe cose che andavano fatte e non lo sono state. Mancano strade, acquedotti, elettricità, scuole, ospedali. La gente fuori dalle città vive tuttora in condizioni medievali vittima dei signorotti locali e dei grandi trafficanti. La polizia, l'esercito, i magistrati, i funzionari pubblici sono talmente mal pagati da rendere la corruzione un obbligo più che un reato. In questa situazione i talebani non fanno molta fatica a riconquistare cuori, intelletti e posizioni di potere.
C'è poi il fatto che la guerra, quella combattuta sul campo, non va bene. E non va bene perché i 40 mila uomini che costituiscono i contingenti stranieri (sia quelli venuti per combattere che quelli venuti, almeno ufficialmente, per appoggiare la ricostruzione) sono ridicolmente pochi. Basti pensare che non furono sufficienti 150 mila sovietici e 50 mila governativi a sconfiggere i mujahiddin ai tempi della lotta antisovietica. E' ridicolo pensare che una forza che e meno di un terzo possa vincere sul campo oggi. Anche perché la guerra tecnologica pensata dagli americani, fatta di aerei senza pilota e di bombardamenti in quota non serve a molto, in un terreno come quello afghano.
Quindi bisognerebbe cambiare tutto, aumentare gli aiuti, riuscire davvero a ricostruire, avere molti (molti) più uomini sul terreno, creare finalmente una nuova classe dirigente afghana, limitare il potere di capi tribù, signori della guerra, trafficanti di droga, clero fondamentalista. Bisognerebbe bloccare la frontiera con il Pakistan (magari anche quella con l'Iran) da dove filtrano aiuti e uomini per i talebani.
Nessuna di queste cose è stata fatta, nessuna appare possibile a breve termine. Quindi perché stupirsi se i talebani colpiscono a Kabul durante una cerimonia con Karzai?
Il Messaggero del 28 aprile 2008, pag. 6
di Marco Guidi
I talebani hanno colpito a Kabul. Lo hanno fatto con i kalashnikov, ma anche con razzi e missili. Ma soprattutto, attaccando il presidente Hamid Karzai durante una cerimonia ufficiale (e che cerimonia, l'anniversario della vittoria dei mujahiddin sui sovietici e i comunisti afghani), hanno dimostrato quello che, purtroppo, tutti sapevano. Tutti sapevano e sanno che ormai i talebani non stanno soltanto sulle montagne e nel Sud del Paese ma che si sono radicati praticamente ovunque, capitale Kabul compresa. L'attacco, a prescindere dai suoi risultati (gli attentatori si sono dimostrati abbastanza maldestri) segna una svolta. Ormai nessuno potrà dirsi più ai sicuro da nessuna parte in Afghanistan, tranne forse che nel Nord, retto con mano di ferro dal signore della guerra uzbeko, Rashid Dostum e, poco più in là, dagli eredi di quel grande uomo che fu Ahmad Sha Massud.
Il problema dell’Afghanistan sta ormai guastando i sonni degli strateghi e dei politici occidentali. Anche perché, stando le cose come stanno, non ci sono vie di uscita se non quella di perdere, magari lentamente, magari non quest'anno ne il prossimo, la guerra contro i talebani e i loro alleati di Al Qaeda e di quell'assassino che risponde al nome di Gulbuddin Hekmatyar, l'uomo che ha distrutto larghe fette di Kabul durante la sua guerra contro Massud.
Il perché di questa sconfitta annunciata sono chiari. Il primo è che la ricostruzione dello sventurato Paese (non è possibile chiamarla nazione, divisa com'è tra etnie, religioni, lingue...) non e mai nemmeno partita. Troppa differenza tra i denari che sarebbero serviti e quelli realmente erogati, troppe cose che andavano fatte e non lo sono state. Mancano strade, acquedotti, elettricità, scuole, ospedali. La gente fuori dalle città vive tuttora in condizioni medievali vittima dei signorotti locali e dei grandi trafficanti. La polizia, l'esercito, i magistrati, i funzionari pubblici sono talmente mal pagati da rendere la corruzione un obbligo più che un reato. In questa situazione i talebani non fanno molta fatica a riconquistare cuori, intelletti e posizioni di potere.
C'è poi il fatto che la guerra, quella combattuta sul campo, non va bene. E non va bene perché i 40 mila uomini che costituiscono i contingenti stranieri (sia quelli venuti per combattere che quelli venuti, almeno ufficialmente, per appoggiare la ricostruzione) sono ridicolmente pochi. Basti pensare che non furono sufficienti 150 mila sovietici e 50 mila governativi a sconfiggere i mujahiddin ai tempi della lotta antisovietica. E' ridicolo pensare che una forza che e meno di un terzo possa vincere sul campo oggi. Anche perché la guerra tecnologica pensata dagli americani, fatta di aerei senza pilota e di bombardamenti in quota non serve a molto, in un terreno come quello afghano.
Quindi bisognerebbe cambiare tutto, aumentare gli aiuti, riuscire davvero a ricostruire, avere molti (molti) più uomini sul terreno, creare finalmente una nuova classe dirigente afghana, limitare il potere di capi tribù, signori della guerra, trafficanti di droga, clero fondamentalista. Bisognerebbe bloccare la frontiera con il Pakistan (magari anche quella con l'Iran) da dove filtrano aiuti e uomini per i talebani.
Nessuna di queste cose è stata fatta, nessuna appare possibile a breve termine. Quindi perché stupirsi se i talebani colpiscono a Kabul durante una cerimonia con Karzai?