lunedì 5 maggio 2008

Così le industrie farmaceutiche manipolano gli studi clinici (con l’aiuto dei ricercatori)

l’Unità 5.5.08
Una serie di articoli su «Jama» analizza le carte dei processi intentati alla Merck per il farmaco Vioxx
Così le industrie farmaceutiche manipolano gli studi clinici (con l’aiuto dei ricercatori)
di Cristiana Pulcinelli

Il quotidiano americano Wall Street Journal ha scritto pochi giorni fa che l’industria farmaceutica Pfizer sta cercando un accordo con i pazienti che le hanno fatto causa. Al centro della questione ci sono due farmaci prodotti dall’azienda (il Celebrex e il Bextra) accusati di aver causato in alcuni pazienti infarti e ictus.
Si tratta di due antidolorifici appartenenti alla classe degli inibitori della cox 2. Qualche anno fa sembrava che questi farmaci avessero aperto una nuova frontiera nella medicina: antinfiammatori in grado di trattare dolori acuti e condizioni come l’artrite reumatoide e l’artrosi senza, peraltro, dare i disturbi gastro-intestinali dei normali antinfiammatori. A questa classe apparteneva anche un altro farmaco, il Vioxx, prodotto dalla multinazionale Merck & co e ritirato dal mercato alla fine del 2004 perché faceva aumentare i rischi di malattie cardiocircolatorie.
Già nel 2005 era nata una polemica perché sembrava che la Merck, pur sapendo che il suo farmaco aveva effetti collaterali di non lieve entità, avesse taciuto fino a che la verità non era venuta a galla. Ora, la rivista Journal of American Medical Association (Jama) ha riaperto la questione con due articoli e un editoriale pubblicati sul numero del 16 aprile scorso.
Il primo articolo, firmato da J.S. Ross e colleghi, contiene accuse pesanti che mettono in discussione l’indipendenza e l’etica dei ricercatori medici. Sostengono infatti gli autori, basandosi sulle carte dei processi, che gli articoli sulle sperimentazioni cliniche del rofecoxib (la molecola chiamata commercialmente Vioxx) erano quasi tutti scritti da impiegati dell’industria che produceva il farmaco. Tuttavia, questi autori non comparivano con il loro nome: gli studi erano invece firmati da docenti universitari che avevano poco o niente a che fare con la ricerca di cui scrivevano. Si trattava per lo più di medici che naturalmente prestavano il loro nome in cambio di un compenso finanziario. Peraltro, in molti casi, questi stessi medici nascondevano il fatto di aver ricevuto finanziamenti e compensi per consulenze dalla Merck.
Il secondo articolo, firmato da B.M. Patsy e da R.A .Kronmal, racconta invece come faceva la Merck a dare un’immagine erronea del rapporto tra rischi e benefici del rofecoxib nelle sperimentazioni cliniche. L’azienda cercava di minimizzare il rischio di mortalità utilizzando un’analisi chiamata «as treated», ovvero che considera solo i partecipanti allo studio che hanno portato a termine la cura.
Dall’analisi dei dati venivano eliminati quindi tutti coloro che non avevano effettuato il trattamento fino in fondo. In questo modo però si rischia di escludere dall’analisi le persone che non finiscono il trattamento perché hanno effetti collaterali pesanti, oppure quelle che muoiono. Alcuni mesi prima di condurre queste sperimentazioni cliniche, dicono gli autori dello studio, la Merck aveva condotto un altro tipo di analisi chiamato «intention to treat». In sostanza, si prendeva in considerazione tutto il gruppo dei pazienti a cui era stato assegnato il trattamento con il farmaco. Da questa analisi sembra emergesse con chiarezza un aumento del rischio di mortalità tra i pazienti che prendevano il Vioxx.
Qual è la lezione che possiamo trarre da questi due articoli? L’editoriale di Jama si pone questa domanda e cerca anche di rispondere.
In primo luogo, la manipolazione e il riportare in modo distorto i risultati delle ricerche non possono avvenire senza la cooperazione (attiva e tacita) dei ricercatori clinici, degli altri autori, delle riviste, dei revisori e persino della Food and Drug Administration.
In secondo luogo, la fiducia nella ricerca clinica sta vacillando anche perché la manipolazione degli studi da parte dell’industria farmaceutica sta aumentando o comunque sta venendo sempre più allo scoperto.
La questione non è semplice e vale soprattutto per farmaci blockbuster, ovvero quelli che realizzano affari per più di un miliardo di dollari l’anno, come appunto era il Vioxx.
L’editorialista conclude sostenendo che l’antico principio etico «primum non nocere», secondo cui l’attività del medico deve in primo luogo non procurare danni, non deve valere solo per il medico che cura i pazienti, ma anche per tutti coloro che sono coinvolti nella ricerca medica e nel sistema delle pubblicazioni biomediche.