Londra taglia le armi a Tel Aviv
Michelangelo Cocco
il manifesto del 14/07/2009
L'embargo parziale decretato in risposta ai massacri di Gaza
Le licenze revocate sono soltanto cinque su 182 ma ciò che conta è il segnale politico, perché la decisione della Gran Bretagna è stata presa in risposta ai massacri israeliani dell'operazione «Piombo fuso» e in seguito alle pressioni di parlamentari e organizzazioni per i diritti umani.
L'ambasciata del Regno Unito a Tel Aviv ieri ha confermato che Londra ha cancellato alcune licenze per la vendita di armi allo Stato ebraico. Secondo quanto anticipato dal quotidiano Ha'aretz, a essere bloccata è stata l'esportazione di componenti e pezzi di ricambio per le corvette «Sa'ar 4». Il loro utilizzo per martellare dal mare la Striscia di Gaza tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 (1.417 palestinesi uccisi) ha violato gli accordi tra Londra e Tel Aviv che stabiliscono le condizioni d'impiego di componenti fabbricati in Inghilterra.
Nessuna misura invece nei confronti delle aziende britanniche che forniscono i motori per i droni (aerei senza pilota) «Hermes 450». Amnesty international qualche giorno fa aveva denunciato l'uccisione di decine di civili da parte di questi droni durante «Piombo fuso». «Data la consistenza delle prove che Israele ha commesso crimini di guerra a Gaza, la Gran Bretagna avrebbe dovuto revocare ogni licenza di armi o componenti che possano essere usate in questo modo», ha dichiarato ieri Tim Hancock, direttore della sezione britannica di Amnesty.
«Si tratta di un importantissimo, sebbene incompleto, primo passo responsabile per i crimini di guerra commessi durante l'offensiva contro Gaza - sostiene Phyllis Bennis, ricercatrice dell'Institute for Policy Studies di Washington -. Ogni paese che fornisce armi o altra assistenza militare a Israele è complice delle violazioni israeliane». «Questo vale anzitutto per gli Stati Uniti - spiega Bennis - che restano il principale sostenitore militare dell'occupazione israeliana, perché le forniscono mediamente 3miliardi di dollari all'anno in aiuti militari. L'uso illegale di armi americane da parte d'Israele viola anche le leggi statunitensi, in particolare l'"Arms export control act" - che fissa limiti molto precisi su come il paese ricevente può utilizzare le armi fornite da Washington». Israele investe in spese militari tra il 7% e il 9% del proprio prodotto interno lordo. E Bennis ricorda che «uno dei primi atti dell'Amministrazione Obama è stato annunciare la sua intenzione di implementare il suo finanziamento di 30miliardi di dollari in dieci anni per armi a Israele e finora non ha mostrato segni di ravvedimento».
Israele ieri ha minimizzato la decisione dell'International federation of journalists (Ifj), il sindacato internazionale dei giornalisti, di espellere dalla federazione - ufficialmente perché da anni rifiuta di pagare la quota associative - la sezione israeliana. In un comunicato stampa la Ifj ha chiarito che l'iniziativa non è riconducibile ad alcun boicottaggio nei confronti di Israele e ha risposto alle critiche avanzate dal Foglio, «giornale di cui è proprietario il premier italiano e magnate dei media Silvio Berlusconi», si legge nella nota. L'espulsione, sottolinea la Federazione internazionale nella nota, è «diventata inevitabile», dopo che l'associazione israeliana «ha rifiutato un'offerta di condonare tre anni di debito e pagare normalmente la quota del 2009». «È assurdo», a proposito di questa azione - prosegue la Federazione internazionale dei giornalisti - «parlare di boicottaggio di Israele o di antisemitismo, o di ragioni politiche». «È un non senso». La Federazione «sostiene in maniera forte la lotta dei giornalisti nella regione, compreso in Israele, per mantenere la loro indipendenza dalle pressioni politiche».
E ieri Tel Aviv ha reagito in maniera sprezzante alla proposta dell'Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera, Javier Solana, per un riconoscimento dell'Onu a un costituendo stato palestinese, anche nel caso di fallimento dei negoziati di pace. «Un accordo di pace non può scaturire che da negoziati diretti» ha detto il ministro degli esteri Avigdor Lieberman a radio Gerusalemme «e non può certo venire imposto». Secondo il ministro né gli Stati Uniti né l'Unione europea intendono comunque imporre una soluzione sul terreno. Riferendosi alle parole di Solana, Lieberman ha affermato che «non bisogna annettere importanza eccessiva a un diplomatico il cui mandato volge ormai al termine».
Michelangelo Cocco
il manifesto del 14/07/2009
L'embargo parziale decretato in risposta ai massacri di Gaza
Le licenze revocate sono soltanto cinque su 182 ma ciò che conta è il segnale politico, perché la decisione della Gran Bretagna è stata presa in risposta ai massacri israeliani dell'operazione «Piombo fuso» e in seguito alle pressioni di parlamentari e organizzazioni per i diritti umani.
L'ambasciata del Regno Unito a Tel Aviv ieri ha confermato che Londra ha cancellato alcune licenze per la vendita di armi allo Stato ebraico. Secondo quanto anticipato dal quotidiano Ha'aretz, a essere bloccata è stata l'esportazione di componenti e pezzi di ricambio per le corvette «Sa'ar 4». Il loro utilizzo per martellare dal mare la Striscia di Gaza tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009 (1.417 palestinesi uccisi) ha violato gli accordi tra Londra e Tel Aviv che stabiliscono le condizioni d'impiego di componenti fabbricati in Inghilterra.
Nessuna misura invece nei confronti delle aziende britanniche che forniscono i motori per i droni (aerei senza pilota) «Hermes 450». Amnesty international qualche giorno fa aveva denunciato l'uccisione di decine di civili da parte di questi droni durante «Piombo fuso». «Data la consistenza delle prove che Israele ha commesso crimini di guerra a Gaza, la Gran Bretagna avrebbe dovuto revocare ogni licenza di armi o componenti che possano essere usate in questo modo», ha dichiarato ieri Tim Hancock, direttore della sezione britannica di Amnesty.
«Si tratta di un importantissimo, sebbene incompleto, primo passo responsabile per i crimini di guerra commessi durante l'offensiva contro Gaza - sostiene Phyllis Bennis, ricercatrice dell'Institute for Policy Studies di Washington -. Ogni paese che fornisce armi o altra assistenza militare a Israele è complice delle violazioni israeliane». «Questo vale anzitutto per gli Stati Uniti - spiega Bennis - che restano il principale sostenitore militare dell'occupazione israeliana, perché le forniscono mediamente 3miliardi di dollari all'anno in aiuti militari. L'uso illegale di armi americane da parte d'Israele viola anche le leggi statunitensi, in particolare l'"Arms export control act" - che fissa limiti molto precisi su come il paese ricevente può utilizzare le armi fornite da Washington». Israele investe in spese militari tra il 7% e il 9% del proprio prodotto interno lordo. E Bennis ricorda che «uno dei primi atti dell'Amministrazione Obama è stato annunciare la sua intenzione di implementare il suo finanziamento di 30miliardi di dollari in dieci anni per armi a Israele e finora non ha mostrato segni di ravvedimento».
Israele ieri ha minimizzato la decisione dell'International federation of journalists (Ifj), il sindacato internazionale dei giornalisti, di espellere dalla federazione - ufficialmente perché da anni rifiuta di pagare la quota associative - la sezione israeliana. In un comunicato stampa la Ifj ha chiarito che l'iniziativa non è riconducibile ad alcun boicottaggio nei confronti di Israele e ha risposto alle critiche avanzate dal Foglio, «giornale di cui è proprietario il premier italiano e magnate dei media Silvio Berlusconi», si legge nella nota. L'espulsione, sottolinea la Federazione internazionale nella nota, è «diventata inevitabile», dopo che l'associazione israeliana «ha rifiutato un'offerta di condonare tre anni di debito e pagare normalmente la quota del 2009». «È assurdo», a proposito di questa azione - prosegue la Federazione internazionale dei giornalisti - «parlare di boicottaggio di Israele o di antisemitismo, o di ragioni politiche». «È un non senso». La Federazione «sostiene in maniera forte la lotta dei giornalisti nella regione, compreso in Israele, per mantenere la loro indipendenza dalle pressioni politiche».
E ieri Tel Aviv ha reagito in maniera sprezzante alla proposta dell'Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera, Javier Solana, per un riconoscimento dell'Onu a un costituendo stato palestinese, anche nel caso di fallimento dei negoziati di pace. «Un accordo di pace non può scaturire che da negoziati diretti» ha detto il ministro degli esteri Avigdor Lieberman a radio Gerusalemme «e non può certo venire imposto». Secondo il ministro né gli Stati Uniti né l'Unione europea intendono comunque imporre una soluzione sul terreno. Riferendosi alle parole di Solana, Lieberman ha affermato che «non bisogna annettere importanza eccessiva a un diplomatico il cui mandato volge ormai al termine».