sabato 13 settembre 2008

Fannie e Freddie, un esempio di finanza creativa

Fannie e Freddie, un esempio di finanza creativa

Corriere della Sera del 11 settembre 2008, pag. 36

di Massimo Mucchetti

L’ufficio del Bilancio del Congresso avverte il Tesoro degli Stati Uniti che Fannie Mae e Freddie Mac dovranno essere inclusi nei conti pubblici.

L’effetto della nazionalizzazione delle due grandi agenzie dei mutui immobiliari sarà tale da far emergere, secondo alcuni commentatori, il più radicale degli interrogativi: è questo un fallimento del mercato o è proprio il libero mercato che conosciamo a mostrare la corda? Certo, a questo punto non c’erano alternative. Le obbligazioni di Fanne & Freddie, 5400 miliardi di dollari, sono in portafoglio all’universo mondo e una duplice insolvenza di tale entità avrebbe avuto devastanti effetti a catena. Ma forse bisogna anche domandarsi quale sia oggi lo stato delle finanze pubbliche e private americane e come si sia arrivati a questa nuova, enorme pubblicizzazione delle perdite. Il debito federale degli Usa è pari a 9.650 miliardi di dollari contro un prodotto interno lordo di 13 mila miliardi. Parte del debito, 5510 miliardi, è collocata presso il pubblico dagli enti centrali. Il resto, 4145 miliardi, è contratto dalle amministrazioni dei diversi stati dell’Unione. Questo capitolo comprende anche i municipal bonds, obbligazioni emesse dalle centinaia di enti pubblici locali, le cosiddette public authorities, che posseggono autostrade, porti, aeroporti, reti elettriche, case popolari, ospedali, scuole.



Il debito di Fannie & Freddie, per dare un’idea, è pari a due volte l’intero pil dell’Italia. Fino a ieri non veniva considerato nel bilancio pubblico perché le due società erano private. Fannie & Freddie, tuttavia, godevano della sponsorizzazione governativa e, grazie a questa informale garanzia, hanno potuto indebitarsi senza limiti e a condizioni vantaggiose rispetto a banche e assicurazioni. Quanto poco informale fosse quella garanzia si è visto in questi giorni: nel momento del bisogno è puntualmente scattata. Chi ha parlato di finanza creativa quando Giulio Tremonti scambiava i titoli del Tesoro con quelli della Banca d’Italia o scaricava un po’ di debito pubblico sulla Cassa depositi e prestiti cedendole quote di Eni ed Enel deve oggi constatare quanto maggiore e più prolungato nel tempo sia stato l’uso della finanza creativa da parte dei governi Usa. Se Fannie & Freddie vi venissero consolidate, il debito pubblico americano supererebbe il pil più di quanto non accada da noi. Con il particolare che le famiglie americane sono anch’esse indebitatissime, avendo ormai superato il 140% del reddito disponibile. Le famiglie italiane, in proporzione, sono indebitate per la metà. Si potrebbe dire che oltre Atlantico ci si espone di più perché si ha più fiducia nel futuro. Ma qual è il limite oltre il quale la fiducia diventa imprudenza e il coraggio temerarietà? A questo limite, probabilmente, si è ormai arrivati. Ma non di colpo. Fannie & Freddie e le public authorities hanno retto lo sviluppo degli Usa da Roosevelt ai giorni nostri. E una storia di settant’anni non può essere liquidata facilmente. Delle obbligazioni municipali ancora nulla si dice, ma della crisi di Fannie & Freddie si sa che è maturata quando, a partire dagli anni Novanta, sui vecchi mutui si sono costruite le più ardite emissioni obbligazionarie allo scopo di esaltare i rendimenti a beneficio degli azionisti e del management. Prima, sia durante la gestione pubblica che durante gli iniziali vent’anni di gestione privata, il gioco ha funzionato alimentando l’industria delle costruzioni, l’attività bancaria e l’immobiliare fino a diventare la grande base della grandissima piramide rovesciata del capitalismo finanziario.



Si dice: la degenerazione delle due agenzie è dovuta alla surrettizia presenza dello Stato garante che ha indotto nei gerenti un eccesso di sicurezza. Ma allora come mai Bear Steams e le altre privatissime banche d’investimento, ormai garantite dalla Federal Reserve, si erano prese gli stessi rischi? Forse il problema non è la prevalenza del pubblico o quella del privato, ma la deregulation che ha dato all’intera finanza internazionale, e a quella anglosassone in particolare, l’illusione di poter reiterare all’infinito debiti crescenti perché la finanza era diventata troppo grande per fallire.