sabato 19 dicembre 2009

Nessuno tocchi internet

Nessuno tocchi internet

Terra del 16 dicembre 2009

Luca Nicotra

Alcuni dei messaggi e dei gruppi che si trovano sul social network Facebook in queste ore, dopo l’aggressione nei confronti del premier Silvio Berlusconi, sono sconcertanti. Sono migliaia le persone che non hanno il timore di associare pubblicamente il proprio nome a istigazioni alla violenza o a insulti al Premier. Ciononostante è importante evitare facili allarmismi: Internet non è il far west. Anche sul web esistono delle leggi, e se verrà accertato che qualcuno ha commesso un reato, inneggiando alla violenza contro Berlusconi o in qualsiasi altro modo, è giusto che sia perseguito. Dai tribunali però. A questo proposito la Procura di Roma ha già annunciato di aver aperto un fascicolo relativo ai gruppi apparsi ieri su Facebook. Ogni allarmismo appare quindi immotivato. C’è invece il rischio effettivo che il clima di scontro politico duro venga usato come pretesto per introdurre in Italia, sull’onda dell’emozione, norme restrittive e da stato di polizia, come è successo altre volte nel paese. Ad esempio dopo gli attentati terroristici negli Stati Uniti e in Europa, con l’introduzione di quel decreto Pisanu che prevede la schedatura preventiva dell’identità e delle attività di chi naviga in rete, per evitare il rinnovo del quale l’associazione Agorà Digitale e Radicali Italiani si stanno mobilitando in questi giorni. Dopo l’aggressione al premier moltissimi parlamentari ed esponenti del governo hanno rilasciato dichiarazioni che invocano leggi in grado di controllare e sanzionare comportamenti che incitino alla violenza in Rete, in modo rapido ed efficiente. E direttamente su iniziativa del governo. Eppure la censura di Stato ha poco a che vedere con la giustizia. Ha molto a che vedere, invece, con la volontà di limitare una libertà di espressione, quella online, difficile da controllare e che per i governi si dimostra sempre più un problema. Ha a che vedere con il tentativo di trovare una spiegazione tranquillizzante alla violenza di certe esternazioni, dipingendo Internet come un luogo frequentato da criminali e squilibrati, un luogo oscuro da cui proteggersi. Qualcuno si è spinto fino a sostenere che Tartaglia “era vicino agli ambienti dei social network”. Si tratta di un’immagine terribilmente falsa. I Radicali, i messaggi che oggi si leggono sulle bacheche di Facebook e del web, li conoscono bene. Sono gli stessi che si ascoltavano negli anni ‘80 o ‘90 a Radio Parolaccia, quando aprimmo i microfoni di Radio Radicale senza filtro 24 ore su 24. Un esperimento che consentì di ascoltare la voce di un’Italia che strepita, urla, minaccia, impreca e bestemmia e che oggi Internet permette di replicare su base permanente e per un numero di cittadini sempre maggiore. Un paese a volte orrendo, ma che esiste e non si può cancellare, e di cui invece sarebbe utile cercare di comprendere le cause. Nel frattempo agli onorevoli D’Alia, Carlucci, Maroni e quanti altri in queste ore stanno inneggiando alla censura in Rete è bene ribadire che la libertà si esercita nei casi limite. Quelli più sgradevoli o ripugnanti. Non ci sono direttori responsabili dentro Facebook e se qualcuno commette dei reati, a maggior ragione lì dove la privacy è praticamente assente, la responsabilità personale resta. Ma per questo c’è la magistratura. Altrimenti chi decide quali frasi sono da considerarsi oltre il limite accettabile. La Carlucci? Maroni? È importante che parlamento e società civile si mobilitino per limitare le tentazioni da stato di polizia del governo. Noi radicali abbiamo presentato una interrogazione parlamentare rivolta ai Ministri Alfano e Maroni a prima firma Marco Beltrandi, deputato radicale del gruppo del PD, per fare chiarezza sulle notizie di una possibile introduzione mediante decreto legge della norma di apologia di reato su Internet, già con il prossimo Consiglio dei Ministri. Non è chiaro quali potrebbero essere i dettagli del provvedimento ma bisogna evitare che vengano riproposte norme che in qualche modo equiparino Internet all’editoria, con conseguenze disastrose sullo sviluppo della rete in Italia, come denunciato da numerosi operatori del settore, con lo spettro dell’oscuramento di intere piattaforme per l’impossibilità tecnica di chiudere singoli gruppi. Sarebbe un fatto contrario ad ogni elementare principio costituzionale. Il Parlamento ha già deliberato pochi mesi fa su una proposte simile, contenuta in un emendamento del senatore D’Alia, esprimendosi in modo nettamente contrario, con un voto condiviso da gran parte della maggioranza. Non crediamo che da allora le condizioni siano cambiate, e una riproposizione di norme simili mediante decretazione d’urgenza sarebbe un atto grave nei confronti dei diritti dei fruitori della rete e delle prerogative delle Assemblee legislative.