martedì 21 aprile 2009

La posta in gioco con i talebani. Il corpo delle donne

il Riformista 21.4.09
La posta in gioco con i talebani. Il corpo delle donne
di Ritanna Armeni

La legge era stata fatta per ottenere alle prossime elezioni presidenziali il voto degli sciiti ed era stata ben accolta anche dai talebani. Se vuol essere rieletto il presidente afghano non può non cedere alle loro richieste e accettare le loro violenze e le loro prevaricazioni.
La cronaca è ormai piena di donne uccise perché hanno tentato di ribellarsi al dominio maschile e familiare o perché volevano andare a scuola.
Ed è solo di ieri la notizia che i talebani hanno ammazzato in Pakistan, al confine con l'Afghanistan, un uomo e una donna colpevoli di avere una relazione fuori dal matrimonio. E poi hanno mandato il video a una televisione.
Ma non sono i singoli, seppur frequenti, episodi a destare la maggiore preoccupazione. Questi potrebbero essere i colpi di coda di forze che si stanno arrendendo alla democrazia o la reazione di piccoli gruppi che non vogliono accettare le nuove regole. Quello che davvero preoccupa è la evidente ripresa delle forze fondamentaliste e le conseguenti decisioni dei capi di Stato. Quella di Karzai, appunto, ma anche quella, recente, del presidente del Pakistan. Azif Ali Zardari, marito di Benazir Bhutto (prima donna premier di un Paese islamico) e successore di quel Musharaf accusato di aver mostrato un atteggiamento ambiguo nei confronti dei talebani pur mostrandosi amico degli Usa, ha promulgato un regolamento che reintroduce la sharia nella parte nord ovest del Pakistan. Asianews, uno dei pochi siti che informano in dettaglio sull'avvenimento, raccontava già un mese fa che la legge islamica era stata ripristinata nelle regioni che confinano con l'Afghanistan e che le corti islamiche avevano preso in mano l'amministrazione della giustizia nella Swat Valley. «Con l'entrata in vigore della sharia nel distretto di Malakand - scriveva Asianews - le donne non possono più muoversi da sole, parlare in pubblico e il velo diventa obbligatorio. Le scuole femminili, per lo più legate ai missionari, ma frequentate al 95 per cento da ragazze musulmane, rischiano la chiusura definitiva dopo gli attentati esplosivi negli ultimi mesi che, pur non causando vittime, hanno reso impossibile a circa mille studentesse di frequentare le lezioni». Il governo pakistano, insomma, ha preso atto e ha approvato una situazione che era già in mano ai fondamentalisti promulgando un regolamento che accetta lo stato di fatto. In cambio questi hanno promesso di deporre le armi. Probabilmente non sarà vero. La legge islamica invece - ha informato Asianews - c'è già. E - ricordiamolo - la legge islamica, secondo i fondamentalisti, significa che le donne saranno costrette al matrimonio anche se ancora bambine, alla pena di morte o al carcere se vengono stuprate, alla lapidazione se hanno rapporti fuori dal matrimonio.
Per due volte in pochi giorni le donne sono state oggetto di uno scambio politico. Per due volte due uomini, capi di Stato, hanno barattato voti e accordi in cambio di controllo e violenza da parte degli uomini sul corpo femminile. E questo porta a tre (amare) considerazioni.
La prima. Il corpo delle donne è la vera posta in gioco nella lotta contro i talebani, gli sciiti e il fondamentalismo. Adriano Sofri, già alcuni anni fa, aveva notato come questo, e non il petrolio, fosse il centro dello scontro fra l'islam e l'occidente. Gli islamici, gli islamici poveri e senza potere, aveva scritto, quelli che non avevano da perdere che le loro catene, potevano però - se avesse vinto l'occidente infedele - perdere le loro donne, la loro proprietà, l'unica di cui potevano disporre. E questo li rendeva particolarmente efferati e subalterni al terrorismo. Oggi proprio per rassicurarli e per combattere il terrorismo - questo l'orribile paradosso al quale stiamo assistendo con indifferenza - non si ha alcun dubbio a consegnare loro il dominio sulle donne. E a confermare che su di loro gli uomini mantengono il diritto di vita e di morte.
La seconda. I talebani, e con loro le forze tribali di quell'area del mondo che ha un rapporto conflittuale con l'occidente, hanno guadagnato terreno. Anzi stanno vincendo. La guerra in Afghanistan è stata persa sul piano militare e, prima ancora, sul piano della democrazia e dei diritti. Non se ne vuole prendere atto, ma che cosa significano le due leggi promulgate dal presidente pakistano e da quello afgano se non la presa d'atto che la guerra, la guerra delle armi è stata persa? È per questo che si accetta esattamente ciò per cui quella guerra era stata combattuta e a cui la lotta per la democrazia dovrebbe tenacemente opporsi: la schiavitù della popolazione femminile.
La terza. Di fronte all'evidente orribile scambio che avviene in quei Paesi alleati i Paesi occidentali protestano, ma in modo assai poco convinto. Naturalmente condannano la decisione di Zarcari, criticano Karzai ma in fin dei conti non ritengono di poter fare molto. Sembrano pensarla al fondo come Spencer P. Boyer, capo dello staff del presidente Clinton e oggi direttore della sezione diplomazia del Center for American progress, il pensatoio democratico americano che, in una intervista al Riformista sulla reintroduzione della sharia in Afghanistan ha risposto: «Nessun Paese è perfetto».
La condizione di totale subordinazione e schiavitù delle donne di quei Paesi è considerata da un esponente della democrazia occidentale solo "un'imperfezione", qualcosa di non perfettamente giusto, ma non di talmente insopportabile da mettere in discussione le scelte politiche e militari finora compiute. E questo certamente non aiuta le donne di quei Paesi e manda un inquietante messaggio anche alle donne dell'occidente che dice di essere democratico.