lunedì 10 ottobre 2011

L’antipolitica dei bravi ragazzi senza futuro

La Stampa 3.10.11
L’antipolitica dei bravi ragazzi senza futuro
di Umberto Gentiloni

Park Place, lower Manhattan, piccolo rettangolo incastonato tra Ground Zero e Wall Street, è diventato uno strano incrocio di percorsi e storie; da qualche giorno è il ritrovo per centinaia di manifestanti che presidiano i luoghi della Borsa e della finanza. In quell’imbuto di strade si trova anche l’uscita principale per chi visita il nuovo Memorial 9/11, nel vuoto lasciato dalle Torri gemelle. Turisti e residenti muniti di prenotazione si mettono in coda, gruppi di cento vengono ammessi ogni ora nel recinto del cantiere del World Trade Center. Si esce nel cuore della protesta studentesca; un accampamento dotato di ogni servizio: collegamenti con computer a ogni angolo, telecamere, materassi per terra, cibo, bevande e scatole di cartone di vari formati per la richiesta fondi. Fianco a fianco uomini d’affari in pausa pranzo con turisti segnati dalle emozioni del nuovo memoriale che arrotolano lunghi fogli di carta spessa distribuiti con una grande matita (Name Impression Kit) e utilizzati per imprimere il nome delle vittime.
Le voci dei ragazzi sono senza interruzione, si danno il cambio gridando slogan, parole d’ordine, lunghe e dettagliate piattaforme di rivendicazione scandite da un singolo e amplificate dal gruppo che lo circonda. I cartelli in mostra: «Difendiamo la nostra terra», «L’economia è come una stella che sembra produrre luce ma in realtà è già spenta» o ancora le domande sul luogo simbolo del ritrovo: «Non siamo protagonisti. Solo consapevoli». «Queste strade? Le nostre strade». Fino al grido d’allarme «Satana controlla Wall Street». Al centro della piazza un ammonimento: «Per favore. Niente droghe. Non ne parlare, non chiedere e non insistere. Noi non facciamo uso di sostanze!»; richiamo al passato e a stagioni lontane.
La protesta non raccoglie gli inviti di smobilitazione delle forze dell’ordine, seguono momenti di tensione e i primi fermi quando vengono occupate alcune strade limitrofe perpendicolari all’ultimo tratto della Broadway. Chi si trova da quelle parti guarda incuriosito e incerto sul da farsi. Tutto sembra fermarsi al suono della sirena dei pompieri, uno strano silenzio si sostituisce ai rumori diffusi, i ragazzi in piedi insieme ai turisti salutano il mezzo dei vigili del fuoco che si dirige versoNord. Un simbolo che unisce e rassicura, uno stimolo di orgoglio per i newyorkesi di varia provenienza; l’applauso forte copre alcuni minuti, nella piccola piazza torna la calma.
Un mix strano di sguardi e presenze, ma anche l’incontro tra nuove domande e antiche forme di protesta. Tutto viaggia via Internet ma la parola amplificata dalla piazza richiama i primi Anni Sessanta e le origini del movimento del Free Speech nella baia di San Francisco, gli albori della stagione del Sessantotto. La culla di quella protesta, l’Università di Berkeley, è ancora sotto i riflettori dei media, nelle stesse ore della cosiddetta «occupazione di Wall Street».
L’istantanea è molto diversa: una vendita di dolci al centro della celebre Sproul Plaza organizzata da giovani studenti repubblicani che chiedono di bloccare una legge sulle affermative action, vale a dire i criteri di ammissione in parte basati sui gruppi linguistici e culturali di appartenenza, sul genere e sul colore della pelle. Il tema non è certo inedito, ma i cupcakes (piccoli muffin ricoperti di glassa colorata) con prezzi diversificati arrivano sugli schermi della Cnn: 2 dollari per maschio bianco, 1 e mezzo per studente asiatico, 1 latino, 75 centesimi per gli african american e 25 per i native american; sconto previsto per le donne. Un menù provocatorio, venato di discriminazione secondo alcuni.
Dal 1995 le quote per le minoranze sono abolite da una legge californiana; il governatore Jerry Brown ha tempo fino al prossimo 9 ottobre per decidere su una proposta che le inserirebbe tra i diversi fattori per l’ammissione agli studi. Da qui la tensione tra le parti. Docenti e funzionari dell’università, cifre alla mano, rispondono che le differenze sono un valore irrinunciabile, visto che le «diverse minoranze» raggiungono il 16 per cento della popolazione studentesca, erano oltre il 20 nel 1994. Persino al di là di forme e contenuti sembra uno scherzo del destino o una fortuita coincidenza della storia. A dieci anni dall’11 settembre 2001, in simultanea sulle due coste dell’America le proteste di nuove generazioni attraversano simboli del secolo americano; nuove sfide convivono con antiche contraddizioni, la crisi del capitalismo finanziario con la difficile avanzata dei diritti civili.