mercoledì 10 novembre 2010

Il business delle false malattie ecco i trucchi delle industrie per venderci farmaci inutil

La Repubblica 29.10.10
Il business delle false malattie ecco i trucchi delle industrie per venderci farmaci inutili
Il costo per sanità pubblica e famiglie: 4 miliardi all’anno
di Michele Bocci

Non ce n´è nemmeno uno. Sul calendario non sono rimasti più mesi, settimane o giorni liberi da malattie. Da prevenire, scoprire prima possibile, sconfiggere, studiare o raccontare a chi sta bene. Cancro, alzheimer, sclerosi multipla, aids sono protagoniste ogni anno di giornate mondiali o italiane, regionali o cittadine. Ma anche la menopausa, l´osteoporosi, l´incontinenza e addirittura la stipsi hanno i loro periodi dedicati, con appuntamenti nelle piazze, davanti ai supermercati, negli ambulatori. Sotto gazebo montati in centro si misurano glicemia e pressione, si fanno valutazioni odontoiatriche e audiometriche ai passanti. C´è un palcoscenico per ogni problema, che sia infettivo e raro come la meningite oppure diffusissimo come l´ipertensione. Molti forse non sanno che in Italia si celebra anche il mese della prevenzione degli attacchi di panico.
Quanti sono gli appuntamenti dedicati alle malattie? Quelli nazionali almeno 60 l´anno, poi ci sono le manifestazioni locali e il numero sale a 300. In molti, tra medici, farmacologi e responsabili di associazioni di malati, sono convinti che sia troppo alto. Spesso l´invito agli screening e il messaggio che molti non sanno di avere una certa patologia, oltre ad avere effetti positivi, creano ansie e timori. E fanno consumare sempre più sanità: esami, visite e medicinali. È ciò che vuole l´industria farmaceutica, che in Italia fattura oltre 25 miliardi di euro all´anno. Lavora per far guarire da problemi seri ma anche per allargare il mercato, un po´ come si fa con i detersivi. Le giornate del malato, normalmente importanti, possono essere un efficace strumento di marketing, e diventare una delle linee di produzione della fabbrica delle malattie.
Quali sono i meccanismi utilizzati per riempire di medicine i nostri armadietti del bagno? Il punto di partenza è la ormai nota frase pronunciata oltre trent´anni fa dal pensionando direttore Merck, Henry Gadsen: «Sognamo di produrre farmaci per le persone sane». Da allora la fabbrica ha scoperto tanti medicinali importanti ma ha anche prodotto nuove patologie e nuovi malati. Eventi naturali della vita come l´invecchiamento e il parto o stati d´animo come la timidezza, oggi, nella grande corsa al benessere assoluto, sono considerati problemi di salute. Così nessuno di noi si sente sano fino in fondo. Probabilmente Gadsen ne sarebbe soddisfatto.

I problemi di salute in piazza
L´idea di partenza è meritoria: portare una patologia in piazza per farla conoscere e magari raccogliere soldi per ricerca e assistenza. Il sistema però è cresciuto a dismisura. «Si rischia di incentivare il consumo di prestazioni sanitarie e di medicine», dice Marco Bobbio, primario di cardiologia a Cuneo e autore per Einaudi del libro "Il malato immaginato". «Tra gli organizzatori delle giornate c´è certamente chi ha uno scopo specultativo. Anche perché nessuno ha mai verificato con studi scientifici se queste iniziative aiutano i pazienti a curarsi meglio o magari spingono qualcuno che ha scoperto i sintomi di un problema ad accentuare artatamente i suoi disturbi, sottoponendosi a esami inutili». E magari a consumare più farmaci. Ma quanti tra coloro che partecipano a una campagna sanno già di avere quel problema di salute?
«L´impressione è che si faccia coinvolgere chi è già seguito per la patologia a cui è dedicata la giornata dice Bobbio Chi fuma non va al banco per la prevenzione del tumore al polmone fuori dal supermarket».
A organizzare questi appuntamenti di solito sono associazioni di malati, con l´appoggio di una società scientifica e il contributo dell´industria. Un evento di medie dimensioni al privato può costare anche 100-150mila euro. Le case farmaceutiche credono in queste iniziative. E non solo loro. Sempre più aziende cercano visibilità per i loro prodotti attraverso i problemi di salute. La giornata dell´osteoporosi oltre a sponsor come Procter & Gamble (che vende un farmaco per questo problema a base di risedronato), o Lilly Italia, quest´anno ha avuto la partnership dell´acqua Sangemini. Sul suo sito la società spiega anche di aver pubblicato un «opuscolo esplicativo sulle proprietà dell´acqua Sangemini, sulla prevenzione e la cura dell´osteoporosi per la donna fashion, ma anche attenta al suo benessere». Il tutto per un problema passato negli ultimi anni da fattore di rischio a malattia, secondo alcuni proprio grazie all´impegno dell´industria. Negli Usa si calcola che le visite per l´osteoporosi siano triplicate dall´introduzione sul mercato del farmaco alendronato della Merck.
Al di là delle normali e lecite sponsorizzazioni, esistono appuntamenti organizzati a tavolino per vendere farmaci? Per dare una risposta basta la storia della "settimana nazionale per la diagnosi e la cura della stitichezza". «In Italia è stata fatta per ben tre anni consecutivi spiega Bobbio Si volevano sensibilizzare medici e cittadini sulla necessità di curare questo problema in previsione dell´arrivo sul mercato di un farmaco». Quel medicinale era a base di tegaserod ed era prodotto dalla Pfizer, che l´ha ritirato dal commercio in Europa nel 2007, perché sono stati segnalati casi di problemi cerebro-vascolari tra chi lo aveva preso. «E dall´anno dopo la settimana della stitichezza è scomparsa dice Bobbio dimostrando che il grande interesse "scientifico" era ingigantito per preparare il lancio commerciale».

Curare malattie che una volta non erano malattie
Le giornate del malato, come certi studi clinici, i convegni e le pubblicità, in alcuni casi possono essere utilizzate per il cosiddetto disease mongering, la creazione a tavolino delle malattie. La stessa osteoporosi, la menopausa, la timidezza, un tempo non erano considerate patologie, ora sì. Una recente ricerca scientifica svolta negli Usa e pubblicata da Social science & medicine, prende in considerazione una decina di situazioni (ansia, deficit di attenzione, insoddisfazione della propria immagine, disfunzione erettile, infertilità, calvizie, menopausa, gravidanza senza complicazioni, tristezza, obesità, disordini del sonno) che sono state medicalizzate, alcune magari anche giustamente, negli ultimi anni e calcola che costino ogni anno alla sanità Usa 77 miliardi di dollari, il 3,9% della spesa. Quanto costa in Italia medicalizzare le patologie che un tempo non esistevano? Rispettando le proporzioni con l´America, circa 4 miliardi di euro. Di recente il British medical journal ha pubblicato il lavoro di un ricercatore australiano, Ray Moynihan, il quale sostiene che il mito della scarsa libido delle donne è stato creato dalle case farmaceutiche, per vendere una versione femminile del Viagra fino ad ora mai scoperta.

Come si aumenta il numero di pazienti
La fabbrica delle malattie non si accontenta mai. Si muove anche per far crescere il numero di persone a rischio. «Basta abbassare il limite della pressione, della glicemia o del colesterolo considerati pericolosi», spiega Roberto Satolli, medico e giornalista dell´agenzia Zadig, che realizza il sito www.partecipasalute.it. «Negli anni Sessanta si era ipertesi con 160-90, negli anni Ottanta e Novanta con 140-90 e adesso con 120-80. Si sposta un po´ la soglia e milioni di persone vengono inserite tra coloro che devono prendere dei farmaci». Il colesterolo un tempo era considerato alto dai 240 in su, adesso anche ben al di sotto dei 200. Un sensibile allargamento del mercato potrebbe essere dovuto proprio in questo periodo al Crestor di AstraZeneca, uno dei medicinali della famiglia delle statine più efficaci per abbassare il colesterolo e quindi prevenire l´infarto. Di recente l´Fda, l´agenzia Usa per il controllo dei farmaci, ha approvato l´estensioni delle indicazioni alle persone senza problemi di colesterolo ma con alti livelli della proteina C-reattiva (un marcatore di infiammazione) e con un fattore di rischio cardiovascolare, come fumo, ipertensione, sovrappeso. Il New York Times ha spiegato come uno studio su larga scala dimostri che, rispetto al placebo, il Crestor per questi soggetti fa scendere la probabilità di un attacco di cuore da 0,37% a 0,17. Il quotidiano fa notare che per prevenire un infarto "a cui normalmente si può sopravvivere" vanno trattate 500 persone. Che magari sono grasse e quindi potrebbero abbassare quel fattore di rischio. Il Nyt calcola che, con l´allargamento dei parametri, 6,5 milioni di americani diventino potenziali utilizzatori del Crestor.
Le statine sono sempre più usate ovunque, da noi il consumo aumenta del 20% all´anno. Si tratta di farmaci che hanno rivoluzionato la cura dei problemi cardiovascolari. Lo sottolinea Sergio Dompé, presidente di Farmindustria: «Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una riduzione di queste patologie senza precedenti. Del resto, più in generale, oggi stiamo meglio di una volta, in 15 anni ne abbiamo guadagnati 3 di vita. Le aziende fanno i loro interessi, ma quando lavorano correttamente perseguono anche il bene della collettività. Certo, alcuni sprechi si possono ridurre. E come dico sempre: il miglior farmaco è avere un bravo medico». Uno dei pilastri della fabbrica delle malattie è il marketing. Ma come si fa a vendere un farmaco?

L´imbuto e il "disease awareness"
Bisogna essere oltre che disinvolti anche scientifici. «I medici sono classificati a seconda della loro capacità di condizionare i colleghi. In cima ci sono gli influenzatori, bravi a parlare in pubblico e seguiti da tanti altri dottori quando si tratta di fare una prescrizione. Poi ci sono gli influenzati ma anche categorie come gli early adopters, gli appassionati delle novità, che amano essere i primi a fare le cose». A parlare è Luca (il nome è finto), che da anni lavora negli uffici marketing del farmaceutico. «A parte l´utilizzo degli informatori, sono importanti i congressi. Si sponsorizzano gli organizzatori e si fanno mettere letture o tavole rotonde incentrate non sul brand del tuo farmaco, cosa vietata, ma sul principio attivo o sulla patologia. Avere questo spazio scientifico costa diverse decine di migliaia di euro. Per il tuo simposio ingaggi i relatori, che paghi tra i mille e 5mila euro, e anche il pubblico, cioè i medici che seguono la patologia di cui si parla e che ospiti al congresso». Il fine è quello di vendere più farmaci. «Si pensi a un imbuto dice Luca Se ho 100 persone che prendono determinati medicinali e la mia azienda copre il 50% del mercato, serve a poco ed è faticoso strappare alla concorrenza il 2 o 3%. A me che sono leader, conviene aumentare i pazienti, farli diventare 200 allargando l´ingresso di quell´imbuto. Si cerca di ridefinire la malattia per poter dire che ne soffre anche chi prima non l´aveva. E partono le campagne di disease awereness, cioè di consapevolezza, fatte un po´ in buona fede e un po´ in malafede. Esiste sempre una quota di persone che non sa di avere una certa malattia: è giusto fargliela scoprire. Così, ad esempio, si organizzano le giornate».

La ricerca in mani private
Le multinazionali hanno in mano la ricerca. Lo spiega Nicola Magrini, farmacologo direttore del Ceveas, che si occupa di valutazione e linee guida sull´uso dei farmaci per la Regione Emilia Romagna e per l´Istituto superiore di sanità. «Negli Usa, pubblico e privato investono nella ricerca il 50% a testa spiega Da noi il pubblico finanzia solo una piccola parte degli studi. Bisognerebbe almeno favorire l´effettuazione di ricerche a cui partecipano più aziende: confrontando più farmaci si bilanciano gli interessi di tutti». Ma cosa sanno i singoli medici dei risultati della ricerca scientifica? «Negli ambulatori arrivano depliant patinati, non informazioni. Il sistema sanitario dovrebbe dare la possibilità a ogni dottore di accedere alle migliori evidenze scientifiche». Crede nelle collaborazioni tra privati per la ricerca anche Dompé. «Capita sempre più spesso che più aziende investano sullo stesso progetto, il nuovo paradigma è collaborare per competere». Il presidente di Farmindustria spiega che nel settore in Italia c´è ancora da fare. «Siamo indietro senza dubbio come struttura industriale, e ancora di più come sistema paese. Ma stiamo crescendo. Il pubblico non può avere i soldi per pagare gli studi sui farmaci, che durano in media 12 anni e mezzo. Allora deve far in modo di individuare centri di eccellenza, e ce ne sono, in grado di competere a livello mondiale e investire solo su quelli».

Siamo tutti doloranti?
Proprio in questo periodo nel nostro paese potrebbe allargarsi il famoso imbuto. Sta partendo la campagna "dolore misterioso", negli studi dei medici di famiglia saranno messi volantini e poster per insegnare a riconoscere il dolore neuropatico e descriverlo (come bruciante, lancinante, formicolante, freddo o folgorante). È stato creato anche un sito www.doloremisterioso.it. L´iniziativa vede impegnate la Fimmg, sindacato dei medici di famiglia, la Simmg, la società scientifica di questi professionisti, e l´associazione Cittadinanzattiva. Sponsor è la Pfizer. Cioè l´azienda farmaceutica che produce il Lyrica, nato quando un prodotto simile della stessa azienda, il Neurontin, è diventato generico (peraltro dopo aver fatto prendere al produttore una multa della Fda da circa 450 milioni di dollari per campagne di marketing scorrette e mancata pubblicazione dei dati di studi negativi). Il Lyrica è a base del principio attivo pregabalin, indicato come terapia aggiuntiva negli adulti con attacchi epilettici, nell´ansia generalizzata ed è l´unico prodotto sul mercato per il trattamento del dolore neuropatico periferico, un problema che con l´approvazione della legge su cure palliative e terapia del dolore è diventato trattabile anche dai medici di famiglia, con gli specialisti. Intanto sul sito tutti possono fare un questionario sul proprio dolore, stamparlo e portarlo ai loro dottori. Se questi prescriveranno il Lyrica lo sapremo nei prossimi mesi. Quando si conosceranno i dati delle vendite.

martedì 9 novembre 2010

Bambini palestinesi uccisi e abusati Rapporto shock sui coloni israeliani

l’Unità 8.11.10
La denuncia di una Ong che si occupa di infanzia: censiti 38 casi di attacchi violenti su minori
Bambini palestinesi uccisi e abusati Rapporto shock sui coloni israeliani
Le violenze sessuali.Sono il 4% dei casi Per i colpevoli completa impunità
di Umberto De Giovannangeli

Pestaggi, attacchi armati, abusi sessuali. È agghiacciante il quadro tracciato dall’Ong Defence for Children. Il rapporto prende in esame il biennio 2008-2010. Almeno 38 casi di violenza. Tre bimbi uccisi.

I palestinesi come Nemici mortali. E non importa se il nemico è un ragazzo o un bambino. Vanno colpiti, se possibile eliminati. Agghiacciante. Documentato. Si moltiplicano le denunce di aggressioni compiute da coloni israeliani contro ragazzi e bambini palestinesi in Cisgiordania. A rivelarlo è un rapporto di Defence for Children International (Dci), un'organizzazione non governativa (ong) che si occupa di diritti umani e tutela dell'infanzia. Nel rapporto, che l'Unità ha potuto visionare in anteprima nella sua interezza, si sottolinea come all'aumento della violenza corrisponda l'impunità pressoché totale dei responsabili.
BIENNIO NERO
Stando al rapporto, che prende in esame la situazione dell'ultimo biennio, dal 2008 sono almeno 38 gli episodi censiti di attacchi violenti perpetrati da coloni contro minorenni palestinesi, con un bilancio di tre ragazzi uccisi e alcune decine di feriti. In 13 circostanze risulta che i coloni abbiano usato anche armi da fuoco, mentre in una minoranza di casi (otto) i fatti si sarebbero svolti sotto gli occhi (e talora con la complicità) di soldati israeliani presenti sul posto. Le aggressioni, a quanto ha potuto accertare l'ong, sono concentrate soprattutto nella zona di Hebron e di Nablus, roccaforti degli insediamenti più militanti inseriti nella galassia dell'ideologia ultranazionalista ebraica. Gli autori del rapporto riferiscono delle preoccupazioni manifestate anche dalle autorità civili o militari israeliani per alcune delle aggressioni più clamorose, ma notano come nessuno dei 38 episodi descritti abbia trovato finora un qualsiasi colpevole condannato in tribunale.
Un ragazzo di quindici anni, Mohammed, e suo fratello Bilal, di un anno maggiore, sono stati arrestati a casa loro alle due di notte. Decine di poliziotti erano andati a cercarli, col viso coperto e nascosti tutt' intorno alla casa. Mohammed, dopo essere stato minacciato e picchiato per quattro ore, ha finito per ammettere di essere effettivamente colpevole... colpevole di aver lanciato delle pietre contro i cani dei coloni ebrei insediati dall'altra parte della strada. È stato per questo condannato a sette mesi di prigione. Suo fratello, Bilal, in seguito all'interrogatorio, è stato ricoverato in ospedale per le contusioni interne riportate ed è stato condannato a un anno di prigione per avere lanciato sassi contro le case dei coloni. Un'altra storia emblematica è quella di Mufid Mansur, un bambino palestinese di 8 anni che era stato investito, l'8 ottobre, da un colono israeliano mentre lanciava pietre contro la sua auto. Quattro giorni dopo, il bimbo è stato prelevato all'alba dalla sua abitazione di Silwan, quartiere periferico di Gerusalemme Est abitato da arabi, ed è stato impedito al padre di accompagnarlo in commissariato. Mufid era stato investito nei giorni scorsi mentre colpiva con delle pietre l'auto di David Beeri, leader di un'organizzazione di estrema destra israeliana, il quale dopo l'incidente è stato fermato e poi rilasciato dalla polizia. Il colono si è giustificato sostenendo di aver investito il bimbo involontariamente, per cercare di sfuggire alla sassaiola di alcuni ragazzini contro la sua vettura. Il padre del bambino aveva invece detto che il bambino non aveva fatto in tempo a scansarsi dalla strada mentre l'auto procedeva ad alta velocità.
CENTO CASI
Solo nel 2009, Dci ha investigato su 100 dichiarazioni sotto giuramento rilasciate da bambini palestinesi: il 97% dei bambini hanno dichiarato di avere avuto le mani legate durante gli interrogatori; il 92% hanno detto che avevano gli occhi bendati o che era stato messo loro un cappuccio nero; l'81% hanno detto di essere stati forzati a confessare;69% hanno detto di essere stati picchiati e di aver ricevuto dei calci; il 65% che erano stati arrestati tra la mezzanotte e le 4 del mattino; il 50% di essere stati insultati; il 49% che erano stati minacciati o avevano tentato di persuaderli; il 32% sono stati obbligati a firmare delle confessioni scritte in ebraico, lingua che essi non comprendevano; il 26% hanno detto che erano stati obbligati a restare in una posizione assai penosa; il 14% hanno detto di essere stati tenuti in isolamento; il 12% sono stati minacciati di abusi sessuali;
E il 4% è stato vittima di abusi sessuali, come quello di stringere loro i testicoli fino alla confessione o di minacciare dei bambini di 13 anni di stupro se avessero rifiutato di confessare «di aver lanciato pietre sulle auto dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata». Nel maggio 2010, Defence for Children International ha chiesto al Rapporteur speciale dell’ONU sulla tortura di aprire un’inchiesta su 14 casi di abusi sessuali dei quali avevano avuto conoscenza e che erano stati commessi da soldati, investigatori e poliziotti dal gennaio 2009 ad aprile 2010. I bambini vittime di questi abusi avevano da 13 a 16 anni ed erano stati arrestati per aver lanciato pietre che non avevano ferito nessuno.

mercoledì 3 novembre 2010

“Il gene umano non si può brevettare"

La Repubblica 31.10.10
“Il gene umano non si può brevettare"
L´annuncio del Dipartimento di giustizia Usa. Insorgono le aziende biotech
"Non invenzioni ma patrimonio dell´umanità" Ma già piovono i ricorsi
di Angelo Aquaro

NEW YORK - Quei gran geni del Dipartimento di giustizia americana si sono accorti dopo decine di anni e 40mila brevetti concessi che i geni dell´uomo non sono brevettabili. Per il mondo delle biotecnologie è una rivoluzione che fa esultare i propugnatori del brevetto libero e gridare allo scandalo le grandi compagnie che nella ricerca genetica a scopo di lucro hanno speso milioni di dollari. Adesso toccherà all´Ufficio brevetti federale decidere se accogliere o meno la decisione del ministero. Presa seguendo la procedura dell´amicus brief: che in giurisprudenza è l´intervento di una corte super partes cioè non chiamata direttamente in causa. La lite infatti è quella tra due non profit - l´American Civil Liberties Union e la Public Patent Foundation - e quella Myriad Genetics che con l´Università dell´Utah ha brevettato due geni chiamati BRCA1 e BRAC2. L´obiettivo della compagnia e dei ricercatori è scoprire se questi geni predispongono al tumore alle ovaie e al seno. Ma per farlo hanno proprio bisogno di brevettare le due "scoperte"? Un tribunale ha già decretato di no ma Myriad si è appellata e la causa continua.
Dice però adesso il documento del ministero Usa che «la struttura chimica dei geni umani è un prodotto della natura»: i geni non sono "invenzioni" e dovrebbero quindi essere patrimonio dell´umanità intera. I propugnatori del brevetto non ci stanno: i geni isolati dal corpo sono strutture chimiche differenti da quelle che si trovano nel corpo e quindi si possono brevettare. Ma gli esperti del governo ri-ribattono: anche quando la struttura è "isolata" dal suo ambiente naturale resta prodotto della natura. Né più né meno «delle fibre di cotone che vengono separate dai semi del cotone. O del carbone che viene estratto dalla terra».
Detto così sembra lapalissiano. Ma il New York Times che ha svelato la decisione del ministero il professor James Evans dell´Università della Carolina del Nord parla di «tappa importante: una linea tracciata nella sabbia». Le sabbie però sono mobili per definizione e il pressing delle grandi compagnie sull´Ufficio brevetti è appena cominciato.
Il venti per cento del genoma umano è già stato brevettato. L´iniziativa più nota è quella dell´Human Genome Project lanciato proprio dal governo degli Stati Uniti negli Anni ‘90 che però è stato subito surclassato dagli sforzi privati della Celera di Craig Venter. Proprio nei giorni scorsi la creatura dello scienziato-imprenditore ha fatto registrare un boom del 30 per cento dei guadagni e il business delle biotecnologie è uno dei più floridi del momento passato praticamente indenne attraverso la recessione.
Il ministero della giustizia adesso riconosce che la decisione non solo è un vero e proprio cambio di rotta rispetto alla linea fin qui suggerita ma contrasta con la politica di altre strutture pubbliche: dall´Ufficio brevetti fino addirittura al National Institute of Heath che negli ultimi anni ha chiesto e ottenuto direttamente brevetti per l´isolamento del Dna. Ma gli esperti della giustizia sostengono che l´impatto sull´industria biotecnologica non sarebbe così grave: le manipolazioni del Dna - tipo quelle usate per creare i transgenici o particolari terapie genetiche - possono continuare a essere brevettate perché appunto «prodotte dell´ingegno dell´uomo». Sempre che la linea tracciata nella sabbia non si sposti ancora un po´.

sabato 4 settembre 2010

Tutti i Paesi dove si uccide con la lapidazione

l’Unità 4.9.10
L’orrore non solo in Iran
Tutti i Paesi dove si uccide con la lapidazione
La lista nera di Amnesty: dall’Arabia Saudita al Pakistan, dal Sudan al Bangladesh pietre scagliate contro i condannati alla pena di morte
di Umberto De Giovannangeli

Non solo Sakineh. Non solo Iran. Il caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana tuttora a rischio di lapidazione per adulterio, ha riportato l'attenzione su questa pratica barbara, illegale e crudele. Amnesty International ha tracciato la «mappa dell'orrore»: quella dei Paesi in cui continua a vigere questa orrenda pratica di morte. Esecuzioni di sentenze giudiziarie alla lapidazione, negli ultimi anni, sono state riferite solo dall'Iran. Nonostante le autorità avessero annunciato una moratoria nel 2002, quattro anni dopo sono state lapidate almeno sei persone. Una morte atroce, quella per lapidazione, regolata dagli Articoli 102 e 104 del Codice penale iraniano: «La donna deve essere seppellita in piedi sino al seno. Le pietre con le quali deve essere colpita alla testa non devono essere né troppo grandi, perché la ucciderebbero subito, nè troppo piccole». Una pena che ha lo scopo di infliggere dolore e una lenta sofferenza, sino alla morte. Ci sono al momento 11 detenuti in Iran che rischiano la lapidazione come Sakineh, denuncia Amnesty, che ricorda come in Iran gruppi di attivisti per i diritti umani si stanno battendo da anni per l’abolizione della lapidazione. Per Azadeh Kian Thiebaut, specialista della società iraniana al « Centre national de la recherche scientifique (Cnrs, la più grande organizzazione di ricerca pubblica in Francia «le donne molto spesso sono di più punite poiché i giudici ritengono che andando contro la legge, appannino l’immagine di purezza della donna musulmana». Di fronte all’adulterio, la popolazione femminile è particolarmente fragile. Se il marito può invocare il matrimonio temporaneo, che gli permette di contrarre una relazione “ufficiale” che può andare da alcuni minuti a 99 anni con qualsiasi donna, la coniuge accusata d’adulterio finirà sotto la frusta del giudice oppure al peggiore dei casi all’uncino di una gru. Poiché in Iran, l’inesattezza è un crimine suscettibile della pena di morte».
Il rapporto di Amnesty International (AI) «Basta alle esecuzioni tramite lapidazione», fornisce un ampio quadro della legislazione e delle procedure relativi a questa pena. La lapidazione resta in vigore, come sanzione penale, in diversi Paesi o regioni di Paesi, tra cui, oltre all'Iran, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, la Nigeria, il Pakistan, il Sudan, lo Yemen, il Bangladesh. Nella provincia di Aceh, Indonesia, la pena della lapidazione è stata introdotta nel 2009. Lapidazioni vengono eseguite anche da attori non statali. Amnesty non riesce a tenere una traccia completa di tutte le lapidazioni, ma riceve molte notizie, in particolare dalla Somalia. Dalla caduta dei talebani in Afghanistan, pare che le lapidazioni siano avvenute assai raramente, ma AI ha potuto confermare che una coppia è stata uccisa a colpi
di pietre il 15 agosto 2010 nel nord del paese, su ordine di un comitato locale di talebani che hanno assunto il controllo della zona. Notizie non confermate di una lapidazione per adulterio in Afghanistan risalgono al 2005, e sarebbe avvenuta su ordine di uomini di religione locali, non dei talebani. Un gruppo alleato coi talebani del Pakistan, Lashkar e-Islam, avrebbe eseguito una lapidazione in pubblico nel 2007, nel nordovest del Paese.
Orrori da non dimenticare. Una storia tragicamente esemplare.
Aisha Ibrahim Duhulow aveva 13 anni. E stata il 27 ottobre 2008 da un gruppo di 50 uomini che l'ha lapidata a morte. L'esecuzione è avvenuta all' interno di uno stadio della città meridionale di Chisimaio, in Somalia, di fronte a un migliaio di spettatori. Aisha Ibrahim Duhulow era arrivata a Chisimaio tre mesi fa, proveniente dal campo profughi di Hagardeer, in Kenya.
Nella città portuale somala, Aisha Ibrahim Duhulow era stata stuprata da tre uomini e si era rivolta ai miliziani di “al Shabab”, che controllano la zona, per ottenere giustizia. La sua denuncia aveva ottenuto come risultato l'arresto, l'accusa di adulterio e la lapidazione. Nessuno dei tre stupratori è stato arrestato. Un uomo, che si è qualificato come lo sceicco Hayakalah, ha dichiarato a Radio Shabelle, un'emittente somala: «Lei stessa ha fornito le prove, ha confessato ufficialmente la sua colpevolezza e ci ha detto che era contenta di andare incontro alla punizione della legge islamica».
Secondo i testimoni oculari raggiunti da Amnesty International, invece, Aisha Ibrahim Duhulow ha lottato contro i suoi carnefici ed è stata trascinata a forza nello stadio. Qui la ragazza è stata interrata e i 50 uomini addetti all'esecuzione hanno iniziato a colpirla, usando le pietre appena scaricate da un camion. A un certo punto, è stato chiesto ad alcune infermiere di verificare se la ragazza fosse ancora viva; fatto ciò, la lapidazione è ripresa fino alla morte della bambina.
Sono le donne – rimarca AI ad essere più di frequente condannate a morire per lapidazione, spesso a causa del diverso trattamento che subiscono davanti alla legge e nei tribunali, in aperta violazione degli standard internazionali sul giusto processo. Sono in particolar modo vittime di processi iniqui perché meno istruite rispetto agli uomini e per questo motivo indotte più facilmente a firmare confessioni di crimini mai commessi. Inoltre, la discriminazione cui vanno incontro in altri aspetti della loro vita fa sì che siano più soggette a condanne a morte per adulterio. «La morte per lapidazione – sottolinea ancora Amnesty International – rappresenta l'estrema forma di tortura, la più crudele, inumana e degradante, bandita sia dal patto internazionale per i diritti civili e politici che vieta la pena di morte per reati lievi, sottoscritto da quasi tutti i Paesi, sia in base alla Convenzione contro la tortura».
Durante il regime dei talebani in Afghanistan vi sono state molte lapidazioni in pubblico. Prima della guerra in Afghanistan i governi si erano opposti a pratiche quali la lapidazione, il taglio della mano e la flagellazione pubblica, e si riteneva ormai che fossero eventi che accadevano raramente in qualche zona rurale. Durante l’occupazione sovietica alcuni gruppi armati di Mujahedin incoraggiarono l’applicazione sommaria di queste forme di punizione ritenute «islamiche». Nel 1993, ad esempio, a Sarobi, vicino a Jalalabad, dopo 8 anni di assenza un comandante militare rientrò nel suo paese alla testa della milizia Hezb-e Islami e trovò che la moglie si era risposata credendolo morto; ordinò quindi ai suoi uomini di lapidare la donna in pubblico. Sotto i Talebani vi fu un ulteriore aumento dell’uso di queste pene. Ad esempio nel marzo del 1997 la radio talebana Voce della Shari’ia informò che nella provincia di Laghman era stata lapidata un’adultera. Si ha anche notizia di una variante della lapidazione per gli uomini ritenuti colpevoli di «sodomia»: venivano sepolti sotto un muro fatto crollare sopra di loro. Ad esempio nel 1998 a Kotal Morcha, a nord di Kandahar un carro armato fu usato di fronte a migliaia di persone per far cadere un muro su tre uomini accusati di sodomia.
In Arabia Saudita Paese sostenuto dall’Occidente non c’è un vero e proprio codice penale, né un sistema giudiziario regolamentato. Gli imputati non hanno diritto ad un avvocato e i processi sono segreti e si basano esclusivamente sulla confessione, spesso estorta sotto tortura.
Gli imputati non vengono informati della condanna e non vi è possibilità di appello: nei casi capitali il loro dossier viene soltanto «riesaminato» dal Consiglio Giudiziario Supremo, i cui membri, nominati dal Re, sono ritenuti responsabili dell’applicazione della sharia. La pena consuetudinaria per l’adulterio è la morte tramite lapidazione.

giovedì 2 settembre 2010

Cellule da embrioni per curare pazienti ciechi o paralizzati. "Sarà una rivoluzione"

La Repubblica 31.8.10
Usa, staminali su cavie umane: via al primo test
Cellule da embrioni per curare pazienti ciechi o paralizzati. "Sarà una rivoluzione"
L´esperimento della Geron su una ventina di malati nonostante lo stop dei fondi pubblici
di Angelo Aquaro

NEW YORK - Christopher Goodrich diventò quasi cieco a 7 anni e adesso che ne ha 55 già assapora il miracolo. «Solo il pensiero di poter riguadagnare la vista, poter correre in bicicletta e rivedere la luna è fantastico», dice questo signore di Portland, Oregon, che ha deciso di accorciare la distanza tra l´uomo e Dio: sulla propria pelle.
Per la prima volta nella storia una clinica degli Stati Uniti testerà la terapia con le cellule staminali su alcune cavie umane. Su uomini come Christopher affetti dal morbo di Stargardt, una malattia degenerativa che provoca la cecità. Su uomini come quei 10 pazienti paralizzati da un cedimento della spina dorsale. «Siamo più che ottimisti» dice al Washington Post Thomas B. Okarma della Geron, l´azienda californiana che il mese scorso ha ricevuto dal governo l´ok per la sperimentazione e che nel giro di una o due settimane darà il via ai test. «Se abbiamo visto giusto, rivoluzioneremo la cura di molte malattie croniche».
L´ora dei miracoli scocca in un momento delicatissimo per la ricerca. La settimana scorsa una corte federale ha bocciato le direttive con cui Barack Obama aveva autorizzato gli esperimenti con gli embrioni dopo gli stop dell´era di George W. Bush. Non è un caso che la Geron sia un´azienda privata: la sentenza ha bloccato tutte le sperimentazioni che ricevevano un aiuto pubblico, sostenendo che la riforma infrange il divieto del Congresso di sovvenzionare ricerche che comportano la distruzione di embrioni. La questione è nota: per ottenere le cellule si uccidono gli embrioni e quindi - dicono tanti cristiani - si uccide una vita potenziale. L´amministrazione ha già annunciato che ricorrerà: ma intanto il capo del Consiglio nazionale della Salute, Francis Collins, ha dovuto mandare una e-mail agli scienziati americani per stoppare le iniziative con gli aiuti pubblici.
La Geron è privata, e poi il via libera era già arrivato: così gli esperimenti cominceranno nei prossimi giorni. A una decina di pazienti saranno iniettati fino a 2 milioni di staminali, tecnicamente delle cellule progenitrici di oligodendrociti, destinate a formare una specie di "calotta" intorno alla spina dorsale danneggiata. E presto potrebbe arrivare il verde della Fda anche per la Advanced Cell Technology, altra azienda californiana che spera di ridare la vista iniettando dalle 50 alle 200mila cellule negli occhi di 12 pazienti come Christopher, che progressivamente sostituire quelle degenerate.
Sia nel primo sia nel secondo caso, gli esperimenti sui topi hanno già dato esito positivo. Ma il via ai test sta già provocando polemiche: non solo etiche. Come si comporteranno le staminali iniettate nel nostro corpo? «C´è il rischio di impiantare cellule che possono causare tumori» dice Johan Gearhart dell´università di Pennsylvania. Che fare? Forse ha ragione Hank Greely, bioetico di Stanford: «Se crediamo che funzionano, qualcuno dovrà pure essere il primo a testarle». Per i malati come Christopher, l´unica cosa che conta.

lunedì 5 luglio 2010

«I PALESTINESI? TABÙ PER NOI PROF AI TEL AVIV» COHEN, PRESIDE, SPIEGA I TERRITORI OCCUPATI AI SUOI RAGAZZI. LA KNESSET: «LICENZIAMOLO»

«I PALESTINESI? TABÙ PER NOI PROF AI TEL AVIV» COHEN, PRESIDE, SPIEGA I TERRITORI OCCUPATI AI SUOI RAGAZZI. LA KNESSET: «LICENZIAMOLO»

Il Secolo XIX del 5 luglio 2010

Ilaria De Bonis

«I miei ragazzi devono esser consapevoli del fatto che è in corso un'occupazione militare. Che ci sono i checkpoint e il muro di separazione in Cisgiordania. Strade e infrastrutture accessibili solo agli ebrei israeliani. E mio dovere parlarne e questo non significa che sto facendo politica ma che parlo di diritti umani». Ram Cohen, israeliano, 43 anni, da nove preside del Tichon IroniAlef, un noto istituto d'Arte di Tel
Aviv, è finito su tutti i giornali quest'anno per via delle sue posizioni "sovversive". Rischiando il licenziamento. Cohen parla pacatamente, senza enfatizzare, racconta di aver dovuto affrontare un'audizione parlamentare alla Knesset, chiamato dai deputati di destra, il 21 giugno scorso. Accusato di aver parlato troppo, di aver eliminato qualche tabù mettendo gli studenti di fronte ad una realtà non edulcorata.
Lei si e espresso contro l'occupazione, le colonie e i check point. Ma erano cose veramente così nuove per i suoi studenti?
«Sì, certo. I ragazzi non sanno cosa c'è dall'altra parte. Era l'inizio dell'anno accademico e ho deciso di tenere il mio discorso d'apertura in modo diverso dal solito, davanti agli studenti dell'ultimo anno. Ho parlato dei palestinesi. Ho detto ai ragazzi di non essere apatici, di prendere una posizione, qualunque essa sia. I più giovani non sanno neanche come sono fatti i palestinesi, hanno paura di loro. Non sono mai stati neanche a Gerusalemme est o nelle colonie. Sviluppano posizioni contrarie ai due stati per due popoli».
Che responsabilità ha in questo, secondo lei, l'informazione israeliana?
«Anche i mass media sono confusi. Non sanno se chiamarla occupazione, non sanno se parlare di territori palestinesi. Ad esempio non parlano di West Bank ma di Giudea e Samaria. Usano nomi neutrali».
Dei coloni che cosa pensa? «Credo che stiano facendo un grosso errore, ma non li odio: fanno parte del mio Paese. Però mettono a rischio sia me che il mio Paese».
Di che cosa ha paura la destra? Che lei racconti la verità ai giovani? «Uno dei timori è che io possa spingerli a rifiutare il servizio militare, che qui è obbligatorio. Temono che i miei discorsi contro l'occupazione, possano allontanarli dall'esercito. La nostra è una scuola tra le più aperte! I genitori sono giornalisti, artisti, molti scrivono per Haaretz, il quotidiano di sinistra. Eppure gli studenti non hanno coscienza politica e questo è grave».
Lei nei Territori palestinesi c'e mai stato? «Sì, ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A metà dell'anno accademico ho partecipato ad un tour in Cisgiordania, organizzato da una Ong di donne israeliane. Non ho portato gli studenti, perché mi sembrava prematuro, sono andato con altri insegnanti. E il giorno dopo era sui giornali. Hanno detto che avevo oltrepassato il limite e che dovevo essere licenziato. Il dibattito a quel punto era: un educatore ha il diritto di dire quel che pensa? Dove finisce la libertà di espressione per un insegnante? Ed è stato anche l'argomento dell'audizione alla Knesset».
Che cosa e successo in Parlamento? «A maggio ho cercato di organizzare un altro tour nei Territori Palestinesi ma la sera prima ho ricevuto una telefonata. Diceva chiaramente che sarei saltato. I membri della destra della Knesset volevano licenziarmi. Allora ho cancellato il tour e poi mi hanno chiamato per incontrare pubblicamente il ministro dell'istruzione».
Quale verdetto ha ricevuto dalla commissione parlamentare? «Nessuno. Si è aperto un dibattito. I parlamentari avevano posizioni diverse: alcuni chiedevano "che occupazione c'è?" Se pensi che ci sia un'occupazione in corso vai alla corte suprema e lamentati. Altri ritenevano che fossi contro il mio paese. Alcuni che volessi spingere i ragazzi a non fare il militare, altri cercavano solo di capire. La sinistra mi ha protetto e ha parlato della libertà di espressione e si sono opposti all'idea che non siamo degli occupanti. Sono stato stupito del ministro dell'istruzione: mi ha difeso nonostante sia di destra».
Professore, lei contesta il suo Stato? «No, non sono contro il mio paese, non sono un sovversivo. Questo ho cercato di far capire. Io voglio stare e lavorare in Israele».
Come si comporterà adesso con i suoi studenti? «Adesso mi sento stanco. Non è facile essere al centro di un ciclone. Attaccati da persone che pensano che tu non faccia bene il tuo lavoro o che quello che fai non è il tuo lavoro. Non è facile proteggersi... Sono veramente stanco. Il prossimo anno penserò ancora al mio diritto di dire ai ragazzi di essere consapevoli di quello che succede. Organizzerò un altro tour alternativo. Perché mi dovrei nascondere? Ma al momento per me è importante conservare il lavoro e lo stipendio».

giovedì 1 luglio 2010

"FAMIGLIA SVALUTATA" L'IRA DEL CARDINALE CONTRO LE UNIONI CIVILI

"FAMIGLIA SVALUTATA" L'IRA DEL CARDINALE CONTRO LE UNIONI CIVILI

La stampa, del 1 luglio 2010

Andrea Rossi

Dicono che quando si è diffusa la voce che l'emendamento Genisio -via l'espressione «pari opportunità» dalla delibera sulle unioni civili- fosse stato in qualche modo suggerito dalla Curia, il cardinale Severino Poletto non l'abbia presa bene. E quando l'altra sera il Consiglio comunale, con il voto favorevole anche dei cattolici del Pd, ha approvato la delibera l'arcivescovo abbia deciso che la misura era colma. In Curia si sono presi due giorni di tempo per riflettere, calibrare parole ed espressioni. Poi hanno emesso una nota durissima, che non porta la firma del cardinale ma ne rispecchia il pensiero. In via Arcivescovado si dicono «amareggiati e perplessi». La delibera sulle unioni civili «va nella direzione di azioni tendenti a svalutare l'istituto della famiglia», è scritto nel documento. «Si enfatizzano vincoli alternativi», cosa che potrebbe indurre una «mentalità libertaria dove ognuno vorrebbe che ogni scelta di vita ottenesse comunque una legittimazione di copertura giuridica». Si parla di scelta «ideologica», in controtendenza con quanto servirebbe a un Paese in «grave crisi demografica» e con poche leggi «a favore della famiglia», che andrebbe invece sostenuta «nella sua stabilità già fin troppo vacillante». Non manca una stoccata al sindaco. Chiamparino non viene mai citato, ma il riferimento alle sue parole di martedì - «il nostro è un segnale forte nei confronti del Parlamento, l'Italia ci segua» - è chiaro: «Qualcuno ha salutato la delibera come un traguardo di civiltà da accogliere con orgoglio, quasi che Torino debba presentarsi come campione che fa da apripista per una battaglia iniziata da anni e finalizzata a emarginare passo dopo passo il nucleo essenziale della società qual è la famiglia fondata sul matrimonio». In serata, da Roma, Chiamparino prende carta e penna e risponde. Toni cauti, ma non cede di un millimetro. Cerca però di gettare acqua sul fuoco ed evitare lo scontro aperto con la Curia: «Non è un mistero che sul tema delle coppie di fatto ci sia una divergenza di opinioni. Tuttavia non è fondata la preoccupazione secondo cui l'istituto della famiglia verrebbe svalutato. Quello approvato dal consiglio comunale è infatti un percorso del tutto parallelo che non si confonde con i valori della famiglia». Il sindaco si fa forte del voto incassato sul provvedimento da «autorevoli esponenti del mondo cattolico». Gli stessi che lanciano segnali di preoccupazione: nessuna marcia indietro, solo il timore che si enfatizzi - a cominciare proprio dal sindaco - il ruolo di Torino come città apripista. Quadro che fa dire a Domenica Genisio che «Chiamparino ha un po' esagerato. Non abbiamo innovato proprio niente». Il disagio è palpabile. Le bordate del centrodestra erano state messe in conto. Meno quelle del cardinale. E ora hanno buon gioco i cattolici da sempre contrari alla delibera, a cominciare dagli assessori all'Anagrafe Ferraris e al Welfare Borgione. «È un provvedimento inutile, funzionale solo a sostenere che a Torino c'è una discriminazione verso chi non è sposato, cosa del tutto falsa», sostiene Olmeo dell'Api.