Corriere della Sera 15.6.09
La deputata del Fatah Ashrawi: «Non ci sta offrendo la patria ma una nuova occupazione»
di F. Bat.
Netanyahu vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino d'essere quel che non sono
GERUSALEMME — «A me piacciono i bei discorsi, indipendentemente da quel che si dice... », ride Hanan Ashrawi. Sessantun anni, buoni studi all'American University di Beirut, cristiana per famiglia e marito, nella politica palestinese da quand'era la portavoce di Arafat, oggi deputata vicina al premier Salam Fayyad, la signora Ashrawi fa una sola concessione, una volta spenta la tivù e la faccia di Netanyahu: «L'unica cosa che m'è piaciuta, è l'uso che ha fatto delle parole, dei silenzi. Dev'essersi esercitato molto. Per dire poco».
Poco?
«Non vedo un grande cambio di posizione. È la solita politica della destra israeliana. C'è una bella differenza, fra le cose che ha detto Bibi e quelle di Obama, a cui voleva idealmente rispondere. Al di là delle emozioni: il presidente americano ha detto con chiarezza che Israele deve dire stop agli insediamenti, Netanyahu ha detto soltanto che non ne vuole di nuovi. Ma s'è ben guardato dal parlare d'un congelamento di quelli che già ci sono».
Però una novità c'è: la prima volta, dopo molti anni, che un premier della destra accetta l'idea d'uno Stato palestinese.
«E a lei questa sembra una novità? È chiaro che si tratta solo d'una operazione di retorica. D'un gioco di parole. Netanyahu dice che ci dev' essere uno Stato palestinese. Ma vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino d'essere quel che non sono, prima d'accomodarci al tavolo e trattare».
Ma perché non riconoscete Israele?
«Non possiamo farlo in questi termini. Significa abbandonare al loro destino i nostri fratelli arabi. Significa contraddire tutta la nostra storia ».
Una Palestina smilitarizzata non è nell'interesse di tutti?
«La nozione di Palestina smilitarizzata corrisponde al concetto che ha Bibi del popolo palestinese: un popolo che abbia una terra, ma che comunque non controlli le sue frontiere, non abbia un esercito e non possa nemmeno guardare se nel suo cielo volino bombe o aquiloni. Questo non è uno Stato: è la prosecuzione di un'occupazione. Anzi, è la versione aggiornata dell'occupazione: una cosa morbida, tanto per compiacere la Casa Bianca. Il suo discorso è arrogante, ideologico. Non ha le dimensioni del discorso di pace: ha quelle del controllo del territorio».
Ma non c'è niente da salvare?
«Netanyahu ha chiuso la porta su tutto. Gerusalemme è una città occupata, non può non essere la nostra capitale. E se Fatah e Hamas raggiungono un accordo, Israele deve accettarlo: noi non decidiamo chi deve stare al governo israeliano. La cosa più arrogante è la pretesa di risolvere al di fuori d'Israele la questione dei profughi. E poi di chiedere ai palestinesi d'aderire all'identità ebraica: dobbiamo dimostrare d'essere ragazzi di buone maniere, prima d'essere ammessi a vivere sulla loro terra».
La deputata del Fatah Ashrawi: «Non ci sta offrendo la patria ma una nuova occupazione»
di F. Bat.
Netanyahu vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino d'essere quel che non sono
GERUSALEMME — «A me piacciono i bei discorsi, indipendentemente da quel che si dice... », ride Hanan Ashrawi. Sessantun anni, buoni studi all'American University di Beirut, cristiana per famiglia e marito, nella politica palestinese da quand'era la portavoce di Arafat, oggi deputata vicina al premier Salam Fayyad, la signora Ashrawi fa una sola concessione, una volta spenta la tivù e la faccia di Netanyahu: «L'unica cosa che m'è piaciuta, è l'uso che ha fatto delle parole, dei silenzi. Dev'essersi esercitato molto. Per dire poco».
Poco?
«Non vedo un grande cambio di posizione. È la solita politica della destra israeliana. C'è una bella differenza, fra le cose che ha detto Bibi e quelle di Obama, a cui voleva idealmente rispondere. Al di là delle emozioni: il presidente americano ha detto con chiarezza che Israele deve dire stop agli insediamenti, Netanyahu ha detto soltanto che non ne vuole di nuovi. Ma s'è ben guardato dal parlare d'un congelamento di quelli che già ci sono».
Però una novità c'è: la prima volta, dopo molti anni, che un premier della destra accetta l'idea d'uno Stato palestinese.
«E a lei questa sembra una novità? È chiaro che si tratta solo d'una operazione di retorica. D'un gioco di parole. Netanyahu dice che ci dev' essere uno Stato palestinese. Ma vuole che diventiamo anche noi sionisti, che gli arabi che stanno in Israele accettino d'essere quel che non sono, prima d'accomodarci al tavolo e trattare».
Ma perché non riconoscete Israele?
«Non possiamo farlo in questi termini. Significa abbandonare al loro destino i nostri fratelli arabi. Significa contraddire tutta la nostra storia ».
Una Palestina smilitarizzata non è nell'interesse di tutti?
«La nozione di Palestina smilitarizzata corrisponde al concetto che ha Bibi del popolo palestinese: un popolo che abbia una terra, ma che comunque non controlli le sue frontiere, non abbia un esercito e non possa nemmeno guardare se nel suo cielo volino bombe o aquiloni. Questo non è uno Stato: è la prosecuzione di un'occupazione. Anzi, è la versione aggiornata dell'occupazione: una cosa morbida, tanto per compiacere la Casa Bianca. Il suo discorso è arrogante, ideologico. Non ha le dimensioni del discorso di pace: ha quelle del controllo del territorio».
Ma non c'è niente da salvare?
«Netanyahu ha chiuso la porta su tutto. Gerusalemme è una città occupata, non può non essere la nostra capitale. E se Fatah e Hamas raggiungono un accordo, Israele deve accettarlo: noi non decidiamo chi deve stare al governo israeliano. La cosa più arrogante è la pretesa di risolvere al di fuori d'Israele la questione dei profughi. E poi di chiedere ai palestinesi d'aderire all'identità ebraica: dobbiamo dimostrare d'essere ragazzi di buone maniere, prima d'essere ammessi a vivere sulla loro terra».